CAPITOLO SETTIMO - parte 1

Toby era seduto sul fianco del suo letto, con i gomiti poggiati sulle ginocchia e lo sguardo basso.
I capelli pendevano molli e spettinati sulla sua fronte, ed una riga di sangue usciva dal suo naso e scendeva fin sulle labbra, strette e piegate in un ghigno.
Aveva uno sguardo spento, assente; teneva gli occhi puntati a terra, fissi in un punto indefinito.
I suoi polsi erano pieni di lividi scuri, forse perché aveva strattonato le manette, ed i pantaloni che indossava erano lacerati in più punti.
-Toby...- balbettò Natya avanzando di un passo verso le sbarre.
Il ragazzo alzò la testa non appena udì la sua voce, ed ora che poteva vederlo bene in faccia la ragazza si rendeva conto di quanto stesse male.
-Vi lasciamo soli un paio di minuti- disse l'agente -Non si avvicini alle sbarre, nessun contatto fisico. Se ci fossero problemi ci chiami all'istante. Tutto chiaro?-.
Natya annuì e guardò l'uomo in divisa allontanarsi assieme a suo padre, per poi tornare a volgere la sua attenzione a Toby. Il ragazzo si stava alzando in piedi, mostrando una certa fatica nel farlo.
-Toby...- disse ancora lei, appoggiandosi alle sbarre. Non le importava affatto ciò che aveva appena detto l'agente.
Lui si avvicinò a sua volta, senza dire niente. Il suo sguardo faceva quasi impressione, tanto era triste e vuoto. Era così affranto che sembrava potesse cadere in mille pezzi da un momento all'altro, cadendo a terra come un castello di carte sbilanciato da un soffio.
-Ti hanno fatto del male?- chiese la ragazza, con voce tremante.
Afferrò due sbarre con le mani e infilò la testa dentro, quel tanto che ci passava, nel tentativo di avvicinarsi a lui.
-Sto bene- si limitò a rispondere Toby, con voce debole. Si posizionò davanti a lei, con lo sguardo basso, e le braccia molle lungo i fianchi.
Natya infilò una mano tra le sbarre e gli arruffò i capelli accennando un lieve sorriso forzato. -Troverò il modo di farti uscire, te lo prometto- disse.
Toby scosse la testa. -Non preoccuparti per me-.
Lei fece scorrere la mano fin dietro alla nuca del ragazzo, e lo guardò con aria preoccupata. Stava male, e si vedeva. E cosa ancor peggiore, lei in quel momento non poteva fare niente per aiutarlo.
Lo spinse verso di sé con delicatezza, e lui la lasciò fare; si avvicinarono lentamente, finché le loro bocche non si sfiorarono.
Sentire quel lieve contatto fu per Toby una consolazione immensa; il suo cuore, adesso avvolto da un fitto velo di profonda tristezza, si scaldò.
Fu come una boccata d'ossigeno; un sorso d'acqua fresca nel mezzo del deserto.
-Nessun contatto fisico!- intervenne la voce della guardia, che spinse via con forza la ragazza. La afferrò per le spalle e disse: -La visita è finita. Deve uscire da qui!-.
Natya tentò di opporsi all'uomo ma ovviamente non ci riuscì. Diede un paio di strattoni, ed infine urlò: -So camminare da sola!-.
L'agente la liberò ma restò comunque al suo fianco, per assicurarsi che non tentasse di tornare indietro.
La ragazza voltò lo sguardo verso Toby mentre camminava, per lanciargli un ultimo sguardo con l'intento di rassicurarlo il più possibile.
Il ragazzo adesso aveva le mani strette sulle sbarre, e la guardava allontanarsi con aria persa.
"Andrà tutto bene" gli mimò lei con le labbra, prima che fosse troppo lonatana per farlo.
-Cristo, so camminare!- ripeté poi, ribellandosi all'ennesima costrizione fisica da parte della guardia, che la spingeva fin fuori dalla porta.

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