Capitolo Dodicesimo


Affondo le dita nella corteccia di un albero, aggrappandomi per non cadere. Sto correndo a perdifiato, immersa in quel tetro bosco nel quale perdersi pare la cosa più facile. Dei taglietti, causati dalle piccole scaglie di legno, mi rendono i polpastrelli insensibili. Getto di lato i rami più bassi, incappando spesso e volentieri in qualche ragnatela. I miei passi cessano, facendomi crollare addosso il completo silenzio. Volto il viso non ritrovando nessuno, davanti e dietro di me solo un numero indecifrabile di alberi. Poso la schiena contro quello più vicino, con la speranza di vedere spuntare qualcuno tra le fronde, ma viene smentita nell'arco di poco. Il mio respiro si regolarizza, riesco solo a finire seduta sull'umida terra. Chiudo gli occhi, voltando il viso verso il cielo, sino a quando sento qualcosa posarsi sulla mia fronte.

« Ho fatto una promessa, accertarmi che il suo esperimento andasse a buon fine. Non potrai fare nulla per impedirmelo, ragazzina ».

Di fronte a me, in controluce, vi è una figura dalle spalle larghe completamente vestita di nero. Mi porto una mano sopra gli occhi per oscurare il fascio di luce dietro di lui, frastagliato tra i rami. Riesco a mettere a fuoco solamente il suo braccio proteso verso di me, la grande mano coperta da un guanto in lattice ed il quaderno, esattamente sulla mia testa. Con uno scatto istintivo blocco il suo polso e mi tiro in piedi, arrivando a stendo con il viso al suo collo.

« È maledetto » stringo i denti.

Le sue labbra si piegano in un ghigno e poi lascia cadere il quaderno ai miei piedi, per poi voltarsi e scansarsi con facilità dalla mia presa.

« Tieni con te il quaderno, Aurora. Questa è l'unica cosa che posso chiederti in onore di tutto il bene che gli ho voluto », la sua voce è spezzata.

Mi indica con un dito, mentre una lacrima gli scorre sulla guancia destra.

« Sai tu non dovresti vedere questa cosa come una maledizione, ma come un grandissimo onore! Perché quel quaderno è stato creato per uno scopo nobile,un ideale che proviene dal cuore! Morirà altra gente, ne muore ogni giorno, e quanti di loro avevano una famiglia? Amici? Persone care che soffriranno per la loro scomparsa? Un circolo vizioso di dolore e sofferenza che può essere interrotto grazie a questo! E grazie a te ».

Mi chino e raccolgo il quaderno da terra.

« Lui », sussurro, « Chi è? »

« Chi era », volta il viso guardando verso l'orizzonte,

« Io lo vedo »,

« Tu, lo vedi? », i suoi occhi scuri vengono illuminati da una lieve scintilla,

« Non completamente, è coperto da un grande cappuccio ».

L'uomo non ci pensa due volte e mi afferra per un polso, trascinandomi con forza fuori dal bosco. Faccio fatica a seguirlo, saltellando di tanto in tanto per stare al suo passo, sino a quando non mi lascia cadere su un marciapiede accanto al fiume. I suoi occhi lucidi mi osservano per un attimo, prende un lungo respiro.

« Da lì inizia un sentiero », indica alla mia destra, « Ad un certo punto arriverai ad un incrocio, prendi la strada che scende. », si passa una mano sotto il naso, « Ti porterà ad una specie di spiaggia sul lago, sa hai fortuna non sarà stata ancora completamente sommersa dall'acqua. È lì che si trova il suo corpo »,

« Tu come fai a saperlo? »,

« Perché ce l'ho messo io », mi solleva facilmente aiutandomi con una mano, « E quando lo vedrai digli che ha fatto proprio un bel casino, ma che sta andando tutto secondo i piani », accenna un triste sorriso.

Fa un rapido saluto portandosi due dita alla fronte, per poi scomparire di nuovo nel bosco. Resto titubante, ondeggiando sui due piedi fissi a terra, come in balia delle onde del fiume. Le sento sbattere prepotentemente contro il muro in sassi che fa da argine, così come le informazioni nella mia testa. Mi incammino, accompagnata dal suo scosciare nel piccolo sentiero, tenendo il quaderno ben saldo in una mano. Qualche ramo scrocchia sotto i mie piedi, salto qualche radice sporgente con facilità ritrovandomi davanti al bivio. Una roccia è posta perfettamente al centro della diramazione, non vi è alcuna indicazione se non delle frecce di un rosso sbiadito. Il piede mi scivola ritrovandomi costretta ad aggrapparmi ad un ramo.

« Aiuto ».

Finisco con il fondoschiena per terra, sporcandomi con la terra bagnata ed imprecando a denti stretti. Davanti a me si apre la piccola spiaggia, nascosta da occhi indiscreti grazie alla vegetazione. Due grandi massi la contornano ai lati, quello verso di me è sommerso sino a metà. Cammino quasi sulle punte, come se stessi entrando in un luogo sacro. Il mio occhio scorre poco lontano, ritrovando una rudimentale croce in legno nel terreno. Mi avvicino posandovi una mano sopra, stando di lato. Lascio cadere lo zaino ed il quaderno, mentre il mio corpo si affloscia in ginocchio. Le mie dita affondano nella sabbia, inizio a scavare con rabbia sporcandomi tutta. Nemmeno sfregando le mani tra loro la sabbia umida scivola via, per non parlare di quelle insinuata nelle unghie. Porto alla luce un sacco per cadevi nero, con la lampo bene in vista. Il mio cuore perde un battito, la faccio scorrere lentamente verso il basso, con non poca fatica. Do uno strattone e finalmente si apre.

Qualcosa mi colpisce sulla nuca, facendomi crollare senza sensi stesa. Solo il buio la fa da padrone questa volta, nessuna apparizione, nessuna voce. Sta scomparendo veramente?

« Svegliati! », spalanco gli occhi.

Mi massaggio la guancia, ritrovandomi ancora su quella spiaggia con Giulia a cavalcioni sul petto. Ride in modo sconclusionato, incorniciando il viso con le dita.

« Sei viva, », festeggia battendo le mani, « sarai ancora più gustosa da mangiare », saltella elettrizzata, « Dove l'ho messo il coltello? ».

Approfitto della sua distrazione per liberarmi dalla sua presa, facendola cadere con il viso nella sabbia. Scatto indietro di due passi, ma così facendo l'acqua mi bagna i piedi.

« Giulia », sussurro.

Si avventa contro di me, facendomi perdere l'equilibrio e cadiamo entrambe in acqua. La punta del coltello, che ci aveva rubato, è a pochi millimetri dal mio naso.

« Riprenditi! », le afferro con entrambe le mani il polso,

« Dovrai uccidermi ».

Con un gesto deciso si libera dalla mia presa, la lama crolla sotto il peso del suo braccio. Finisce nell'incavo della mia spalla, grazie al mio istintivo gesto di spostarmi. Respiro a malapena, con le labbra socchiuse e gli occhi spalancati. Sento il famigliare bruciore di un taglio, quando è a contatto con l'acqua.

Reagisci.

Le afferro le spalle e la scaravento a terra, cogliendola di sorpresa a tal punto che lascia la presa sull'arma. Le blocco le braccia con tutta la forza che mi rimane in corpo, facendola finire con la testa sott'acqua. Non stacco gli occhi dai suoi, digrignando i denti. Si dimena, cercando in ogni modo di riemergere con la testa, ma la tengo sotto con cattiveria stringendole il collo con le dita.

Mi allontano di scatto, lasciandola riemergere andandomi a sedere sempre in acqua poso distante. Che stavo facendo? Mi guardo le dita che tremano, per poi insinuarle tra i capelli e lanciare un urlo. Stavo uccidendo Giulia, senza se e senza ma, con la pura cattiveria del momento. Come un animale.

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