OS 02 - "Severine" - 1/2

Buio.

Profondo.

Sotto la superficie dell'oceano, giù. Quanto l'altezza di un palazzo. Poi quella di un grattacielo. Infine il percorso di una metropolitana messo in verticale.

Un mondo fatto di sfumature del blu, creature fluttuanti, e rumori ovattati.

Dove il liquido amniotico del pianeta è più puro, culla di quanto di terrestre esiste e simbolo stesso del pianeta, e allo stesso tempo ambiente così alieno.

E così oscuro.

Troppa acqua sopra di lei, così tanta che faceva paura solo a pensarci, quanto facilmente potesse schiacciarla. Così tanta che nemmeno la luce, che pure percorre distanze intergalattiche, riusciva a filtrare fin su quel fondale rinnegato.

Severine chiuse gli occhi, e inspirò, profondamente ma con lentezza.

Sospesa, immersa nel nero, poteva percepire solo il proprio corpo.

Il respiro.

Il cuore.

Null'altro.

L'oceano ti reclama, Severine.

Ricordava quella frase, detta tanto tempo prima dell'incidente di cui tutti si erano presto dimenticati, ma che aveva condizionato la sua esistenza per sempre.

Ti reclama, lo capisci, Severine? Guardati!

Tirò un violento colpo di coda, con frustrazione.

Si era spostata in avanti, ma dove, persa com'era?

Ti vuole, Severine. Sei sua.

Quel buio... un ritorno alle origini ancestrali. E un presagio di morte scritto nella sua carne.

Doveva rilassarsi. Non era una buona idea farsi prendere dal panico lì sotto. Rischiava di perdersi, e farsi venire l'affanno con poco ossigeno era sconsigliato.

Curvò la coda e ondulò le braccia, per riprendere coscienza delle proprie membra.

«Non mi avrai...» mormorò, sogghignando. «Non so come mi hai raggiunta sulla terra, perché o come ti sei infilato nel mio codice genetico... ma non mi avrai. Sei solo acqua

Inspirò, ed espirò. Una volta. Piano. Una seconda. Gentilmente, con compostezza. Nonostante avesse la coda, tutto ciò che la circondava in quel momento — la pressione, l'acqua, il buio — l'avrebbe uccisa all'istante, non fosse stato per quel poco di ossigeno e per la sua tuta.

«Succede spesso. Tre lenti respiri, e sarà tutto a posto.»

Sentì l'aria sibilare fra le labbra, a meno di un centimetro dal casco. L'esoscheletro da sub che indossava la proteggeva dalla massa liquida che voleva schiacciarla come una gigantesca mano, ma iniziava a sentirlo stretto.

Afferrò il casco con le mani e sentì il debole rumore metallico. Voleva toglierselo, voleva respirare l'aria di campo. Invece aveva la testa infilata in quella maschera metallica che ora le sembrava soffocarla, e sapeva bene che era l'unica cosa a salvarla dalla calma distruttrice che aveva intorno.

Era disorientata, e non poteva muoversi. Se si fosse persa non sarebbe riuscita a tornare in superficie in tempo. Le sue mani scivolarono lentamente via dal casco, per arrivare a congiungersi sul petto, quasi a voler controllare il proprio battito. Ma l'esoscheletro rigido non le permetteva di sentire il movimento della propria cassa toracica.

Restò ancora sospesa, espirando, poi cercando nuova aria che diventava sempre più calda e umida, succhiandola come se avesse una cannuccia.

Quale respiro era? Il nono? Il decimo?

Strinse le palpebre, che tremarono per un attimo. Il terzo era passato da un pezzo.

Non voleva morire per colpa di quelle maledette perle.

«Non mi avrai...» mormorò. Nell'oscurità una piccola lacrima divenne la sua unica sensazione, espandendosi, enorme, quasi ad inglobarle il viso, il corpo, l'anima.

«Stai attirando persino l'acqua che ho nel corpo, vero?»

Sei sua, Severine. Guardati!

«Non sono tua! Sono qui sotto perché... perché...»

Si morse il labbro.

«...voglio delle gambe

Tirò un colpo di coda così violento da contorcerle l'intero corpo, inarcando la schiena e tirando la testa all'indietro.

«Non mi avrai!»

Luce.

Per un secondo non vide altro che un candido telo luminoso, alla distanza d'un chicco d'uva dalle sue cornee, trafiggendole gli occhi ormai abituati al buio, squarciando l'oscurità ma senza donarle informazioni sul mondo, solo un tipo diverso di cecità.

Poi vide una scritta fluttuante in quel mare latteo, quella luce forte che non era in fondo al fantomatico tunnel, ma la schiaffeggiava in faccia tanto era vicina.

[REBOOT]

L'esoscheletro si riavviò, riprendendo a funzionare. Il feedback visivo venne ripristinato, così come le torce sulle spalle e gli avambracci.

«Sì, così, dai!» esclamò, ridendo, col viso illuminato dal visore interno del casco.

Severine guizzò, facendo un giro su se stessa. Si voltò a guardare la coda meccanica; era molto più lunga della sua coda biologica, raggiungendo quasi due metri di lunghezza. Non aveva subìto alcun danno.

Le perle.

Doveva recuperare quelle dannate perle e tornare in superficie.

Il serbatoio principale riprese a pompare ossigeno fresco, vitale.

«Visto che mi hai dato la coda, potevi darmi anche le branchie!»

Porta rispetto per l'oceano, Severine.

«Certo, madre, certo...»

Alzò la testa, un movimento deciso, rapido; roteò la coda, e fu in posizione per scattare in avanti.

Era in una struttura artificiale, un corridoio metallico dalle pareti un tempo immacolate, che ora erano divorate dalla ruggine e dalle alghe. Schizzò in avanti percorrendolo in velocità e sbucando in una rampa di scale. Nuotò verso il basso, muovendo agilmente la coda dell'esoscheletro, flettendola con cura, perché era così lunga che mentre il suo torace percorreva una rampa, la coda era ancora nello spazio della rampa precedente.

Percorse altri corridoi, superando paratie stagne aperte da tempo e ormai bloccate in posizione, e girando sinuosa tra le svolte di quegli ambienti labirintici, che una volta erano stati tutti uguali, forse troppo. Ma adesso l'oceano aveva sistemato le cose: ogni parete aveva dei pattern di ruggine diversi, molluschi, alghe o anemoni che facevano disegni, colori e armonie differenti, tanto che alla sola occhiata era facile capire dove ci si trovava.

Alla fine dovette superare una parete d'acciaio spessa quanto la lunghezza di un avambraccio; passò attraverso un'apertura stretta, pensata per i robot di servizio della nave, prima che affondasse; solo lei, una sirena, poteva essere abbastanza sottile e avere l'agilità per nuotare lì dentro.

Dall'altro lato si trovò in un ambiente enorme, che le torce non riuscivano ad illuminare per intero. L'unica cosa che poteva vedere erano delle lunghe colonne che pendevano come stalattiti la cui base era persa nell'oscurità, verso l'alto. Da queste fuoriuscivano innumerevoli sottili appendici robotiche, ormai arrugginite e quasi irriconoscibili.

Si recò sul fondo, e le vide.

Tante sfere, ognuna della grandezza di una mela, ricoprivano il pavimento della sala; bianche, lucide, riflettevano la luce delle torce in una varietà caleidoscopica di riflessi. Dalla tecnologia così avanzata che nonostante tutti gli anni in mare sembravano appena fabbricate. E solo lei, una sirena, aveva la coda per nuotare in quel posto sepolto dall'acqua e le mani per poterle raccogliere.

Ne prese quante più poteva e le infilò nelle sacche stagne che teneva in vita; poi fuggì, senza un attimo di esitazione, serpeggiando tra gli stretti anfratti di quella nave dimenticata.

In poco tempo fu sul ponte di comando, del quale era rimasto ben poco: uno squarcio enorme aveva preso il posto della consolle e di gran parte della sala; al di fuori non c'era altro che oceano nero.

Severine lo attraversò con attenzione, anche se era così grande che ci sarebbe passato un intero trasporto merci. Tuttavia ogni volta la inquietava il metallo sui bordi, che nonostante fosse spesso e rinforzato era grottescamente ritorto; ricordava una martellata data da un pazzoide su un panetto di burro.

Pensò a coloro che si trovavano ai comandi al momento dell'incidente.

Nuotò fuori roteando su se stessa, senza peso, senza direzione, senza costrizioni. Libera.

Si voltò solo un attimo verso la nave; era un enorme catamarano da trasporto con tecnologia hovercraft ibrida, una volta il fiore all'occhiello della company che ne era stata proprietaria.

C'era una scritta su un lato, ormai consumata e immersa nell'oscurità. Ma Severine sapeva benissimo cosa diceva.

SeaQueen.

La regina del mare era morta.

Guizzò verso la superficie senza voltarsi.

* * *

«Dieci perle...! Faremo un sacco di crediti con queste!»

Robbie si passò una mano fra i capelli rossi, che non avevano una forma precisa, lasciandoli, se possibile, in uno stato di entropia ancora maggiore. Si tolse il monocolo neurale che quasi gli scivolò di mano, e lo posò sul bancone, facendo un ticun po' troppo forte per come dovrebbe essere trattato uno strumento da lavoro così costoso. Severine gli guardò le mani che erano sempre scure tra le pieghe della pelle e sotto le unghie. Anche i suoi jeans erano spesso coperti di macchie, e la ragazza non credeva che ormai lui ne avesse di puliti. Notò che era riuscito persino a sporcare la giacca in fibra autopulente. Su questa cosa aveva talento, dovette ammetterlo.

Severine era seduta sulla sedia motorizzata, seguendo Robbie per quella struttura che era al contempo sia officina che casa. Si osservò i capelli color legno di ciliegio, sfibrati e pieni di doppie punte, distrutti dalle continue immersioni.

Robbie le passò davanti con una perla in mano, scavalcando due servomotori poggiati a terra, che Severine invece superò facendo manovra. Quando lo raggiunse, nell'altra stanza, lui aveva già inserito la sfera nello scanner molecolare. Il sottile ronzio della sedia terminò non appena Severine gli fu di fianco a guardare i laser verdognoli che proiettavano una rete luminosa sulla sfera.

«Sono come nuove, le possiamo rivendere ad almeno trenta crediti l'una!» disse lui, grattandosi la testa con il dito medio.

«È quasi il doppio del solito...» mormorò Severine.

Finita la scansione, Robbie prese la sfera e uscì dalla stanza. Severine sospirò, mosse la sedia all'indietro e poi curvò per seguirlo. Lo raggiunse in officina, intento a preparare una valigetta imbottita. Severine osservò l'esoscheletro appeso al supporto, collegato ai cavi di ricarica. Si specchiò nel supporto metallico lucido; i suoi occhi azzurri come l'acqua caraibica si confondevano quasi nel grigiore del metallo; si aggiustò il top leggero che indossava e distese l'ampia gonna di tulle. Presi a poco prezzo nel mercatino online, era roba che a volte nemmeno arrivava perché i loro droni per le consegne erano talmente scassati che spesso si schiantavano prima di giungere a destinazione.

Poi tornò all'esoscheletro; seppur non nuovissimo, era un modello ancora prestante: la superficie era fatta a grosse scaglie tra il blu e il violetto e collegate da micromotori; inoltre era articolato in modo tale da non poter essere usato da una persona che avesse le gambe. Era appeso a dei cavi che passavano sotto le ascelle e la coda spariva nel boccaporto che si apriva nel pavimento, dal quale proveniva un odore salmastro e il suono dello sciabordio delle onde.

Era stato un regalo di sua madre per il suo compleanno; pensato per divertirsi, non certo per lavorare. Ma tant'era...

«Dobbiamo festeggiare!» La voce rimbombò dal corridoio; Severine non aveva nemmeno fatto caso a quando fosse sparito.

«Ehi! No! Aspetta...!»

La ragazza avviò la sedia che ronzando la portò pigramente nel corridoio.

«Ehi! Non andare in cucina! Rob! Mi hai sentito?»

Quando arrivò sulla soglia, Robbie ne stava già uscendo con una vodka in mano, tenendola in alto come un trofeo e osservandola con un sorrisetto idiota. Superò la ragazza schiacciandosi lungo la parete, e si avviò verso l'officina.

«Ancora con quella robaccia, Rob! Aahh...» Severine gli urlò dietro, ma dovette perdere tempo a girarsi nello stretto corridoio, oltretutto reso più impervio dai cavi ammassati alla rinfusa sul pavimento. Quando arrivò in officina, Robbie aveva già stappato e stava bevendo a canna.

«Rob, dai, no! Ca...spita!» esclamò la ragazza frustando l'aria con le braccia.

Ancora attaccato alla bottiglia, Rob la guardò con la coda dell'occhio, alzando le sopracciglia. Staccò le proprie fauci sputando qualche goccia sulla strumentazione sul bancone, e si pulì col dorso del braccio.

«Sev... gah» deglutì, «così parla la figlia della capitana

Severine si voltò di nuovo verso l'esoscheletro, appeso senza vita a succhiare elettroni nelle batterie. «È da tanto che la capitana non c'è più... e la nave è affondata, ok? E smettila di bere, dai.»

Robbie tornò alla bottiglia, ingurgitando il contenuto quanto più velocemente possibile, prima che Severine lo caricasse a mo' di ariete con la sedia. Il colpo lo sbilanciò ma non cadde; la ragazza allungò un braccio verso l'alto cercando di togliergliela, ma lui si girò di spalle, continuando a trangugiare il fondo.

«Smettila!» urlò lei prendendolo a pugni sulla schiena.

Lui prese fiato e si voltò, tenendo la vodka più in alto che poteva. «Dai, Sev! Festeggiamo, no?»

«Ti stai rovinando il fegato!»

«Embè? Me ne faccio fare un altro.»

«Sai quanto costa un fegato biostampato? Non lo trovi al supermercato!»

Lui fece spallucce.

«Rob... oggi l'esoscheletro si è spento.»

«Come al solito, il tempo di tre respiri e si riaccende.»

«Ci stavo restando, là sotto, Rob!»

«Cosa...?»

Severine espirò, abbandonandosi lungo lo schienale. «Quindici respiri... È stato spento più di un minuto.»

La ragazza gli afferrò la camicia, guardandolo negli occhi. «Ha bisogno di manutenzione, Rob.» Abbassò la voce. «Fatta bene. Capisci?»

La ragazza tirò su l'interno delle sopracciglia, con le labbra dischiuse; il rosso girò lo sguardo per la stanza, e poi lentamente abbassò il braccio. «È... è l'isolamento del bus di sistema, lo sai, dovremmo, dovremmo, uhmm...» disse grattandosi la testa e guardandosi intorno.

«Non puoi continuare a metterci pezze, Rob! Serve un sistema di isolamento nuovo.»

Robbie si inumidì le labbra, si morse le guance, e poi annuì.

«Serviranno almeno duemila crediti, Sev.»

Severine sgranò gli occhi. «Ah...» Si voltò a guardare l'esoscheletro, stirando gli angoli della bocca. «Ok...»

Entrambi sorrisero, seppur con amarezza.

Lui le indicò la gonna di tulle. «Quanto... quanto... eh?» balbettò.

La ragazza accarezzò il tessuto, sentendo la propria coda al di sotto. Due gambe fuse insieme.

«Cinquantamila crediti per un paio di gambe biostampate e immunocompatibili, più operazione e riabilitazione.»

«E...»

«Ho un quinto.»

«...ok.» Si grattò la testa. «Questa tua megalomania...»

«Sirenomelia

Lui la indicò. «Quella, sì... mi dispiace.»

Severine si morse un labbro. «Almeno sono viva. Trent'anni fa sarei morta appena nata.»

Robbie scosse la testa. «Certo. Sono contento che...»

La ragazza alzò lo sguardo con un sorrisetto sottile. «Sennò come te la volevi cavare...» Si allungò verso di lui. «Dammela.»

«Eh...?» disse lui, guardandosi la mano.

«Dammi quella stupida vodka, Rob.»

Riluttante, Robbie le passò la bottiglia. Severine la strinse così forte che le dita divennero bianche, e fece un gran sorso.

«Bleah

«Questa ci possia...»

Fu interrotto dalla visione di lei che la lanciava fuori dalla finestra e, qualche secondo dopo, un leggero pluf.

«Carica l'esoscheletro. Abbiamo delle sfere da recuperare.»

* * *

Un'aura fatta di bolle.

Ogni volta che si tuffava nel grande blu, Severine sentiva il cuore che si fermava un attimo, per poi iniziare a battere veloce, come un corridore che si mette in posizione e poi scatta in avanti dopo il via.

Il sistema di regolazione interno dell'esoscheletro manteneva la temperatura costante, quindi non sentiva la frescura dell'acqua sulla pelle come quando si tuffava in costume, ma a parte quello...

Si allontanò velocemente dalla costa, usando i due propulsori sulla schiena che le permettevano di coprire lunghe distanze in breve tempo, e andavano spenti quando le serviva agilità invece che velocità.

La distesa acquea era sconfinata, si allungava oltre il campo visivo, all'infinito, verso limiti che la vita terrestre non poteva concepire. A confronto, il corpo diventava piccolo, minuscolo, un puntino; e la mente diventava grande, enorme, illimitata.

Severine poteva andare in qualsiasi direzione, sospesa in quel tempo/non-tempo.

Era libera.

Per questo sua madre le aveva regalato l'esoscheletro per il suo quindicesimo compleanno.

L'oceano ti reclama, Severine.

Essere nata con una "coda di pesce", poteva essere considerato un presagio?

Ti reclama, lo capisci, Severine? Guardati!

La Sev di quindici anni aveva indossato la coda meccanica, lunga due metri, e l'aveva fatta roteare, schizzando in aria l'acqua della piscina di addestramento, così in alto da fare dei piccoli fuochi d'artificio liquidi.

Ti vuole, Severine. Sei sua.

E la quindicenne aveva sorriso. Non poteva operarsi prima d'aver completato lo sviluppo, e quindi nel frattempo tanto valeva essere davvero una sirena.

D'altronde sua madre era il capitano della nave da trasporto più grande della company, e i crediti non le mancavano. Bisognava solo aspettare.

Finché la SeaQueen non era esplosa.

E la colpa era di sua madre, che era ai comandi.

Così avevano detto.

Avevano confiscato tutti i suoi beni come indennizzo, e Severine si era ritrovata persa, senza nulla, sola. Le avevano lasciato l'esoscheletro, troppo custom per essere venduto, e una piccola proprietà in riva al mare.

Poi l'incontro con Rob, disgraziato quanto lei. E l'idea di fare un piccolo business con le perle...

«Sev, sopra di te.»

La voce di Robbie nel comunicatore la riportò al presente. Alzò la testa, e vide una sagoma nera percorrere la superficie, imponente ed elegante, incorniciata dai raggi solari che penetravano verso di lei come strisce di seta che danzavano nel vento.

Riconobbe la forma della nave sopra di lei. La SeaKing.

«Cosa ci fanno qui?»

«Dannazione se lo so, Sev... non vorranno mica recuperare la SeaQueen?»

«Vogliono le perle... le mie perle! Le mie gambe!»

Vorticando con la coda come una lunga molla la ragazza nuotò verso il fondale, abbandonando la luce, accolta dal blu che si faceva sempre più scuro, più cupo, più opprimente, eppure capace di nascondere così tanto il mondo da tranquillizzarle i pensieri.

Sbatteva la coda come una frusta facendo vibrare tutto lo chassis dell'esoscheletro.

E quando il blu fu diventato nero scorse delle luci, fastidiose ed estranee, lì sotto. Mise al minimo i propulsori.

«Un sottomarino...!»

«Descrivimelo.»

«Due propulsori esterni, alloggiamento per due o tre persone.»

Dal comunicatore arrivarono dei click di tasti e domande poste all'assistente vocale. Poi la risposta: «Sì, fa parte dell'equipaggiamento della SeaKing.»

«Non avranno le mie perle! Solo una sirena le può raccogliere!» esclamò Severine, schizzando via verso la SeaQueen.

«Ma... anche un drone potrebbe, solo che...»

«Solo che non è conveniente, lo so, Rob! Fammi sognare!»

«Scusa...»

Severine vide il sottomarino che si avvicinava allo squarcio nella nave. Che cosa volevano fare?

«Che cosa vuoi fare?»

Trasalì, fermandosi a mezz'acqua. «Eh?»

«Lo vedo dal sonar che ti stai avvicinando... che vuoi fare, bussare all'oblò?»

Già, cosa?

Decise che avrebbe controllato la situazione da lontano. Vide il sottomarino entrare nel buco dai contorni grottescamente seghettati, che quasi parevano le fauci di uno squalo deforme.

Fece un respiro profondo. La luce sparì.

«...no!»

«Che succede?!»

«Si è spento di nuovo!»

«Ma che dici, ti sto sentendo...»

La ragazza tossì. Era vero, l'esoscheletro funzionava perfettamente. Era il sottomarino che aveva spento le proprie luci. Ma perché?

All'improvviso, un lampo bianco.

Poi un vortice.

Infine il nulla.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top