Capitolo 11 - È tempo di svegliarsi

Un soffio freddo gli accarezzò il collo e Maximilian spalancò le palpebre. Nello stesso istante, Tudor si svegliò di soprassalto. I due si guardarono, e i loro occhi divennero lucidi.

"Max!" esclamò Tudor, cominciando ad ansimare per l'agitazione.

Si passò una mano sulle labbra, disgustato. Sentiva ancora il sapore del sangue del fratello; l'odore mefitico della morte. Cominciò a grattarsi la barba come se avesse le pulci, poi si guardò intorno intento a capirci qualcosa. Era stato solo un incubo. Un bruttissimo incubo.

"La fine dell'universo superiore Nam" rispose Maximilian, rimanendo disteso sotto le coperte, in apparente stato di shock. "L'avvelenamento del cordone di Enki. Le tenebre sono state liberate da Kur e si stanno espandendo. Gli incubi sono solo l'inizio. Prima o poi non ci sarà più alcuna logica e la realtà sarà dettata dalla follia."

Maximilian portò lentamente le mani davanti agli occhi; le aveva ancora entrambe. Dunque non aveva mai provato ad assorbire il potere di Tobia, ad uccidere il ragazzo, a prendere il suo posto nella guerra contro Kur. E di conseguenza non aveva mai perso il braccio. Ebbe una fitta alla testa. Che gran confusione. Con una mano, delicatamente, si accarezzò la guancia, lì dove, fino a qualche attimo prima, vi era uno squarcio gigante.

"Max!" disse Tudor, tremendamente dispiaciuto. "Io non volevo..."

"Non importa" rispose l'arteniano, facendo scivolare le dita sul pavimento fresco. "Dovremmo abituarci a cose di questo tipo, T. Forse Kur non si aspettava una simile conseguenza, forse, invece, sperava accadesse proprio questo."

"Ma a quale scopo?" chiese Tudor.

Maximilian sollevò a fatica il busto da terra e fissò il ragazzo.

"Non lo so" disse. "Ma lui deve saperlo. L'universo si sta ammalando e lui dovrà essere in grado di curarlo. È l'unico che può farlo."

Tudor cacciò fuori un lungo sospiro liberatorio, come per scaricare via la tensione che aveva accumulato in quella tremenda notte.

"Ne sei sicuro?" Si strinse la testa tra le mani e chiuse gli occhi. "Ricordo una cosa... intendo dire della realtà distorta che abbiamo vissuto. Me ne vergogno... È successo quando alla fine sono crollato per terra e ho sentito di avere il tuo dono. Ho pensato... che... magari... il potere del ragazzo sarebbe potuto essere mio."

Maximilian si voltò verso suo fratello. Lo sguardo allarmato.

"Non pensarci nemmeno!" esclamò. "Elimina subito dalla tua mente questo pensiero."

Maximilian ricordò quello che aveva provato a fare a Tobia, l'assurdità di quel momento, l'insania, la rabbia, la disperazione; se ne vergognò e decise di non confidarlo a Tudor. Lo avrebbe solo sconvolto più di quanto già non fosse.

"Non hai capito" disse Tudor. "Non voglio che tu faccia una cosa simile, ci tengo a quel ragazzo. Dico solo... secondo te, perché gli dèi hanno scelto lui?"

"Che importa?" sbottò Max, sentendo nelle parole del fratello i suoi vecchi pensieri oscuri. "Abbiamo deciso di aiutarlo, e lo aiuteremo. Perché sei venuto da me, se non per questo?"

"Cosa intendi dire?" rispose a tono Tudor. Si alzò in piedi, afferrò il bastone e lo puntò contro Maximilian. "Questo è un regalo di Ginevra. Non lavoro per Kur, non so nemmeno chi sia questo Kur, com'è fatto. Prima d'ora non avevo mai sentito parlare né di lui né di universi superiori. Volevo solo aiutare il ragazzo a tornare a casa."

Maximilian tremò, trattenne il fiato e sbarrò gli occhi alla vista di quel bastone a pochi centimetri dal suo viso. Tudor si rese conto della situazione ambigua e lo abbassò con un po' di imbarazzo.

L'arteniano riprese a respirare regolarmente. "Perché, allora, non hai usato la finestra galattica per raggiungere il pianeta Terra?"

"La Terra è un pianeta primitivo. Sarei rimasto intrappolato lì per sempre. Avevo una sola finestra galattica, e speravo di trovare una situazione migliore qui, ad Artenia."

"Te lo ha detto il ragazzo che il suo pianeta è classificato come primitivo?"

"No di certo! L'ho intuito dai discorsi che abbiamo intrattenuto!"

"Tudor... Ho sentito la malvagità di Kur. Lui era lì dentro."

Tudor strinse la mascella e fece una cosa che non avrebbe mai voluto fare. "E allora tieni! Prendilo, e dimmi se la senti ancora!" Il suo cuore prese a battere forte come lo scalpitio degli zoccoli di un cavallo in corsa su una distesa di terra compatta.

L'arteniano osservò il fratello con aria triste. Provava un po' di timore nel farlo, ma sapeva di doversi levare quel dubbio che altrimenti lo avrebbe tormentato all'infinito. A fatica salì sulla carrozzina e, dopo un attimo di esitazione, toccò l'estremità del bastone senza sfilarlo dalle mani del fratello. Non percepì niente. Niente! In quella realtà era solo un pezzo di legno. Un aiuto per la vecchiaia. Una compagnia. La luce di Ginevra nei giorni più bui che Tudor avrebbe dovuto affrontare. Si sentì uno stupido. Era stato solo un brutto incubo, quello in cui Kur aveva reso quel bastone un oggetto del male. Nulla di ciò che avevano vissuto era reale. Cercò di convincersene. Tutto era stato amplificato; le azioni, i pensieri, la paura, la rabbia, la loro parte più oscura.

"Mi sono sbagliato" disse infine. "Scusami, non ero in me."

Maximilian sentì il bisogno di rinfrescarsi sotto il flusso d'acqua della sua doccia, di cambiarsi quegli stracci che, a quanto pare, ricordavano a Tudor giorni infelici, di ricominciare in serenità la giornata, di dimenticare in fretta quella notte. Sapeva che non ci sarebbe mai riuscito, ma ci avrebbe provato. Kur in qualche modo li stava osservando perché loro avevano il ragazzo; forse quell'essere possedeva la capacità di trasferirsi da un oggetto all'altro anche a distanza di migliaia di anni luce. Forse parte della sua struttura organica era rimasta su Artis, dopo la sua visita.

Fissò le sue mani raggrinzite dalla vecchiaia e in quel momento presentì improvvisamente di non avere più molto tempo. Avvertiva una strana stanchezza. I suoi giorni erano agli sgoccioli. Il suo dono diventava con esso più debole.

"No," disse Tudor "non devi scusarti. Come hai detto tu, non eravamo in noi. Quello che conta è che siamo di nuovo insieme. E poi..."

Tudor fu travolto da una scena recente della sua vita in cui aveva percepito una brutta sensazione, tanto da fargli venire la pelle d'oca sulle braccia. Era mattina. I raggi del sole di Vegan penetravano dalle finestre della sua dimora e si adagiavano sopra il suo letto, illuminando le lenzuola, i cuscini, il corpo di sua moglie rannicchiato in posizione fetale. Non aveva sofferto. Ne era certo. E quel bastone era lì, dentro la sua confezione, appoggiato al comodino di Ginevra. C'era un biglietto che diceva: "Per Tudor, il brontolone che mi ha ridato la vita. Continuerò ad amarti per sempre...".

Ginevra sapeva che stesse per arrivare la sua ora? Aveva lasciato il bastone lì, nella notte, per questo motivo?

"E poi?" lo incitò Maximilian, riportando Tudor in quella stanza.

"Niente!" disse di getto il vegano, scrollando la testa. "Per un attimo, stanotte, ho pensato che potessi avere ragione. E il sol pensiero mi ha fatto divenire folle."

L'arteniano provò un senso di vuoto allo stomaco nel sentire quelle parole. Suo fratello nascondeva qualcosa come se volesse proteggersi, o meglio proteggere qualcuno.

"Comunque non c'è da preoccuparsi" continuò Tudor. "Lo hai detto tu che è solo un bastone."

"Già..." meditò Max. "Solo un bastone..."

Poco più tardi l'arteniano si trovava, perso nei suoi pensieri, sotto il flusso d'acqua calda della sua doccia. Tudor, invece, seduto con le mani incrociate sulle ginocchia accanto al corpo del ragazzo, si chiedeva perché non aveva trovato il coraggio di raccontare al fratello il sogno ambientato nell'isola Anime per un giorno, e di aver visto Ginevra scendere una scala incastrata nell'oceano. Tobia, infine... Tudor lo fissò pensieroso. Chissà cosa stesse passando Tobia...

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