Capitolo Quarto
I suoi occhi grandi sono puntati di me, mentre prova ad allontanarsi tremando. Il cacciavite cade dalle mie dita, trapelando un lieve tintinnio. Non ho il tempo di pensare, che sono a terra e la stringo in un forte abbraccio. Il suo corpo pare una foglia mossa dal vento.
Non reagisce.
Trema.
« Da ... vid » balbetta.
La zittisco con un sibilo. Si appoggia a me a peso morto. La sollevo. Le sue gambe non la reggono in piedi. Me la carico sulla schiena senza pensarci due volte. Continuo a provare a parlarle, ma l'unica parola che dice è quel nome.
La tua bontà mi spiazza.
« Sta zitto » sbotto sottovoce.
Emette un mugolio. La sistemo meglio.
Mary è poco distante. Immobile. Rivolta verso la parete più nascosta dell'edificio.
« Hei! Mary! »
Nessuna risposta.
« Mary, ho trovato ... » .
Giungo accanto a lei. I miei passi si interrompono.
« Giulia » sussurro.
La ragazza si sporge debolmente dalla mia spalla. Sento il suo respiro cessare per un secondo.
Urla.
Mi porto una mano all'orecchio. Cadiamo. Resto a terra. I sottili fili d'erba si insinuano fra le mie dita. I miei polmoni si rifiutano di prendere aria.
Giulia scatta in avanti, gattonando. Sbatte i palmi contro il freddo cemento. Le sue lacrime scorrono copiose. Ogni gemito strazia il cielo ed il mio animo nel profondo. Stringo la testa tra le mani. Mi dondolo piano. Respiro a fatica. Ogni mia estremità reagisce autonomamente. Le dita dei piedi danno la spinta al mio corpo verso indietro. Cado stesa. Mi rannicchio su un lato in posizione fetale. Il mio petto si alza sempre più velocemente. Tossisco. La vista mi si offusca.
Il corpo di David. Sollevato contro la fredda parete. Crocefisso. Quattro coltelli affondati nella sua carne. Sgorga ancora sangue dalle ferite. La testa piegata in avanti. La fioca luce tra le nuvole lo evidenzia. Il suo viso pallido, ha perso ogni forma di colore. Gli occhi socchiusi, vuoti.
« Perché? » sussurro « Perché? Perché? Perché? ».
Colpisco il terreno con dei pugni. Urlo.
Fermati.
Una mano si posa sulla mia spalla. Ogni fibra del mio corpo cessa di muoversi.
« Fanculo » sussurro.
Le nocche iniziano a dolere. Dei sassolini si sono incastonati nella mia pelle. Trattengo un lamento. Mary mi aiuta a sollevarmi. Tiene una mano sulla mia spalla.
« Giulia » sussurra.
Annuisco. La raggiungiamo lentamente. Sembra un cucciolo impaurito. Resta rannicchiata accanto al muro. Non emette suono da più di un minuto. La avvolgiamo in un abbraccio. Ci scambiamo uno sguardo d'intesa. Mary la solleva in braccio. Ci avviamo verso l'interno.
Chiudo la porta dietro di me. Qualcosa non lo permette. Mi chino. Un bracciale di legno e piccole conchiglie. Lo scorro tra le dita. È ricoperto di sangue secco. Mary nota che non sono accanto a lei.
« Che c'è? » si volta
« Ho trovato questo ».
Mary si stringe nelle spalle.
« Nicola ne ha uno simile ».
Il gancio destro dritto sul naso, seguito da un lieve tintinnio. Il ricordo è nitido. Questo bracciale lo provocava. Lo indosso, stringendolo tra la spalla ed il gomito. Saliamo lentamente le scale sino al primo piano. Nella zona delle bidelle vi è una branda. Spesso utilizzata in caso di svenimenti improvvisi. Mary adagia Giulia, con la dolcezza di una madre. La copriamo con i camici delle bidelle appesi appena lì accanto. Appallottolo la mia felpa e la poso sotto la sua testa. Le sistemo i capelli. Lascio cadere la cartella poco distante. Mi sgranchisco la spalla.
« Ho bisogno di lavarmi le mani » sussurro « E vado a controllare se in magazzino c'è del cibo »
« Sta attenta ».
Le faccio un cenno ed esco. Ringrazio la me stessa di stamattina per aver scelto di indossare le lenti a contatto. Sicuramente mi si sarebbero già rotti gli occhiali in questa situazione. Sto cercando di impormi di sdrammatizzare. Mi guardo allo specchio. Sento la testa pesante. Tutto ciò mi sta facendo impazzire. Sciacquo il mio viso con dell'acqua fredda. Lo specchio davanti a me esalta ancora di più il mio aspetto. Sono orribile. Le mie guance si stanno incavando. Un alone violaceo sotto gli occhi. Intravedo riflesso qualcuno dietro di me. Volto la testa con uno scatto. Le mie nocche martoriate si colorano di bianco, sto stringendo il bordo del lavello.
« Ancora tu? » sussurro
Ti ricordo che sono parte di te.
« Ma si può sapere chi ha deciso questo? Cosa è il mondo invisibile? »
Vedilo un po' come uno specchio. Tu puoi vedere dentro esso ciò che c'è, ma non puoi entrarvi. Il mondo invisibile è stato per anni dietro ad uno specchio, senza mai poter fare nulla. Solo ad osservare. Notando ogni imperfezione. Desiderando cambiare ciò che vedeva. Per anni ha atteso che qualcuno creasse un modo per attraversare la sottile linea che separa i due mondi.
« Non bastava il quaderno? »
Davvero non ti sei accorta di nulla?
« Cosa avrei dovuto notare? » corrugo la fronte
Il risultato della tua fusione con il quaderno, ciò che veramente ha rotto il muro tra il mondo visibile e il mondo invisibile.
Il giorno prima torna nella mia testa. La figura con le mani coperte da guanti. Il quaderno spinto a forza nel mio petto. Il dolore. Lo sguardo offuscato.
Un tonfo.
Qualcosa è uscito da me.
Qualcosa di vivo.
« Cosa è? » sillabo
L'essere perfetto. L'opposto di ciò che sei. Senza di te non sarebbe stato creato. Il tuo IO è stato scelto per essere come questa figura nello specchio. Così simile eppure perfettamente opposta. Ogni tuo comportamento, ogni tuo sentimento. La perfezione.
Barcollo. Poso una mano sul muro per sostenermi.
« Perché? »
Non dovresti farti così tante domande.
Porto le mani sulle orecchie. Non voglio più sentire neanche una parola. Traggo un lungo respiro. Devo scendere nuovamente nel piano interrato.
Per la terza volta, la campanella suona.
Sento il cuore rimbombare nelle mie orecchie. Per muovermi ormai non sollevo più i piedi, li striscio. Finisco contro il muro. Riesco ad evitare di farmi male alla testa. Le mie braccia sbattono violentemente.
Mi sale la nausea.
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