CAPITOLO NONO - parte 2
Quando Marlene tornò a casa dal lavoro, Natya le disse subito della chiamata ricevuta dall'avvocato e fortunatamente la donna accettò di accompagnarla senza fare storie.
La ragazza si mise a sedere in macchina mentre infilava il cellulare nella tasca, ed appoggiò il gomito contro al vetro.
Sua madre avviò il motore e partì, mentre calava un assordante silenzio. Nessuna delle due aveva voglia di parlare, tantomeno la ragazza che ora aveva nella testa soltanto Toby.
Era terribilmente preoccupata per lui, si chiedeva in quale stato lo avrebbe trovato.
Strinse i pugni ed emise un sospiro tremante, cercando di calmarsi. L'auto si era appena fermata davanti al distaccamento del corpo di polizia.
-Natya- disse Marlene non appena la figlia aprì la portiera. -Lasci che entri anch'io?-.
-Vorrei ma... È meglio di no- rispose lei, allargando un piccolo sorriso nel tentativo di rassicurarla. -Stai tranquilla mamma-.
-Come vuoi.... Allora và-.
Natya annuì e si incamminò sulla rampa di scale a testa bassa. Ad ogni passo l'ansia le cresceva dentro, così come la voglia di rivedere Toby.
-Natya!-.
La ragazza sollevò la testa. Era l'avvocatessa Ferdiani, l'aspettava in piedi sulle scale con una valigetta stretta nella mano destra.
-Come sta?- chiese subito Natya, in preda all'affanno.
-Ho già chiesto per te il permesso di visita, ho dovuto insistere un pò ma alla fine lo hanno concesso- disse l'avvocato -Ma potrai entrare tu soltanto... Te la senti?-.
-Certo- rispose la ragazza, senza fermarsi a parlare nemmeno un secondo.
Un poliziotto si avvicinò a loro proprio in quel momento. -Allora mi segua, signorina-.
Natya seguì l'uomo lungo il medesimo corridoio che aveva percorso la volta scorsa, giungendo infine alla stanza delle celle.
Ne superò molte, cercando di non incrociare gli sguardi dei carcerati, mentre si avvicinava a quella di Toby. Era ansiosa e spaventata; le sue gambe tremavano ad ogni passo come se facessero fatica a sorreggere il suo stesso peso.
Continuava a chiedersi come stesse, in quel momento. La risposta alla sua domanda, comunque, arrivò poco dopo.
Il poliziotto le indicò quale fosse la cella giusta e indietreggiò per lasciarle un pò di privacy, e la ragazza si avvicinò titubante alle sbarre.
Toby questa volta non era seduto sul letto, ma in piedi contro alle sbarre laterali. Teneva la schiena leggermente ricurva e lo sguardo basso. Le mani erano distese lungo i fianchi, e le fasciature alle dita erano state rimosse e cambiate; queste erano candide e sembravano nuove, ma erano già zuppe di sangue.
I capelli color miele pendevano verticali sulla fronte, impedendole di vedere lo sguardo del ragazzo, e le gambe sembravano tremare leggermente.
-Stiamo avendo qualche difficoltà a gestirlo- disse il poliziotto, senza avvicinarsi.
Natya lo ascoltò ma non si voltò verso di lui.
-Ieri si è letteralmente divorato le mani, ed ha sbattuto ancora la testa contro alle sbarre. Ha anche avuto tre o quattro attacchi di panico, lo stesso giorno. Non è mentalmente stabile, ed il fatto che non provi dolore non aiuta-.
La ragazza continuò a fissare la figura immobile di Toby per diverse manciate di secondi, finché non prese una abbondante boccata d'aria e si fece coraggio, pronunciando il suo nome.
-Toby...-.
Il ragazzo riconobbe subito la sua voce e sollevò di colpo la testa, rivelando la fronte piena di lividi ed un paio d' occhi tristi, contornati da occhiaie scure. Un tic improvviso lo costrinse a muovere la testa, per poi voltarla ancora verso di lei.
-Oddio, Toby...- disse ancora la ragazza, piegando il volto in un'espressione triste. Afferrò le sbarre con entrambe le mano e vi posizionò il volto nel mezzo.
Il ragazzo deglutì ed iniziò ad avvicinarsi lentamente, quasi come facesse fatica a camminare. Giunto davanti a lei, la guardò semplicemente negli occhi, restando in silenzio.
-Toby... Mi sei mancato così tanto...- balbettò Natya.
Non riuscì a trattenere una lacrima, che scivolò sulla sua guancia e cadde dal mento.
Toby si avvicinò di un altro passo, ed afferrò le sbarre. Infilando un braccio all'esterno, riuscì a poggiare la mano destra sulla sua spalla.
La ragazza iniziò a piangere più forte, e singhiozzando l'afferrò avvolgendo le proprie dita nelle sue, ricoperte dalle fasciature.
-Devi resistere, Toby. Ti prego- singhiozzò, distrutta. -Quell'avvocatessa ci sta aiutando. Ti farà uscire-.
Il poliziotto osservò quella scena in lontananza, ma non li divise. Non questa volta.
Toby strinse le mandibole e si lasciò cullare dal caldo contatto con la mano della ragazza, che stava rimettendo pian piano al loro posto i pezzi staccati del suo puzzle.
Vicino a lei il mondo prendeva tutto un altro aspetto, e le cose che normalmente lo spaventavano diventavano piccole piccole.
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