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Note autrice: Questa storiella nasce- indovinate da dove...- esatto, da un prompt su cc. Per questo motivo, per prima cosa, ci terrei a ringraziare chi mi scrive lì e mi scuso se ultimamente rispondo poco. 

Se mi seguite su Twitter sapete che non sto vivendo un bel periodo, anzi. E che questo mi porta a lasciare le storie incomplete e sento di non avere la concentrazione- spesso, nemmeno le capacità- di scrivere.

Ma questa storia volevo assolutamente portarla a termine per dedicarla alla mia piccola Gaia ( @thankyoumikey ) che è una persona stupenda e che ringrazio infinitamente perché in questi giorni è uno dei miei punti fermi, sempre disposta ad ascoltare e a spendere qualche parola buona per me.

Grazie Gaia, ti amo tanto.

Buon compleanno. ♥ 


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Il motivo per cui Simone si sia chiuso in camera- per di più, a chiave!- non è poi un mistero agli occhi di chi, quella sera, si trova a casa Balestra.

Le urla che hanno quasi fatto tremare le mura della villa sono state impossibili da nascondere, nonostante la promessa che i due ragazzi si son fatti l'un l'altro: eventuali discussioni tra noi restano tra noi, va bene? - aveva proposto infatti il più giovane- sì, tra noi.

Eppure eccoli ora, uno chiuso in camera e l'altro a girare in tondo in cucina, dopo aver tuonato le peggiori parole, di là in salotto.

"Manuel". Rompe il silenzio Dante. " Non dovresti magari, non lo so, andare a vedere di parlare con Simone?"

"Perché? Perché devo esse sempre io, professó?!"

"Beh ..ho sentito tutto e..insomma, mi pareva sconvolto. Lo so che parlo da padre, però..."

"Ecco, appunto, professò! Lei parla da padre! Io invece un padre non ce l'ho mai avuto quindi forse è il caso de evitá di fare pure il mio, eh professó!? Che ne dice?!"

La sua voce trema, vittima della rabbia ma lo sguardo ferito dell'uomo lo zittisce.

"Manuel." si limita a richiamarlo, il tono fermo e pacato.

"Va bene, ho capito. Mi dispiace professó. Ho esagerato, me dispiace. Non volevo...non volevo risponne così, a lei. Me dispiace."

L'uomo annuisce, del resto ritiene che il ragazzo non abbia tutti i torti. Lui non è suo padre . Ma Manuel non ha mai rifiutato un suo consiglio, anzi.

Era spesso lui stesso a chiedergli d'essere ascoltato e a rendere ogni piccolo consiglio così prezioso da condividerlo con l'unica persona che per lui, in quella fase della sua vita, contava davvero e più di tutti.

Che poi questa stessa persona fosse quella che considerasse gli stessi consigli al pari di aria fritta, solo perchè provenienti proprio da quella persona, non è mai stato un problema.

Per Manuel, il parere di Dante è sempre stato meritevole di ascolto.

Era stato lui a convincerlo del bisogno di chiedere aiuto per tirarsi fuori del tutto dagli impicci con Sbarra, quando era ancora un ragazzino e i suoi "Lascia sbollire la rabbia." erano stati parecchio preziosi nel capire i tempi di Simone, al fine di ogni discussione.

Lasciar sbollire.

Oppure... Com'è che gli aveva detto?

Ah, sì. "Disi....Disinnescare": se dice così, no?

Ripete sempre a sè stesso che prima o poi dovrà imparare un paio di quei termini che il professore gli suggerisce nel corso delle loro chiacchierate, per utilizzarle poi, con Simone.

E se ad ogni consiglio di lasciar passare del tempo, prima di un nuovo confronto con il fidanzato, era seguita una tacita obbedienza; questa volta l'idea di dover andare subito a parlare con Simone- sotto consiglio di Dante- lo irrita terribilmente.

"Andrò a parlargli tra un po'."annuncia, più per evitare l'eventuale insistenza da parte del professore, che per un'effettiva convinzione.

"Tanto, se non salgo io su, figurati se quello scenne." aggiunge, come ripassata finale sul comportamento del più piccolo.

"Simone, alle volte, sa far diventare matti."mormora Dante.

"Eh. Appunto. E soprattutto sapete cos'è che fa diventà scemo!? Il fatto che se devo stà tre ore- tre ore!- per capì che ce sta qualcosa che non va! Nun je passa nemmeno per l'anticamera der cervello de dimme Oh Manuel, dobbiamo parlà. Mai! Sò sempre occhiate che me lancia, braccia conserte, gesti che- 'o vole un caffè, professò?"

"Guarda che potete continuare a sparlare di me anche se sono presente."

La voce di Simone, protagonista assoluto dello scambio tra Manuel e Simone, in un istante riempie la stanca.

"Non ti preoccupare" continua a dire, con tono sarcastico "Tanto, com'è che dici? Che io non te faccio capire mai niente?"

Raggiunge il frigo in pochi passi, aprendone lo sportello per tirar fuori la bottiglia in plastica rigida del succo di frutta alla pesca che è solito bere di tanto in tanto.

Ne beve un sorso direttamente dalla bottiglia per poi stringerne con talmente tanto vigore il tappo da storcerne la parte superiore.

 "Fate come se io ci fossi, davvero."

L'istante di silenzio che ora fa da padrone si riempie solo di occhiate di fuoco che saettano tra i due ragazzi, mentre uno resta in piedi e incrocia le braccia al petto. La schiena poggiata sull'anta del frigo ormai chiuso. E l'altro rimane seduto e allarga le braccia sul tavolo. I palmi della mani rivolti verso la superficie piana.

Un lamento gli sfugge dalle labbra, prima di alzare le braccia verso il compagno e "Allora 'o vedi che ho ragione, eh? 'O vedi che ho ragione a dire che preferisci statte zitto e aspettà che sia io a capire cos'è che te fa 'ncazzà, piuttosto che parlarmi direttamente e dire le cose come stanno?"

"E come stanno le cose, eh, Manuel?"sbotta il più piccolo. "Stanno che tu torni a casa e senza che io abbia fatto nulla mi urli addosso! Che te metti a dire che io devo farmi gli affari miei mentre tu ti crogioli nelle tue paturnie gettando su di me ogni malumore! "

Ogni frase che passa l'aria si fa sempre più glaciale e tesa.

Dante osserva la scena come fosse un opinionista televisivo, scuotendo la testa durante il parlare dell'uno e annuendo per l'altro. Pronto ad approfittare del primo momento buono per uscire di scena e lavarsi le mani di tutta la faccenda.

Batte le mani in quella che sembra essere la rassegnata constatazione di un dramma e con la stessa pacatezza azzarda un timido "Ragazzi, io..."

"Tu siediti!"

"Simone, ma sono cose tra voi! Che c'entro io in tutto questo?!"

"Ormai sei qui e resti."

"Eh...e vabbè, sono qua. Resto."

"Professò me dispiace, ormai è nostro ostaggio e deve restare."attesta Manuel, soffocando una risata. "Avà Simò, lasciamolo andà... almeno lui.", tenta poi, con un altro sorriso.

"Va bene."si arrende quindi il corvino. "Vai".

Eccolo, il momento buono.

Dante non se lo fa ripetere due volte. Scatta in piedi in fretta e con la stessa velocità esce dalla stanza, chiudendo la porta alle proprie spalle per permettere ai due di parlare.

Il tonfo della porta lascia dietro sé qualche istante ancora di silenzio.

È Simone a spezzarlo per primo.

"M'ha fatto male, Manu. Sentirti urlare in quel modo mi ha fatto male."

"Ma non era mica per te Simò! Te l'ho detto: è stata 'na giornata infernale e , a volte, quanno c'ho giornate infernali, me viene difficile stà tranquillo! Tutto qua!"

In fondo Simone lo sa, che Manuel non sta mentendo.

E che il lavoro può farsi così pesante e frenetico da far saltare ogni possibile nervo.

Ma la reazione avuta da Manuel e il suo modo di respingerlo l'hanno semplicemente spaventato.

Troppo orgoglioso, Simone, per dirlo chiaramente ma sì, l'hanno davvero spaventato.

Sarà forse colpa delle tante ore passate in camera, quando era ancora un bambino, ad ascoltare i litigi dei suoi genitori, chiusi nell'altra stanza.

Della sfuriata subita da Dante il giorno in cui aveva scoperto di suo fratello Jacopo o di quella di Manuel, il giorno del suo incidente.

Non si sa, ma quel che è certo è che più alti si fanno i toni, più Simone si stringe in sé stesso, come un riccio che non trova alcun riparo e a cui non resta altro che farsi più piccolo che può e aspettare che la bufera intorno a lui svanisca.

"Sì ma, tu sai."mormora, abbassando lo sguardo verso il tessuto delle maniche della felpa che inizia a tirare nervosamente, a coprire le dita. "Tu lo sai."ripete.

Tu lo sai, che mi spaventano.

Anche se non lo dico, tu lo sai.

Manuel si alza lentamente dal suo posto, raggiungendolo piano.

Le braccia larghe e semi tese verso di lui lo racchiudono presto in un abbraccio. "Amore ...lo so", sussurra, carezzando la sua schiena. "Ho sbagliato. Mi dispiace, ho sbagliato."

Si scosta quel che basta per poter baciare le sue guance che son diventate di porpora.

Con una mano gli scompiglia i ricci, intrecciandoli tra le punta delle sue dita.

La scia di baci si sposta fino alla tempia mentre il volto del più piccolo trova rifugio sulla sua spalla.

"Riuscirai a perdonarmi ogni volta?"

"E tu? Riuscirai a sopportare questo matto pieno di paure?"

Scivolano entrambi in una lieve risata, cui suoni si mescolano.

"Scusami se non sono salito subito per chiarire. Sai che sarei salito a momenti per venire a parlare..."

"Davvero?"

"Beh.. ci siamo promessi di non andare mai a dormire arrabbiati." ricorda il maggiore, con un sorriso. " No?"

Simone annuisce appena, prima di spingere le proprie labbra su quelle del fidanzato, stringendolo più forte tra le braccia.

"Ti amo tanto amore...com'è che dici tu? To the moon..."

"...and back."

"To the moon and back." 

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