CAPITOLO UNDICESIMO - parte 1

Natya era distesa sul letto, con gli occhi chiusi. Erano passati ben sedici giorni, e la chiamata tanto attesa ancora non era arrivata.
Suo padre era a lavoro, mentre poteva udire il ticchettio delle pentole in cucina, il che significava che la mamma stava cucinando.
Era contenta che i suoi genitori si stessero riavvicinando, ma non riusciva affatto a pensare a questo. In realtà non riusciva a pensare a niente che non riguardasse Toby.
Mangiava poco, era svogliata, e non riusciva neanche a dormire bene la notte; la maggior parte delle volte si svegliava durante il sonno e non riusciva più ad addormentarsi.
Ora era distesa sul letto, nel vano tentativo di recuperare le ore di sonno perse quella notte. Un rumore improvviso, però, la fece alzare di scatto.
La suoneria.
La suoneria del suo cellulare.
Spalancò gli occhi ed afferrò l'apparecchio con molta più forza di quella che sarebbe stata necessaria, poi lo portò subito all'orecchio, ansimando.
-Sì!?- disse quasi gridando. La felicità si sovrapponeva alla paura.
-Sono l'avvocato-.
-Mi dica!-.
-Ho ottime notizie-. La voce della donna era tranquilla e felice. Portava davvero buone notizie, questa volta.
-Lo lasciano andare?- chiese subito Natya, mentre un largo sorriso si apriva sulle sue labbra senza che se ne accorgesse.
-Sì. Ce l'abbiamo fatta!-.
Natya rimase senza parole. Era così felice che non riusciva neanche a parlare. Una lacrima di gioia scivolò sul suo viso, percorrendo i tratti morbidi delle guance. -Io... Non so cosa...-.
La donna all'altro capo del telefono rise. -Sei contenta? Puoi andare da lui oggi pomeriggio, ti aspetterà là-.
-Oddio, è.... Non... Non so come ringraziarti...- balbettò la ragazza iniziando a piangere più forte.
Dopo tutti quei giorni trascorsi nell'angoscia e nel dolore più profondi, non riusciva neanche a credere che quella conversazione fosse reale.
Si chiese più volte se stesse sognando; ma quella era la realtà. 
E finalmente, dopo tanta agonia, un avvenimento davvero positivo aveva dato una svolta a quella storia.
-Non c'è bisogno che mi ringarzi, c'è un motivo per cui l'ho fatto- esclamò l'avvocatessa. -Senti, ti rivelo una cosa-.
Natya scosse il capo. -Che cosa?-.
-Nessun avvocato farebbe mai tutto ciò che ho fatto io. Ho lottato per Toby per un motivo preciso-.
-E quale sarebbe?- chiese ancora la ragazza, mentre volgeva lo sguardo alla finestra.
-Beh, io conoscevo sua madre. Eravamo molto amiche, fin da ragazzine. Lei mi parlava spesso di come suo marito maltrattava lei e Toby....-.
Natya tacque.
Non sapeva che dire.
-So come sono andate le cose, e so che la colpa di ciò che è accaduto non la si può accreditare unicamente a quel povero ragazzo. So che Toby non è cattivo. Non potevo lasciarlo marcire in prigione.... Sua madre non avrebbe voluto questo-.
-Ora capisco...- disse Natya, con la voce strozzata. Non immaginava assolutamente che quella donna fosse stata in qualche modo legata al passato di Toby.
-Senti, non dire niente a lui, ok? Non voglio che lo sappia-.
-Non preoccuparti non gli dirò nulla- la rassicurò -Ma so che ti sarà sempre riconoscente, anzi: ti saremo entrambi sempre riconoscenti-.
La donna dall'altro capo ridacchiò. -Magari qualche volta passo da voi a predere un caffè? Ti andrebbe?-.
Natya sorrise a sua volta. -Certo che sì. Anche mia madre ne sarebbe felice, non è fredda come sembra-.
-Allora mi farò viva!-.
-Grazie ancora, di tutto...-.
Natya mise il telefono in tasca e si catapultò in cucina, dove Marlene stava preparando il pranzo.
Il cuore esplodeva di gioia nel auo petto, era così agitata che non riusciva a smettere di gesticolare. -Toby è libero!- gridò.
-Che cosa?- esclamò la donna, voltandosi in sua direzione con una padella ancora stretta in mano.
-È libero. L'avvocato ce l'ha fatta!-.
-Oh, tesoro!-. La reazione di Marlene fu calorosa; posò distrattamente l'oggetto sul tavolo ed abbracciò energicamente la figlia, avvolgendole le braccia dietro alla schiena.
-Sono felice per te. E per lui-.

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