CAPITOLO SETTIMO - parte 1

-È andato tutto bene, durate la visita?- domandò il direttore, non appena ebbe notificato il ritorno delle visitatrici nel suo ufficio. Era ancora seduto alla sua scrivania, intento ad ordinare una pila di cartelle sistemandole in ordine alfabetico per poi riporle nello scaffale.
Natya lanciò all'uomo uno sguardo severo, senza timore di mostrarsi maleducata; era arrabbiata, e dannatamente triste. Aver visto quel ragazzo ridotto in condizioni così estreme l'aveva scossa come non mai, e seppur fossero già passati diversi minuti ancora non era riuscita a levarsi dalla testa quella disperata frase che aveva pronunciato.
Ti prego aiutami. 
-Perché Toby aveva le labbra sanguinanti?- domandò freddamente, mentre si sistemava su una sedia.
-Natya!- la sgridò la madre, lanciandole un'occhiataccia. Scosse la testa e le sussurrò di stare zitta.
Al direttore sfuggì un'amara risata, mentre si sistemava il colletto del camice bianco. - Non si preoccupi signora, è solo una semplice domanda e sono sicuro che la signorina non volesse mettere in dubbio la nostra premura nei confronti dei pazienti... Non è così?- chiese, allargando un odioso sorriso in direzione della ragazza. Lei non rispose alla domanda, ma ne fece un'altra a sua volta: -Perché ha la testa fasciata?-.
Questa volta però, il tono dell'uomo si fece più cupo e deciso. -Come le ho già detto, signorina Rods, il paziente 116 è molto instabile. Si è ferito la testa sbattendola più volte contro al muro l'altro giorno, per questo è stato spostato in una cella con pareti imbottite-.
Natya abbassò lo sguardo, stringendo i denti nel tentativo di non piangere, di non mostrarsi così debole. -Signore, lei crede...- fargugliò - Lei crede che Toby possa guarire?-.
Sul volto di Marlene apparve un espressione sconsolata, mentre allungando una mano cercava di consolare il dolore della figlia, accarezzandole una spalla. Riusciva soltanto ad immaginare quale tremendo dolore la ragazza stesse provando in quel momento, dopo aver visto quello che era stato il suo unico amico in quelle condizioni.
-In tutta onestà, signorina, credo che con un miracolo possa notevolmente migliorare, ma non guarire. Purtroppo la sua mente è fortemente compromessa- rispose l'uomo, improvvisando una falsa espressione dispiaciuta.
-Ma gli avete fatto dei test? Avete cercato di capire perché è impazzito?- insistette la ragazza, alzando la voce.
-Natya!- la sgridò ancora una volta la madre.
-Con tutto il rispetto--intervenne il direttore, ormai palesemente irritato dal comportamento della sua interlocutrice - Io spero davvero che lei non voglia insegnarmi a fare il mio lavoro, signorina -.
Furono quelle ultime parole a far traboccare il vaso; ad un tratto per Natya non fu più possibile contenere la rabbia e balzò in piedi come un gatto, sbattendo i pugni sulla scrivania.
-Io voglio solo capire se a voi importa qualcosa di lui oppure no! Non vedete in che condizioni è? Non la vedete la tristezza nei suoi occhi?- gridò - Siete dei mostri o cosa?! -.
A quel punto Marlene, imbarazzata e sorpresa dall'atteggiamento aggressivo della figlia, si alzò dalla sedia e la spinse forzatamente fin fuori dalla porta. - Adesso basta, la saluto signor direttore... Mi scuso per il comportamento di Natya...- esclamò - Le chiedo davvero scusa-.
Una volta giunta fuori dalla porta la donna mollò la presa. - Ma che diavolo ti passa per la testa? - esclamò -Lo sapevo, non avrei mai dovuto portarti qui!-.
La ragazza guardò dritta negli occhi della madre, con le guance rigate dalle lacrime e le labbra tremanti. Un grumo di emozioni avevano creato un cratere nel suo stomaco; stava per crollare.
-Qualcosa non và mamma... - fargugliò singhiozzando - Hol'impressione che lo stiano maltrattando... -.
-Natya, svegliati per la misera!- le gridò ancora in faccia la donna, afferrandola per le spalle -Toby è un malato di mente! Cosa ti aspettavi, di trovarlo sereno e sorridente?-.
-Ma lui... Mi ha riconosciuta e..- continuò la giovane - Mi è sembrato che... -.
-Basta così!- gridò infine Marlene, esasperata, mollandole un sonoro schiaffo sulla guancia il cui suono rimbalzò tra le pareti spoglie di quel corridoio.
Afferrò la figlia per una mano e prese a camminare in direzione dell'uscita, strattonandola.
-Non mi sono mai vergognata così tanto in vita mia. Mai! - gridò - Non è così che ti abbiamo insegnato a comportarti, io e tuo padre! Non è così! -.
La ragazza, con lo sguardo basso e le spalle curve, si lasciava trascinare via senza più dire una sola parola, con il fiato soffocato dai singhiozzi del pianto.

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