CAPITOLO VENTIDUESIMO - parte 1
Scie di acqua calda scivolavano sulla pelle liscia di Toby, scendendo verso il basso lungo i lineamenti del suo corpo esile, accarezzando la sua pelle il cui biancore si alternava alle chiazze scure dei lividi.
In piedi nella doccia, con la testa appoggiata alla parete di mattonelle azzurre, teneva gli occhi chiusi lasciando che lo scorrere dell'acqua permettesse ai suoi muscoli di distendersi.
Un tic improvviso fece muovere la sua testa, ed alcuni ciuffi bagnati si spostarono sulla sua fronte comprendo parzialmente gli occhi marroni.
Uscì dal box doccia e si asciugò il corpo. Davanti a lui, un grande specchio rifletteva la sua immagine; era più magro di quanto ricordasse, ma non fu questo che si ritrovò ad osservare per una lunga manciata di secondi: i lividi che gli avevano procurato all'ospedale stavano scomparendo, ma adesso si erano sovrapposti a quelli che nuovamente si stavano creando, conseguenza delle botte subite da Piero.
Distolse lo sguardo, ed indossò frettolosamente i vestiti che Marlene gli aveva procurato. Gli aveva detto che avrebbe volentieri lavato i suoi, e che nel frattempo avrebbe potuto usare quelli.
Uscì dal bagno mentre si passava una mano tra i capelli umidi e si diresse verso la stanza di Natya; trovò la porta aperta, e proprio in quel momento Marlene stava uscendo.
-Oh, menomale, i vestiti ti vanno- disse sorridendo -Forse sono un pò grandicelli, erano di mio marito-.
-Vanno bene- rispose lui, accennando un lieve sorriso d gratitudine.
La donna tornò alle sue faccende dopo aver scambiato un lungo sguardo silenzioso, e Toby entrò nella stanza.
Natya sorrise appena lo vide. Aveva un aspetto molto migliore adesso: sua madre la aveva ripulita dal sangue con cura, e le aveva anche cambiato i vestiti; ora indossava un pigiama rosa, ed aveva i capelli raccolti in una coda di cavallo.
-Stai bene?- chiese la ragazza.
-Non dovresti preoccuparti per me, adesso- ribattè lui lasciandosi scappare un tono di voce vagamente aggressivo. Si mise a sedere a terra, accanto al letto. - Scusami- si corresse subito. Si sentiva davvero stressato, stanco, e triste; e contenere le emozioni pareva proprio non essere il suo forte.
-Non fa niente- rispose Natya - Non ti preoccupare-.
Il pomeriggio trascorse molto lentamente: Natya dormì quasi tutto il tempo, svegliandosi solo di tanto in tanto per poi riaddormentarsi subito dopo; mangiò un boccone alle sette, poi sua madre le fece un'altra puntura di antidolorifici e dormì ancora. Toby non si mosse da terra neppure per un istante, seppur si trovasse in una posizione palesemente scomoda.
Solo dopo diverse ore, ormai esausto, finì per cadere nel sonno a sua volta aggiando la testa contro al fianco del letto.
Il buio calò, e Marlene ebbe l'accortezza di accendere un abatjour sul comodino in fondo alla stanza.
Erano ormai le undici della sera quando Natya si svegliò. Dapprima non capì che cosa fosse il rumore che aveva interrotto il suo sonno, ma pochissimi istanti dopo, recuperando la lucidità, se ne rese conto.
Toby, accanto a lei, era di nuovo preda di un attacco di panico.
La ragazza voltò la testa per guardarlo, ma il corpo del ragazzo era parzialmente avvolto dall'oscurità e non era possibile vederlo in volto. Come le altre volte, aveva il fiato corto ed i battiti estremamente accelerati.
-Toby.. - borbottò girandosi di lato, mentre i dolori provocati dal movimento le facevano venire le lacrime agli occhi. Allungò una mano verso di lui e la appoggiò sulla sua spalla, accorgendosi che stava tremando come un bambino terrorizzato da buio.
-Sto bene.. Ora mi passa- disse lui, con immane fatica. La sua voce era esile e disperata. Afferrò la mano della ragazza e se la portò al petto, stringendola forte a sé.
Natya avrebbe così tanto voluto alzarsi ed abbracciarlo.. Se solo ne avesse avuto la forza.
Dopo pochi minuti, per fortuna, Toby riuscì a calmarsi.
Ormai esausto, tornò ad appoggiare la testa sul materasso. Natya gli avvolse con dolcezza una mano dietro al collo. -Toby- disse accarezzandolo -Non è stata colpa tua. Capito?-.
Lui non rispose, ma sospirò.
-Non voglio che tu ti senta in colpa-, è stato solo un mio errore, e comunque nessuno avrebbe mai potuto prevederlo. Sorrise, come per scacciare via tutto il dolore emotivo. - Ti voglio bene-.
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