Capitolo Secondo
La sensazione di fastidio viene sempre meno, nello scorrere della giornata. Una volta tornata a casa, la cosa diventa un ricordo sfocato, come se quasi non fosse successo nulla.
Il giorno dopo la sveglia gracchia di buon ora, strappandomi dagli incubi che ormai mi accompagnano da troppo tempo. Mi lavo il viso, guardandomi allo specchio al quale faccio la linguaccia e tiro giù un occhio, per poi ridere. Mentre spazzolo i capelli penso al possibile fallimento dell'esame, nonostante sia una delle migliori della classe, l'ansia è parte di me da qualche settimana. Oggi è il giorno della prima prova d'esame. Ci dobbiamo presentare a scuola un'ora prima, per questioni di organizzazione. Prendiamo posto in una delle classi più grandi dell'istituto situata nel cosiddetto "attico", il piano più alto. Su ogni banco c'è un post-it con i nostri nomi e cognomi.
« Dannatamente formale » dico tra me e me, sfiorando il foglietto con le dita e mi accomodo.
Inizio test.
Fase uno completa.
Elemento 01: rilasciato.
Buongiorno Aurora.
Mi guardo attorno sconcertata. Il bruciore al petto torna a farsi sentire e vi strofino sopra una mano per alleviarlo, per un secondo mi manca il respiro. Nascosto in un angolo dello zaino, c'è il quaderno. La porta sbatte violentemente, causando un sobbalzo generale, di tutti noi che abbiamo preso posto. Si respira una certa agitazione nell'aria, mentre nella mia testa è puro sconcerto. Passo una mano tra i capelli. Il mio respiro di nuovo non vuole essere regolare, sento di star per implodere. Ci vengono distribuite le tracce d'esame ed i fogli a righe, li guardo di sottecchi. Una rapida lettura, mi tranquillizza, d'altronde è solo un lungo tema, non vedo motivo per essere così in ansia.
Il suono della campanella.
Sollevo la testa, con un brivido che mi percorre tutta la schiena. Qualcosa non va. Non dovrebbe suonare, persino i professori si guardano tra loro confusi. Il bruciore al petto è sempre più intenso, cerco di premere le mani sul petto il più possibile per farlo cessare.
Durata del test 24 ore.
Ogni ora.
Riecheggia nella mia testa, sbattendo contro le pareti invisibili del mio essere. Qualcosa si muove, si agita dentro di me, sento che sto per vomitare. Con una mano mi copro la bocca e trattengo un lieve gemito di dolore.
« Restate qui ragazzi, sarà solo un problema a livello tecnico » i professori lasciano l'aula.
Sento gli sguardi cadere su di me, silenziosamente cado con la testa in avanti e stringo forte gli occhi. Mi scivola una lacrima lungo la guancia, viene bloccata dalle mie dita. Intanto gli intrepidi "uomini" spalancano la porta e si avvicendano nel corridoio, convinti di poter fregare i professori. Pensano che sia tutto un caso. Guardo attorno a me. Le estremità delle mie dita paiono voler diventare un tutt'uno con la grana spessa del banco. Mi spingo su esse, facendo scivolare indietro la sedia, ma le mie gambe faticano a tenermi in posizione eretta. Deglutisco.
Lascio la classe a passi lenti, con zaino su una spalla, e l'istinto primordiale mi porta a scendere sino al primo piano dove c'è l'ingresso. Il rimbombo dei miei passi sulle scale suona come una tetra canzone, quasi rilassante, ma quando provo a spingere il maniglione antipanico della porta d'uscita la trovo chiusa. Il mio sguardo scorre sulla portineria, e poi giù per il corridoio, verso la segreteria con la speranza di trovare qualcuno. Non c'è nessuno, solo silenzio.
« Strano » sussurro.
Accanto alla porta principale vi è la sala professori, nella quale mi sembra logico insinuarsi. Le finestre sono spalancate ed il vento muove le tende verso l'interno. Prendo un lungo respiro. Sporgo il mio corpo all'esterno, con dolcezza.
Aspetta un sussurro nella mia testa perché non vuoi restare qui?
« Chi c'è? » mi volto di scatto « Chi sei? »
Scoprilo.
« Cosa sei? ».
Mi metto in piedi sul davanzale ma, come un gancio destro dritto nel ventre, il vento mi fa capitombolare sul pavimento. I miei polmoni si svuotano completamente. Arranco.
« Quindi è così che stanno le cose? »
Mi lancio correndo fuori dalla finestra, ma di nuovo vengo sbalzata indietro.
« Merda! ».
Sbatto i pugni all'aria. Che cazzo sta succedendo? Quando mi sono sporta con calma non sono caduta. Impreco a denti stretti ed esco dalla stanza, ma il rumore che producono i miei passi è differente, come se avessi messo il piede in un liquido. Abbasso lentamente lo sguardo. C'è una pozza. Il mio corpo rimane immobile, per qualche secondo. Indietreggio piano, lasciando l'impronta scarlatta della mia suola. Non riesco a distogliere lo sguardo, quando da sopra lo stipite della porta, il sangue continua imperterrito a sgorgare. Una goccia mi cade in pieno viso.
Prego le mie gambe di non abbandonarmi, ma si afflosciano, così facendo mi si sporcano le ginocchia. Gattono continuando a lasciare le impronte sul pavimento, finisco contro il muro e mi rannicchio il più lontano possibile. Cerco di pulirmi sfregando le mani, ma più lo faccio più si espande. Lancio un urlo tra i denti, per poi coprirmi la bocca, qualcuno potrebbe sentirmi. Mi precipito su per le scale, aggrappandomi al corrimano in legno per darmi più slancio. Dietro di me le impronte di sangue spariscono, man mano che proseguo. Arrivata al secondo piano compio due salti indietro e mi guardo le suole, finalmente pulite. Striscio i piedi finendo con la schiena contro ad un pilastro, mi sostengo ad esso. Recupero un po' di fiato, appoggiando la fronte contro il freddo cemento. Sperando di trovare qualcuno, ripercorro la strada che, all'incirca un'ora prima, ho fatto per raggiungere l'aula, nel quale di sarebbe dovuto svolgere il nostro esame. La porta è socchiusa, mi sporgo all'interno notando una figura accanto alla lavagna.
« Chi c'è? »,
« Sento, il tuo respiro », ottengo una flebile risposta.
Volto lentamente lo sguardo, la figura è immobile. Mi avvicino, con il cuore che rimbomba nelle mie orecchie, quasi sulle punte. Riconosco i folti ricci biondi di Alice, notando che è seduta sulla sedia posta dietro alla cattedra. Tiene la testa adagiata sopra un braccio, rivolta verso la finestra, come se si stesse appisolando durante una lezione. Scivolo accanto a lei, posando una mano sul suo braccio.
« Michele », sussurra voltandosi verso di me.
Soffoco un urlo, coprendomi la bocca con le dita, e faccio un salto indietro. Al posto dei suoi occhi ci sono due buchi rossastri, grondanti di sangue scuro e pastoso. Scivola sulle sue guance, sporcandola.
« Mi sento debole », barcolla provando a toccarmi, « Sto ... morendo? ».
La prendo dolcemente in braccio con facilità e la adagio con attenzione sulla cattedra, cerco di tamponare le due profonde ferite coprendomi le mani con le maniche della felpa.
« Grazie ».
Resto a guardare la vita che sciama lentamente via dal suo corpo, cercando di rallentare sempre più quel momento.
« Ho freddo », sussurra delicatamente.
Le accarezzo i capelli lentamente, guardando impotente il sangue che continua a sgorgare una volta che ho tolto le mani. Non posso fare nulla di più, mi sento completamente inutile. Il suo petto non si solleva più e la sua testa si china lentamente verso di me. Le sue labbra sono socchiuse nei suoi ultimi sussurri che non sono riuscita a decifrare, prendono un colore violaceo. Le chiudo le palpebre, con la punta delle dita, una volta che i fiotti di sangue cessano. Le mie dita sono ancora più sporche. Mi allontano di scatto, avvicinandomi alla finestra s strappando la lunga tenda che arriva sino a terra. La adagio sopra di lei, nascondendola, ma nel farlo i miei occhi si riempiono di lacrime, la vista mi si appanna a tal punto che vado a sbattere contro ogni banco. Finisco a terra, crollando nel turbine dell'incoscienza.
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