CAPITOLO VENTITREESIMO - parte 1
Toby si mise a sedere al tavolo della cucina in completo silenzio. Non aveva alcuna voglia di parlare con Pietro, ma non fece alcuna obiezione.
L'uomo si sistemò davanti a lui, seduto al lato opposto del tavolo. Poggiò i gomiti sulla tovaglia e si passò le dita sulla barba cortissima, come se stesse cercando le parole giuste. Poi, con aria scocciata, disse:
-Se pensi che voglia chiederti scusa ti sbagli. Voglio solo sapere che cosa è successo a mia figlia-. Il tono della sua voce era duro, distaccato ed accusatorio.
Marlene poggiò il panno con cui stava asciugando le stoviglie e si avvicinò al tavolo, come volesse assicurarsi che non scoppiasse un altra lite.
-È stata investita da un auto- rispose Toby muovendo di scatto la testa come gli imponevano i suoi tic nervosi.
-Da un auto?- esclamò Pietro incrociando le braccia -Come?-.
-Era buio, il conducente l'ha vista in ritardo-. Toby sospirò, e puntò i suoi occhi marroni in quelli dell'uomo. -In parte è stata anche colpa mia, perché lei stava seguendo me-.
Pietro si bloccò per una manciata di secondi. Nei suoi occhi si poteva leggere una grande rabbia, che poteva esplodere da un momento all'altro; ma non lo fece: tentò di reprimerla.
Strinse i pugni, e disse: -C'è un solo motivo per cui non ti stacco la testa dal collo, e questo motivo è Natya. Ma tu prova anche solo a sfiorarla e giuro che...-.
-Hai ragione ad odiarmi, non ti biasimo affatto- lo interruppe il ragazzo.
-Lo credo bene. Tralasciando quello che hai fatto tre anni fa, tutt'ora stai rovinando la vita di Natya. Lei era felice, prima di ricordarsi di te-.
Quelle parole echeggiarono nella testa di Toby impadronendosi di tutti i suoi pensieri.
Lei era felice prima di ricordarsi di te.
Lei era felice prima di ricordarsi di te.
Lei era felice prima di ricordarsi di te.
Pietro aveva ragione. Natya aveva una vita normale fino a una settimana prima; non aveva nulla di cui soffrire, era una ragazza fortunata con due genitori separati ma amorevoli.
Poi era arrivato lui, ed aveva distrutto tutto.
La sua esistenza era da sempre stata soltanto una Piaga, prima per la sua famiglia, poi per Natya, poi per la società stessa.
Toby abbassò lo sguardo sulla tovaglia ricamata del tavolino.
In quel momento sentì ogni suo desiderio, sentimento ed emozione svanire; persino sé stesso svanì nel nulla e non ne restò più niente.
Esisteva soltanto Natya, pertanto avrebbe fatto solo ed esclusivamente ciò che era giusto per lei.
La sua presenza nella vita di Natya avrebbe portato solo e soltanto sofferenza. Il problema non era che adesso era stata investita: il problema era molto molto più ampio. A cominciare dal fatto che era ricercata dalla polizia a causa sua, che soffriva a causa sua, che stava rovinando il rapporto con i suoi genitori a causa sua.
Le stava rovinando la vita senza neanche accorgersene.
Tutto, tutto quanto non era stata che la conseguenza della sua vicinanza con Toby.
-Hai ragione- disse il ragazzo stringendo i pugni con tutta la forza che aveva in corpo. -Non voglio che Natya soffra per me, non ne vale la pena-.
Si alzò in piedi con lo sguardo basso, poggiando i palmi sul tavolo, e si incamminò a passo lento verso la porta d'uscita. Vi si fermò proprio davanti, i muscoli tremavano, le mani erano strette in due pugni rigidi.
-Toby..- balbettò Marlene, che non sapeva proprio cosa dire.
Pietro lo guardò con approvazione, e rimase in silenzio.
-Vi chiedo solo di dirle addio da parte mia. Potete farlo?- chiese il ragazzo, voltandosi indietro con le lacrime agli occhi.
Ma non attese alcuna risposta: non appena finì la frase uscì dalla porta, e la richiuse subito dietro alle spalle.
Se fosse restato anche un solo secondo di più, non sarebbe riuscito ad andarsene.
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