Capitolo 1
Tredici anni e qualche mese dopo...
Erano appena le sette del mattino e Manhattan si stava già risvegliando: le finestre delle case illuminate diventavano via via più numerose, le strade si affollavano di auto che sfrecciavano rapide sull'asfalto e le persone camminavano svelte lungo i marciapiedi.
Erano appena le sette del mattino, eppure il mondo pareva essere già in ritardo.
Il cielo era ancora scuro, come se la notte fosse riluttante a cedere il suo posto alla luce del giorno, e la gelida aria invernale sembrava quasi schiaffeggiare il viso pallido di Mathias, come a volerlo mantenere sveglio.
Sbuffò, consapevole che ora i suoi capelli corvini, che aveva sistemato frettolosamente prima di uscire di casa, erano di nuovo in disordine.
Leggermente infastidito da questo pensiero, tentò di distrarsi, portando altrove la sua mente: era un lunedì e, come tale, aveva lezione di recitazione al Majestic Theatre, lo stesso in cui la madre lavorava da anni come scenografa. Durante il primo mese, sapere che Emily lo sentisse recitare lo aveva fatto sentire estremamente a disagio, ma alla fine si era abituato: in fondo, era pur sempre sua mamma e la sua presenza era diventata piacevole e rassicurante.
Il fastidioso suono di un clacson lo riportò con i piedi per terra, quindi si guardò attorno nel tentativo a scorgere il bus che l'avrebbe portato a scuola e che, quella mattina, si ostinava a non voler arrivare.
Mentalmente, si augurò che arrivasse il prima possibile: erano già le sette e un quarto e non sopportava l'idea di essere in ritardo almeno tanto quanto era ossessionato dalla precisione.
Eppure, proprio quando ormai si stava rassegnando, il bus apparve dal nulla, come se qualcuno avesse finalmente risposto alle sue suppliche.
Vi salì, senza esitazione, seguito da altre persone, e rimase piacevolmente stupito nel notare che, in via del tutto straordinaria, era anche riuscito a trovare posto a sedere.
Era stato graziato.
Come da abitudine, poi, mise le cuffiette, ma non prima di aver sciolto quei nodi fastidiosi che si creavano ogni volta; infine, fece partire la playlist per rilassarsi un po'.
Dopo quelli che gli parvero pochi minuti, giunse a destinazione; si diresse quindi verso la scuola, superando con rapidità ed impazienza alcuni studenti più lenti e sicuramente meno propensi di lui a rispettare il regolamento scolastico.
Nel frattempo, le cuffiette erano già state riposte nella tasca della sua giacca e, con ogni probabilità, in quel momento si stavano impegnando per creare nodi quasi impossibili da sciogliere.
Una volta superato il portone della scuola, venne accolto da un piacevole tepore che, in un'altra occasione, gli avrebbe procurato più sonnolenza di quanta non ne avesse già in quel momento. Eppure, in quel caso non vi badò più di tanto; anzi, si avviò invece verso il corridoio, zigzagando agilmente tra i vari gruppetti di studenti radunati nell'atrio e cercando invano di allontanarsi dalla confusione. In effetti, Mathias si era sempre reputato un tipo piuttosto tranquillo e silenzioso, ma anche poco incline a socializzare con i suoi coetanei.
Sua mamma, invece, era l'esatto contrario e gli ripeteva che, da questo punto di vista, assomigliava a suo padre; non sapeva molto su di lui, se non che aveva lasciato sola Emily con un neonato da crescere e che, per l'appunto, erano molto simili.
Nonostante in molto glielo avessero chiesto, non lo odiava per averli abbandonati, perché, in fondo, come avrebbe potuto detestare così tanto qualcuno che non aveva mai visto né conosciuto?
Ad un certo punto, sentì qualcuno picchiettargli la spalla, interrompendo bruscamente i suoi pensieri.
Per lo spavento, si girò di scatto, ma si rilassò appena nel vedere Ellen Fray sorridergli. –Non ti stanchi mai di essere così puntuale?– commentò con ironia la ragazza, mentre scuoteva la testa, i lunghi capelli castano chiaro raccolti in una coda alta.
–Fammi pensare...– replicò, fingendo di pensarci su. –Assolutamente no! Piuttosto, sei pronta per l'interrogazione di storia?
Ellen lasciò cadere lo zaino accanto al suo banco. –Hai bisogno di rivedere le tue priorità. E a proposito dell'interrogazione... Sarebbe un problema suggerire qualche data alla tua migliore amica, nonché vicina di banco preferita?– gli chiese, facendo scherzosamente gli occhi dolci in direzione del ragazzo. Non che ne avesse davvero bisogno: per Mathias era difficile dirle di no.
Di conseguenza, lui si limitò ad alzare gli occhi al cielo, simulando disperazione, per poi annuire ed appoggiare lo zaino sul suo banco.
-Grazie, non so proprio come farei senza di te!– disse, avvicinandosi per posare un leggero bacio sulla guancia di Mathias, che adesso si stava pian piano colorando di varie sfumature di rosso.
Mentre fingeva di cercare un libro nello zaino, fece un respiro profondo, augurandosi che Ellen non se ne fosse accorta. –Te la caveresti comunque, in un modo o nell'altro.– le fece notare il ragazzo mentre tornava a guardarla negli occhi.
"Per mia fortuna, oltre a noi due non c'è ancora nessuno in classe", pensò poi, maledicendosi per essere arrossito per un motivo di così stupido. Aveva ereditato questo tratto dalla madre e non lo sopportava, soprattutto perché gli conferiva sempre un'aria da bambino e, avendo cominciato la scuola un anno prima rispetto agli altri -era nato verso la fine di gennaio-, era comunque il più piccolo nella sua classe, anche se, per via della sua altezza, nessuno avrebbe potuto dirlo con certezza.
-Quindi, hai capito?- la voce dell'amica lo riportò alla realtà, facendolo sobbalzare.
Mathias avrebbe desiderato prendere a testate il banco: anche l'inutile capacità di perdersi nel suo mondo era tipico di Emily.
-No, ehm, mi dispiace, mi sono distratto- si scusò, cercando di non lasciar trasparire il suo imbarazzo, almeno questa volta. -Potresti ripetere?
La giornata continuò, lenta e monotona come le precedenti.
Mentre rifletteva, quasi non si rese conto di essere arrivato davanti all'edificio dai colori giallo e azzurro pastello.
Perso nei suoi pensieri, cominciò a salire le scale in marmo e credette di rischiare l'infarto nel vedere Leeroy, il suo vicino di casa. Mathias notò con orrore che stava indossando una tuta dai colori appariscenti e intuì che quel pomeriggio avrebbe tenuto una lezione di yoga nel suo appartamento, come tutti i lunedì. Quest'ultimo lo salutò con enfasi:-Caro ragazzo, non hai un bel colorito! Sicuro di sentirti bene? Potrei prepararti questo infuso che...-
-Sto bene, grazie Leeroy. Magari un'altra volta.– rispose Mathias, cercando di essere il più gentile possibile e sforzandosi nell'accennare un sorriso, mentre si avvicinava alla porta di casa sua.
Mentre inseriva la chiave nella toppa, si chiese se Emily avesse utilizzato il suo potere di madre per ritrovare il suo orologio -era un regalo di compleanno da parte di William, il compagno di sua madre, e ci teneva molto-.
Appena mise piede nell'appartamento, però, il suo umore subì un brusco cambiamento: in cucina, seduto in modo scomposto su una sedia, c'era Will, le mani tra i corti capelli biondo scuro e la barba poco curata. Strano, effettivamente, per uno sempre attento come lui.
Tutto di quell'immagine trasmetteva onde negative e non era sicuro che Leeroy avrebbe apprezzato.
-Ciao, non mi aspettavo che fossi già a casa a quest'ora...- lo salutò, chiudendosi poi la porta alle spalle.
-Devo parlarti- esordì l'altro con voce stanca, interrompendolo.
-Non ti senti bene? È successo qualcosa? - chiese con un velo di preoccupazione nella sua voce. Nella migliore delle ipotesi, aveva scoperto che non trovava più l'orologio che gli aveva regalato; una parte di lui sperò che si trattasse semplicemente di questo.
L'uomo poi prese un respiro profondo, consapevole che ciò che stava per dire avrebbe cambiato tutto, ma era pronto ad accettarne le conseguenze:-Mathias, tua mamma è scomparsa.
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