CAPITOLO SEDICESIMO - parte 1

Toby percorse il corridoio a passo lento, con la testa bombardata da ricordi piacevoli e malinconici che si intrecciavani a quelli dolorosi, creando un mix di emozioni insopportabile per la sua mente. Girò a destra oltre la porta della camera dei suoi genitori e si affacciò invece su quella che era stata la sua, di camera. Era una stanza piuttosto piccola, riempita con un letto, un armadio a due ante, una scrivania ed un mobile a cassetti. Era più o meno come l'aveva lasciata tre anni prima, vederla adesso scaturì in lui una strana sensazione.
Avanzò con un filo d'indecisione seguito da Natya, e dopo essersi girato intorno più volte si mise a rovistare tra i cassetti per vedere se le sue cose fossero ancora tutte lì.
Sembrava esserci tutto, o quasi. A dire la verità non ricordava esattamente cosa avesse lasciato.
Si mise a sedere sul letto, guardandosi intorno. Quante notti aveva dormito lì sopra... Era praticamente cresciuto su quel letto. Affianco ad esso, poggiata sopra al mobile a cassetti ormai pieno di polvere e ragnatele, vi era una vecchia fotografia.
La afferrò.
Sollevandola in direzione della finestra, sfruttò quel poco di luce che entrava per osservarla: ritraeva la sua famiglia. Lui era solo un bambino, avrà avuto circa sette anni e stava proprio al centro dell'inquadratura; alla sua destra vi era sua madre, più giovane e bella di come la ricordasse, che poggiava un mano sulla sua spalla e gli indicava la fotocamera per farlo mettere in posa; alla sua sinistra c'era suo padre, con la barba incolta ed il volto scocciato. Toby soffermò il suo sguardo su di lui, e sentì la rabbia tornare a bruciare nelle sue vene.
Poggiò la foto esattamente dove l'aveva presa, e si alzò in piedi con un balzo. Natya lo guardava in silenzio, con aria preoccupata.
-Tutto bene?- gli chiese.
-Sì, sto bene- balbettò lui, avvicinandosi alla finestra chiusa. Guardò fuori, oltre il vetro, e riconobbe il paesaggio che vedeva sempre dalla sua camera. La sua mente era un groviglio di emozioni che nemmeno lui riusciva a decifrare. Dolore, paura, desolazione, malinconia, ma anche rabbia, confusione, e nervosismo.
Si girò nuovamente verso Natya, e con faccia stanca le disse:
-Posso dirti tutto, se vuoi-.
La ragazza scosse il capo. -Non voglio che me ne parli, se ti farà star male-.
-No, voglio che tu sappia- disse lui accennando un lieve sorriso. - Te lo devo-.
Le indicò con l'indce il suo letto per invitarla a sedersi, e fece altrettanto. Appoggiò la schiena al muro dietro ed incrociò le gambe, voltandosi verso di lei.
-Non ti invitavo mai quì, perché non volevo che facessi troppa conoscenza con i miei genitori- disse.
La ragazza lo guardò con attenzione.
-Mia madre era una brava persona, si preoccupava sempre per me e avrebbe voluto essermi più vicina, ma ero io ad evitarla. Il problema non era lei, ma mio padre... Lui...- fece una piccola pausa, chinò la testa ed inspirò aria fredda -Lui era un ubriacone. Dava sempre la colpa al suo lavoro, diceva che beveva per rilassarsi, ma non era vero. Mi ha sempre odiato profondamente, avrebbe voluto un figlio perfetto, di cui potersi vantare; invece sono nato così, con la tourette e tutti i problemi che già sai... Mi ha odiato fin dal primo giorno-. Si interruppe e sospirò abbassando. Parlare di questo era come conficcarsi una lama nel petto. -Sono dovuto crescere in questa famiglia sentendomi un perfetto estraneo. Mio padre mi picchiava spesso, quando ero piccolo; diceva che sperava prima o poi di uccidermi a pugni, così non avrebbe più avuto tra i piedi un figlio handicappato come me... Natya, tu non potevi saperlo, ma il fatto che tu fossi mia amica, mi ha letteralmente salvato la vita. Se non ci fossi stata tu, io non avrei avuto motivo di vivere. Mi alzavo al mattino e sopportavo tutto questo soltanto perchè sapevo che poi, nel pomeriggio, sarei venuto a casa tua-. Le lacrime iniziarono a scendere sul suo viso anche se si stava sforzando con tutto sé stesso per trattenerle.
Natya appoggiò una mano sulla sua spalla, asciugandogli le guance con l'altra. Ascoltava quel triste racconto e gli sembrava di sentire la storia di qualcuno che non conosceva. In tutti quegli anni, come aveva potuto non accorgersi di tutto questo?
-Poi un giorno, tre anni fa... Mio padre era come al solito ubriaco. Era sera, e stava rientrando dal bar... Mi ha trovato addormentato sul divano in sala, ed ha iniziato a frustarmi con la cintola dei pantaloni, il fatto che non fossi capace di sentire dolore lo eccitava, non urlavo così lui mi picchiava più forte-. Si interruppe ancora, e sollevò la testa in direzione di Natya.
-Poi ha detto una cosa che non doveva dire... Ha detto che era un peccato che tu non fossi lì, perché avrebbe con piacere picchiato anche te-.
La ragazza spalancò gli occhi in un'espressione di stupore. 
-In quel momento, qualcosa nella mia testa si è rotto- continuò lui - Ho perso il controllo. Sono corso in garage ed ho afferrato le due accette che mio padre usava per spaccare la legna, poi sono tornato in casa ed ho... Ho...-.
A quel punto non riuscì più a trattenersi, e scoppiò in lacrime come un bambino. Natya lo abbracciò impulsivamente e lo strinse forte a sè.
-Va tutto bene, sono quì- gli disse mentre accarezzava con delicatezza la sua testa -Va bene così, non ne parlare più-.
-Io..- balbettò ancora lui, tra i singhiozzi del pianto. - Io non volevo fare del male a nessuno... -.

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