CAPITOLO DECIMO - parte 1
Natya riuscì a smettere di piangere, ma non mollò la presa su Toby. Lo stringeva forte a sé, sicura che in quel modo avrebbe placato, anche se per poco, il suo dolore.
Il freddo ferro della sbarra accostato alle sue mandibole, si contrapponeva al calore emanato dal corpo del ragazzo, che nonostante gli impedimenti adesso le era così vicino. Le sbarre li dividevano, sì; ma solo fisicamente. In realtà i loro cuori erano attaccati, e battevano all'unisono.
-Il tempo concesso per la visita è finito- annunciò freddamente il poliziotto avvicinandosi a loro.
Natya lasciò un piccolo bacio sul collo di Toby e sciolse l'abbraccio, sfilando le braccia dalle sbarre. Indietreggiò di un passo e guardò ancora una volta il ragazzo, accorgendosi subito che qualcosa non andava.
Il suo sguardo era cambiato; le labbra erano strette, le pupille dilatate. Aveva lasciato cadere le braccia lungo i fianchi, e queste tremavano visibilmente. Sembrava volesse dirle: "Ti prego, non andartene".
-Toby..- farfugliò la ragazza. Già sapeva cosa stava per succedere.
La cassa toracica del ragazzo iniziò a contrarsi ed espandersi velocemente, mentre abbassava lo sguardo. Respirava a fatica, mentre le gambe iniziavano a cedere. L'ambiente circostante divenne d'un tratto sfocato e confuso per lui; le pareti sembravano piegarsi, mentre voltando la testa in tutte le direzioni non riusciva più neanche a capire dove fosse.
-Toby!-.
La voce di Natya echeggiava nella sua testa, ma non la vedeva. Il ragazzo tentò di aggrapparsi alle sbarre, reggendosi in piedi a stento.
-Sta male! Mi lasci entrare nella cella!- gridava Natya.
-Non posso farlo-.
-Non mi farà niente, la prego!-.
La ragazza era aggrappata alle sbarre, nel disperato tentativo di raggiungerlo. -Toby!... Apra questa maledetta porta!-.
Alla fine, il poliziotto aprì.
Natya raggiunse Toby in un balzo, e lo strinse subito tra le sue braccia. Il ragazzo si lasciò cadere seduto sul letto, annaspando, ed si abbandonò tra le braccia di lei.
-Shh, va tutto bene- continuava a ripetere lei, accarezzandogli i capelli con una mano. Lo sentiva tremare sotto alle sue braccia.
-Va tutto bene- ripeté.
Avrebbe fatto qualsiasi cosa per farsi carico di tutto il suo dolore, se solo fosse stato possibile.
Toby sospirò con le labbra tremanti e poggiò la testa sul suo petto, mentre pian piano si calmava. Sentì i muscoli rilassarsi lentamente, uno ad uno, mentre il battito del suo cuore rallentava.
-Adesso basta- disse ancora il poliziotto di guardia -Deve uscire subito dalla cella, o mi metterà nei guai!-.
Natya sfiorò la mandibola di Toby con un dito, allargando un lieve sorriso rassicurante, e disse a voce bassa: -Stai tranquillo. Tornerò presto, lo prometto-.
Il ragazzo annuì lievemente, ed osservò con aria persa la ragazza che si allontanava da lui. Il poliziotto la fece uscire e richiuse subito la porta della cella, la quale emise un rumore metallico che si allargò lungo il corridoio spoglio.
Natya venne nuovamente condotta nell'atrio, dove ancora l'attendeva l'avvocatessa, in piedi davanti alla macchina del caffè con una tazzina in mano.
-Come sta?- chiese la donna voltandosi verso Natya.
-Male- rispose lei abbassando lo sguardo.
-Di questo mi spiace-.
-Non posso lasciarlo quì, non...-.
-Ascoltami- la interruppe l'avvocatessa, cercando di assumere un tono fermo e convincente.
-Ho bisogno di tempo, non posso fare magie. Ma farò del mio meglio, questo posso garantirlo-.
La ragazza annuì stancamente.
-Ti chiamerò di nuovo domani, torna a casa e stai tranquilla. Ok?-.
Annuì ancora. Non le andava affatto di tornare a casa, almeno non sapendo in quale stato si trovasse Toby; ma doveva fidarsi dell'avvocato, a quel punto non aveva scelta.
Non avrebbe potuto fare nient'altro.
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