CAPITOLO TERZO - parte 2
-Sono tornata- esclamò la madre di Natya chiudendosi la porta d'ingresso dietro alla schiena. Poggiò distrattamente le chiavi sul tavolo e si sfilò la giacca. Aveva pensato a lungo alla lunga conversazione che avevano avuto con lo psichiatra, e alla fine si era trovata d'accordo, anche con il Piero, di raccontare tutto alla loro figlia, come aveva consigliato di fare anche il medico. Lo avrebbero fatto a giorni, non appena entrambi fossero riusciti a ritagliarsi un paio d'ore libere da dedicare a questo.
La giornata trascorse in modo tranquillo, e Natya restò quasi tutto il tempo in camera sua, ignara di ciò che stava per accadere. Nonostante questo il suo umore era molto basso, perché si sentiva delusa dai suoi genitori e non riusciva a tollerare l'insicurezza che era nata dentro di lei.
Non aveva nemmeno voglia di parlare con sua madre, cosa che era abituata a fare nei momenti di sconforto, perché si sentiva tradita dalle sue bugie.
Quando fu sera ed il sole scomparve dietro ai palazzi, la ragazza sentì il telefono fisso suonare nell'altra stanza; stava per alzarsi, ma si accorse che sua madre l'aveva preceduta.
Non si interessò di ascoltare la conversazione per capire con chi stesse parlando sua madre; pensò si trattasse delle solite promozioni pubblicitarie telefoniche o di qualche parente che aveva chiamato per fare un saluto. Mai avrebbe immaginato che si trattava, invece, di suo padre.
-Va bene, ti richiamo io- disse la donna, poggiando la cornetta.
Natya quella sera cenò in silenzio, e lo stesso fece Marlene; la donna sembrava piuttosto tesa di trovarsi al cospetto della figlia, come se non sapesse se fosse il caso di parlare o meno.
Con la pancia piena, Natya si recò in bagno a lavare i denti, e si chiuse a chiave nella sua stanza; si sentiva molto stanca seppur non fosse stata una giornata particolarmente impegnativa; ecco perché si limitò a giocare pochi minuti con il telefono, prima buttarsi nel letto.
Forse fu proprio a causa della stanchezza, che riuscì a dormire tutta la notte. Niente strani incubi, niente di niente. Si riposò beatamente, recuperando tutte le ore di sonno perse negli ultimi due giorni.
Quando la ragazza si alzò il mattino seguente, tirò un sospiro di sollievo; forse quell'inferno era finito. Forse quei brutti sogni erano stati solo un disturbo passeggero, che si era risolto da solo con il tempo.
Quelle vane speranze, tuttavia, crollarono solo il giorno seguente. O meglio, la notte seguente.
Gli incubi ritornarono, ma stavolta furono molto diversi da quelli precedenti; più vividi, più reali, e più spaventosi.
Questa volta non sognò di trovarsi nella sua stanza, come le altre volte, ma in un bosco. Tutto intorno a lei era buio, e riusciva a malapena a distinguere le inquietanti sagome biancastre degli alberi illuminati dalla luce di una grande luna piena. L'aria era fredda, tanto che si creava una nuvola di condensa ad ogni suo respiro, ed il cielo nero sulla sua testa era privo di stelle.
La ragazza iniziò a camminare, spaesata, accorgendosi che una strana melma scura ricopriva il sottobosco rendendo difficile staccare le suole da terra. Si chinò sulle ginocchia per poter vedere meglio di cosa si trattasse, e appena lo capì fu presa da un improvviso conato di vomito. Era sangue rappreso, dentro il quale sguazzavano budella e occhi.
Terrorizzata iniziò a correre, scivolando più volte e affondando le mani in quell'orribile melma per rialzarsi in piedi e riprendere la sua corsa.
Aveva il fiato corto, il cuore batteva all'impazzata nella cassa toracica.
Corse più veloce che poté, senza guardare nemmeno in quale direzione stesse andando, troppo terrorizzata per ragionare lucidamente.
Ad un tratto, tuttavia, la ragazza si fermò di colpo affondando le suole a terra.
Una figura umana, semi avvolta dall'oscurità, se ne stava in piedi davanti a lei, girata di spalle.
Tutto ciò che Natya poteva distinguere in quella oscurità era la giacca verdastra che quella figura indossava ed un cappuccio blu che teneva calato sulla testa.
Poco dopo, gli occhi della ragazza catturarono uno scintillio; abbassando lo sguardo si rese conto che la luce della luna veniva riflessa su di una superficie liscia.
Accette.
Erano due accette, e quella figura umana le impugnava con entrambe le mani. Le lame, poggiate a terra e rivolte verso l'alto.
Istintivamente, le labbra della ragazza si aprirono e con una voce priva di fiato un sussurro pronunciò ancora una volta quel nome.
Toby.
Il ragazzo si voltò lentamente in sua direzione, permettendo alla luna di illuminare finalmente il suo volto. Una capigliatura spettinati, color miele, scendeva lungo la sua fronte sudata; il naso e la bocca erano coperti da una maschera di ferro, ed i suoi occhi, erano profondi e crudeli, la scrutavano profondamente.
-Aaaahh!-.
Natya gridò balzano rovinosamente giù dal letto. Si guardò intorno terrorizzata e riuscì a riprendere fiato solo quando realizzò che ciò che era appena accaduto era stato solo un'altra brutto sogno.
-Natya! Che succede?-. La voce preoccupata di sua madre echeggiò lungo il corridoio seguita da passi svelti. Spalancò la porta e raggiunse la propria figlia; la trovò seduta a terra, tremante, con le palpebre spalancate.
-Sto bene- la rassicurò lei, con il fiato corto -Era solo... Un sogno-.
La madre la abbracciò, sospirando pesantemente. -Tranquilla tesoro, è finita... È finita-.
La ragazza sorrise lievemente e si alzò lentamente in piedi. Non voleva mostrare a sua madre quanto fosse terrorizzata, perciò si sforzò di nascondere le sue emozioni.
Dopo aver abbracciato ancora la propria figlia, stringendola al petto fin quasi a farle male, Marlene le sorrise ancora una volta e spense la luce, tornando nella sua stanza.
"Per fortuna domani viene Piero, così insieme le diremo tutto" pensò.
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