CAPITOLO QUINDICESIMO - parte 2
Toby avanzò lentamente varcando la soglia. All'interno regnava l'oscurità, fatta eccezione per la luce dei lampioni che entrava dalle finestre e permetteva di scorgere il profilo dei mobili. Fu proprio grazie a quel buio che a Natya non fu possibile accorgersi du quanto tremava. Nonostante tutto la riconobbe, era proprio la sua casa. Quanti ricordi giacevano in quel posto...
Quanto dolore, intriso in quelle mura.
Natya entrò subito dopo di lui e richiuse la porta dietro alle spalle, per poi guardarsi intorno con curiosità e tensione: era stata davvero poche volte in quel posto perché Toby non la invitava mai, ma ricordava bene come fosse quindi poté notare che i nobili e gli oggetti erano più o meno tutti rimasti ai loro posti. La polizia non aveva portato via niente, almeno all'apparenza.
Camminando nel buio, i due riuscivano solo a scorgere i profili degli oggetti tutto intoro; l'aria aveva uno sgradevole odore di chiuso.
Natya si muoveva con una lentezza quasi snervante, calcolando al millimetro ogni suo passo; sapendo che cosa era successo in quel posto tre anni addietro, aveva il terrore di trovarsi faccia a faccia con una pozza di sangue secco.
Passò gli occhi sui quadri appesi alla parete accanto a sé, e anche se mise le immagini a fuoco con una certa fatica, riuscì a riconoscerli tutti. Quello al centro era il preferito della madre di Toby; glielo aveva detto una delle rare volte che era stata invitata da lui.
Sua madre era una donna normale; non era cattiva, anzi: quando le era capitato di entrare in quella casa era stata accolta sempre calorosamente da lei, e ogni volta le aveva preparato qualcosa di caldo da bere.
A ripensarci adesso le si strinse il cuore.
Abbassò leggermente lo sguardo, e notò proprio sotto al primo quadro una riga scavata sulla parete non molto lunga, ma profonda. Ridusse gli occhi a due fessure, e vi passò il dito sopra per capire di cosa si trattasse. Sembrava essere stato colpito con qualcosa di robusto e tagliente.
Tipo un'accetta.
Si allontanò da quel muro con orrore e ispezionò il resto della stanza, accorgendosi soltanto adesso che Toby non era più lì con lei. Si guardò intorno spaesata, e si diresse verso il corridoio che dava accesso a tutte le altre stanze; si affacciò nel bagno, ma lo trovò vuoto; poi nel ripostiglio accanto, infine in quella che era stata la camera matrimoniale dei genitori di Toby.
Lo trovò lì, seduto a terra accanto al letto, con la schiena appoggiata al muro ed il corpo semi avvolto nell'oscurità.
-Toby? Va tutto bene?- disse la ragazza, avvicinandosi a lui con aria preoccupata.
Il giovane sollevò lentamente la testa e Natya poté scorgere il brillare di alcune lacrime sul suo viso.
-Io non volevo farlo- sussurrò.
Subito dopo aver pronunciato quella parola iniziò a respirare sempre più velocemente; chiuse la testa tra le ginocchia ed iniziò ad agitarsi, travolto da mille scossoni. Il suo cuore batteva all'impazzata e la stanza intorno a lui aveva iniziato a girare vertiginosamente.
-Va tutto bene, calmati- disse Natya, mettendosi in ginocchio davanti a lui ed avvolgendogli le braccia dietro alla schiena. Lo strinse più forte che poté, continuando a sussurrargli -Calmati-.
Sentiva il suo petto espandersi e ritirarsi scattosamente, e tutto il suo corpo tremare terribilmente. Un altro attacco di panico, stavolta anche più forte delle altre.
Il ragazzo annaspava in cerca di un pò d'aria, aveva l'impressione che la sua gola fosse chiusa, e che per quel stesse per soffocare; i battiti erano così accelerati che si disse per certo che avrebbe avuto un infarto.
Restarono abbracciati a lungo, nel buio, in silenzio. Solo il rumore del fiato di Toby si udiva in quella stanza fredda, adesso troppo carica di tristezza e disperazione.
Ma come le altre volte, lentamente, si calmò.
Toby sollevò la testa con estrema lentezza e la appoggiò al muro dietro di lui, esausto.
-Va meglio?- disse lei, accarezzandogli la testa con tenerezza.
-Scusa- rispose, ancora sconvolto -Non mi piace stare qui e... Senza i calmanti è tutto più difficile-.
Natya lo guardò con preoccupazione, ma non disse nulla. Detestava non poter fare niente più che stargli accanto in quei momenti, ed avrebbe tanto voluto che nulla del genere accadesse più.
Quando il ragazzo si fu tranquillizzato ormai del tutti i due in piedi, e lui, ancora un pò tremante, lanciò uno sguardo al letto accanto a loro.
Lì dormivano i suoi genitori.
Ricordava ancora quelle volte in cui, da bambino, gli capitava di fare dei brutti incubi e la mamma lo portava lì su quel letto. Si distendeva in mezzo ai suoi genitori e dormiva beato, protetto dalla semplice loro presenza.
Scosse la testa con decisione come per scacciare i ricordi, e riprese a camminare verso le altre stanze.
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