CAPITOLO PRIMO - parte 1
Natya stringeva Toby forte a sé, e sentiva il suo respiro tremare sulla pelle.
Si disse che era pronta a fare qualsiasi cosa pur di alleviare il suo dolore.
Glielo doveva; se solo avesse capito prima, tutto sarebbe stato per lui più facile.
-Toby...- mormorò, accarezzando i capelli color miele del ragazzo, sempre arruffati. -Mi dispiace-.
Lui scosse lievemente la testa come imponevano i suoi tic, e sciolse l'abbraccio puntando i suo occhi marroni in quelli di lei.
-Per cosa? Sono io che dovrei scusarmi..- borbottò, con un filo di voce.
-Avrei voluto evitare gli errori che ho commesso- spiegò lei, con la voce coperta da un fitto velo di tristezza e malinconia.
-Non dimenticarmi di te, innanzitutto. Non abbandonarti in quell'ospedale. È anche colpa mia se hai sofferto così tanto e..-.
-Shh-. Toby la interruppe posandole un dito sulla bocca, poi le sorrise.
Natya ricambiò.
Era indescrivibile ciò che provava nei confronti di quel ragazzo. Cristo, cosa avrebbe dato per vederlo più sereno.
-Dai, siediti- le disse ancora Toby afferrandola per il busto -Ti aiuto-.
Giusto.
Natya era così presa da tutto questo che aveva ignorato completamente il dolore che proveniva dalla sua schiena. Si lasciò aiutare ad avvicinarsi al muro, poi lui la adagiò a terra.
Si sforzò di continuare a sorridere lievemente, nonostante le fitte di dolore che la costringevano a stringere le mandibole.
Il castano si mise a sedere accanto a lei, ed appoggiò con delicatezza il mento sopra alla sua spalla magra.
Rimasero così, immobili, in silenzio, per un tempo indefinito.
Non c'era bisogno di dire niente, ad ognuno bastava semplicemente la presenza dell'altro per sentire il suo cuore scaldarsi un pò.
Nonostante tutto.
Nonostante tutti.
.....
-Oh, cavolo...Come ho fatto ad addormentarmi?- mugolò Natya, stropicciandosi gli occhi.
Sbadigliò tappandosi la bocca con una mano, e non appena riuscì a mettere a fuoco attorno a lei si accorse che Toby era in piedi appoggiato allo stipite della porta, fermo a guardarla con un accenno di sorriso dipinto sulle labbra.
-Quanto ho dormito?- chiese la ragazza, con la bocca ancora impastata dal sonno.
-Molto, direi- ripose lui ridacchiando.
Natya scosse la testa e sorrise. -Non so come io abbia fatto ad addormentarmi seduta per terra-.
Poggiò i palmi sul pavimento sporco e tentò di alzarsi, ma subito una fitta di dolore le fece emettere un leggero gemito.
-Aspetta!- esclamò Toby avvicinandosi frettolosamente. -Ti aiuto io-.
La afferrò avvolgendo le braccia dietro alla sua schiena, con delicatezza, e la aiutò ad alzarsi in piedi.
-Grazie- farfugliò la la ragazza, lievemente in imbarazzo.
-Suppongo sia il minimo- rispose Toby, lasciando la presa ed intrecciando le braccia sul petto.
Il mattino era ormai inoltrato, e la stanza era inondata della calda luce di un sole che splendeva indisturbato, in un cielo che scarseggiava di nuvole.
Il ragazzo indietreggiò di qualche passo, e volse lo sguardo sulla porta d'ingresso. Era aperta, e oltre poteva scorgere le sagome dei palazzi.
Ad un tratto, l'espressione sul suo viso cambiò improvvisamente.
Si fece cupo, triste.
Si voltò ancora verso Natya, e parlò con i pugni stretti, ancora pieni di sangue.
-Ti chiedo scusa, ma io... Ho paura- balbettò.
Lei lo guardò in silenzio con aria confusa, senza sapere che cosa dire. Non capiva, non capiva affatto per quale motivo adesso Toby stesse dicendo questo.
-Dì qualcosa- borbottò ancora il ragazzo, abbassando lo sguardo.
-Non capisco. Paura di che cosa?- balbettò lei. Il cuore stava battendo all'impazzata nel suo petto. Già aveva capito che cosa stesse per dirle: che se ne sarebbe andato via.
Ma il ragazzo non disse niente. Semplicemente sollevò un braccio, ed indicò il paio d'accette poggiate sul tavolo infondo alla stanza.
Natya scosse il capo. -Toby, io...-.
-Sono pericoloso- aggiunse lui, interrompendola.
Un silenzio soffocante calò nella stanza.
Gli occhi della ragazza erano sbarrati, e carichi di paura.
Paura di perderlo, innanzitutto.
Paura di sbagliare. Di non dire la cosa giusta.
Paura di non essere in grado di aiutarlo, di capirlo.
Ma le parole vennero fuori da sole, e furono quelle giuste.
-Io mi fido ciecamente di te, Toby... E non voglio perderti per nessuna ragione al mondo-.
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