CAPITOLO VENTIQUATTRESIMO - parte 2
Marlene entrò in camera della figlia alle otto della sera. Le fece la solita puntura di antidolorifico e si assicurò che mangiasse, poi le diede un bacio sulla fronte e la lasciò dormire. Non immaginava che la ragazza stesse pazientemente aspettando il momento giusto per uscire di nascosto.
La donna infilò i piatti in lavastoviglie canticchiando una vecchia canzone, si lavò i denti e finalmente poté sdraiarsi sul letto; era davvero molto stanca, quella situazione cosí complicata la stava distruggendo.
Natya attese con pazienza fino a notte fonda, per essere assolutamente sicura che la madre fosse caduta nel sonno, poi si decide ad agire.
Sollevò lentamente la schiena dal letto, notando che la testa le girava leggermente, e prese un bel respiro. Si alzò in piedi, e d'impulso si avvicinò all'armadio per cercare qualsiasi cosa con cui vestirsi; ma realizzò poco dopo di fare immane fatica a muovere il busto, e che quindi sicuramente non sarebbe riuscita a sfidarsi di dosso il pigiama. Decise che non aveva alcuna importanza, e si infilò solo le scarpe; poi si diresse subito verso la porta della sua camera. La aprì con la massima attenzione, fortunatamente emise solo un flebile rumore che fu a malapena udibile; il corridoio era avvolto nel buio, e la porta che dava accesso alla camera di sua madre era chiusa. La casa era avvolta dal silenzio più totale.
Natya percorse il corridoio a passo lento, trattenendo perfino il fiato per paura che Marlene potesse sentirlo, e raggiunse in fretta la porta d'ingresso.
Quella era l'unica porta che avrebbe potuto fare più rumore delle altre, perché era chiusa a chiave ed avrebbe quindi dovuto far girare il chiavaccio; tuttavia, girò la chiave così lentamente che non si udì alcun suono.
Uscì senza indugio, e richiuse la porta con estrema lentezza.
Non appena realizzò di avercela fatta, il suo cuore prese a battere più forte.
Adesso doveva cercare Toby.
Il posto più logico in cui avrebbe dapprima cercato era il rifugio, anche se temeva che lui, proprio per non esser trovato, fosse andato da qualche altra parte.
Si incamminò lungo la strada sgombra e silenziosa. Un lampione lampeggiava lasciando un tratto di marciapiede al buio per diversi secondi, prima di illuminarlo di nuovo.
L'aria fresca della notte era fastidiosa e le causava brividi di freddo lungo la schiena, ed il silenzio regnava tutt'intorno.
Giunta davanti all'imbocco della piccola stradina, il cuore di Natya prese a battere ancora più forte. Proseguì lentamente, fino a che non si trovò davanti la casa abbandonata. Era avvolta dall'oscurità, ma riusciva a vederne il profilo e le fineste.
Si fermò davanti alla porta di legno marcio, ed affogò i polmoni in una abbondante boccata d'aria. Strinse i pugni, per farsi forza, ed entrò.
Avanzò i primi passi oltre l'ingresso guardandosi intorno, ma non vide Toby. Andò quindi alla sua destra, nella stanza in cui avevano sistemato le coperte ed i cuscini su cui dornivano.
Niente. Non era neanche lì.
Natya iniziava a temere che la sua supposizione fosse esatta, ma poi, per ultima, controllò anche la stanza ove Toby conservava le sue cose.
E lui era lì.
Era accovacciato a terra, con le ginocchia stette tra le braccia e la testa pendente, semiavvolto nell'oscurità. Sembrava dondolarsi, o comunque muoversi.
-T..Toby?- ballettò la ragazza avvicinandosi con insicurezza.
Lui sollevò di scatto la testa e la guardò.
Si sporse un pò in avanti, continuando a guardarla, ed un fascio di luce illuminò il suo corpo tremante. I suoi occhi erano spaventosamente tristi e vuoti, seminascosti da alcune ciocche di capelli che pendevano sulla sua fronte. Le sue labbra erano sporche; sporche di qualcosa che sembrava essere sangue secco.
Natya abbassò lo sguardo, e capì: anche le sue mani erano sporche di sangue. Le punte delle dita erano state compulsivamente rosicchiate e tagliate con i denti, tinte di rosso scarlatto.
Natya spalancò gli occhi nel realizzare in quali condizioni si trovasse, e senza alcuna esitazione su avvicinò frettolosamente a lui. Tuttavia, con una reazione imprevista Toby scattò indietro sbattendo la schiena contro al tavolo, e gridò con voce disperata:
-Ti prego, vattene!-.
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