12. SVEGLIA, SVEGLIA

«Dove diavolo è finita la mia amica piena di iniziative?» Una voce pimpante echeggiò nella stanza, nell'attimo stesso in cui il sole mi accecò, penetrando dalle persiane tirate in alto di colpo. «Non ci si può allontanare un'estate che la ritrovo trasformata in uno zombie. Sveglia, sveglia, coraggio!»

Posai un braccio sulla fronte, mugolando qualcosa di incomprensibile. Stavo riemergendo dal mondo dei sogni e lo stavo facendo con molta difficoltà. Quando riuscii a mettere a fuoco la stanza, mi resi conto che di fronte al mio letto, abbronzata come una star del cinema, c'era Vilma. La mia amica Vilma. Indossava una gonna bianca lunga fino ai piedi di una stoffa così leggera da sembrare trasparente e poi portava un top lavorato ad uncinetto che metteva in risalto la sua tintarella.

«Quando caspita sei tornata tu?» Balzai a sedere.

«Adesso!» squillò. «Questo è per te». Allungò le braccia. Tra le mani teneva un pacchettino azzurro con un grande fiocco bianco e argento.

Sorrisi e mi precipitai ad aprirlo. Avevo ancora gli occhi appiccicati dal sonno mentre strappavo via la carta con grande curiosità. «Le musicassette del Festivalbar di quest'anno!»

Lei si sedette al mio fianco. «Esatto. Sono quelle originali, nessuna copia», ci tenne a precisare.

«Ma non dovevi...» Lisciai la copertina, scorrendo a uno a uno i nomi dei cantanti.

«Hai trascorso l'estate qui da sola, mentre io ero con le chiappe al sole e i piedi a mollo, portarti un pensiero mi sembrava il minimo... e poi ti ho inviato anche una cartolina, chissà, forse riuscirà ad arrivarti prima di questo Natale».

Ridemmo insieme per la velocità con la quale si muovevano le poste, poi l'abbracciai e la strinsi forte a me. Sapere che Vilma era tornata mi faceva un piacere immenso. Quell'estate senza di lei era stata l'estate più lunga e strana di tutte. Erano successe tante cose e le avevo dovute affrontare più o meno da sola.

«Hai preso davvero un sacco di sole, ti invidio da morire, io sembro un fantasma in confronto». Avvicinai il mio braccio al suo. Il distacco di colore era evidente.

«Tra qualche giorno torneremo a metterci jeans e magliette, la tintarella se ne andrà via così veloce che non sembrerò neanche stata al mare». Fece spallucce.

«Sei anche dimagrita e più... più... solare?» Piegai la testa di lato per osservare meglio cosa ci fosse in lei di così armonioso e carino. Mi sembrava più fine, più liscia e più serena di quando era partita.

«Non so, forse dipende da... un ragazzo?»

Sgranai gli occhi. Avrei dovuto immaginare che dietro a tutta quella bellezza ci fosse un nome maschile. «Ti sei innamorata?»

«Ehi, ehi, frena le tue fantasie, è stata soltanto un'avventura estiva, sai cosa penso degli uomini...»

«Non potrai sfuggire per sempre all'amore, prima o poi...»

«Si chiama Dawson», mi interruppe, alzando al soffitto un paio di occhi sognanti.

«Come Leery, lo sfigato innamorato di Joey Potter?» ridacchiai.

«Dawson Leery non è uno sfigato, ma soltanto uno che si fa un sacco di trip mentali su qualsiasi cosa lo circondi», obiettò.

«Pacey è molto più simpatico».

«Ma Joey e Dawson sono anime gemelle e finiranno per sposarsi», replicò lei.

«Sono solo migliori amici e gli amici non si sposano. Joey avrà una storia con Pacey e sarà con lui che metterà su una famiglia», esposi la mia teoria.

«Perché siamo finite a discutere dei personaggi di Dawson's Creek? Non mi importa con chi si fidanzerà Joey Potter, forse non si sposerà mai con nessuno dei due, forse resterà zitella oppure andrà a letto con l'intero staff, è tutta una messinscena per noi poveri adolescenti, per incrementare le nostre turbe psichiche e per ingigantire il nostro disagio nei confronti dell'amore».

«Probabile, ma ci sono un mucchio di ragazze che questo inverno si incolleranno davanti al televisore per vedere la prossima stagione».

«Comprese noi due, non è vero?»

«Già», sospirai.

Vilma scosse la testa. «Siamo patetiche», disse.

Mi alzai dal letto, mi stirai le braccia. Uno sbadiglio si impossessò della mia faccia. «E dimmi un po', quel tuo Dawson... com'è?»

Vilma arricciò le labbra e socchiuse gli occhi. Parve concentrarsi per descrivermelo al meglio. «Ha un sorriso che ti fa restare imbambolati a guardarlo e un paio di occhi azzurri che sembrano due fanali. Viene dagli Stati Uniti, starà in Italia fino alla fine del mese, ospite dei suoi zii».

«Avete parlato in inglese?»

Lei rise, poi si fece seria e iniziò a ridere di nuovo.

«Cosa ho detto?» Non capivo cosa ci trovasse di così divertente.

«Non abbiamo parlato molto, in realtà, però abbiamo fatto un sacco di altre belle cose...»

«Tu e lui...»

«No!» alzò le mani. «Non lo abbiamo fatto, non quello, ma abbiamo fatto molto altro...» ammiccò perché capissi.

«Oh», sussurrai. Evidentemente il molto altro era lo spazio che c'era tra baciarsi e finire a letto con qualcuno; quello che Cioè definiva continuamente petting, mentre per me non era altro che un'indefinita zona grigia.

Vilma accavallò le gambe, fiera di sé stessa e dei suoi progressi e io non osai spingermi oltre con le domande; un conto era parlare di baci, un conto di cose per me ai limiti con la fantascienza.

«Tu?» fece lei, socchiudendo appena gli occhi nei miei. «Come stai?»

La leggerezza dei discorsi di un attimo prima divenne un ricordo lontano. In quella richiesta c'era un mondo che attraversava l'estate intera. «È stata dura», ammisi, poi aggiunsi: «E lo è anche adesso».

«Scusa se l'ultimo mese ho ridotto le telefonate», sospirò, combattendo contro i sensi di colpa.

«Non preoccuparti», la rassicurai.

Lei si sfilò il cerchietto che le teneva i capelli indietro e prese a girarlo tra le dita. Il ciuffo che portava di lato le coprì il volto per metà. «Ci sono novità? I medici pensano a delle cure per far tornare Marco a camminare? Oppure, non so, degli esercizi?»

«Marco ha avuto una lesione vertebrale», le ricordai. «Non ci sono esercizi che possano ricostruire ciò che è rotto. Non esistono cure o interventi. Marco è cambiato».

Lei abbassò gli occhi a terra, forse pentita per quel suo cenno di entusiasmo e speranza. O ingenuità. Era stata in vacanza un'estate intera, tornare alla realtà significava smettere di fantasticare e rendersi conto di tutto ciò che le stava accadendo intorno. Mi strinsi dentro alla felpa e mi appoggiai con le spalle alla parete. Guardai fuori dalla finestra. Una nuvola aveva coperto il sole.

«Ehi, ma quella non è di David?»

Mi voltai di nuovo verso la mia amica, aveva un dito puntato sulla felpa che indossavo. Mi guardai addosso mentre il mio cuore perse un colpo, congelandosi all'interno del petto. «Sì, me l'ha imprestata l'altro giorno in ospedale», banalizzai.

Vilma però non si lasciò sfuggire il guizzo che evidentemente ebbero i miei occhi mentre arrancavo una scusa qualunque. «Perché dormi con addosso la sua felpa?»

Sentii le guance tingersi di rosso e allora tornai a guardare fuori.

«C'è forse qualcosa che devo sapere?»

Scossi la testa.

Lei allora si alzò in piedi e mi venne di fronte. «Greta, io ti conosco, siamo amiche da una vita e so che arrossisci soltanto quando sei nel bel mezzo di un'interrogazione o quando stai nascondendo qualcosa».

Deglutii. Arrossivo anche quando ero accanto a David, in realtà.

«Dal momento che non siamo a scuola, allora immagino che tu mi stia nascondendo qualcosa. Perché non sputi il rospo? Cosa mi sono persa mentre ero in campeggio? C'è una storia tra te e quel figo di David Bucci?»

«Non c'è nessuna storia. Io e lui... ecco... ci siamo baciati», confessai. «Ma so quanto lui ti piaccia quindi... non voglio che per uno stupido bacio si rovini la nostra amicizia. Io e David non stiamo insieme, non siamo niente. Ci siamo soltanto avvicinati dopo l'incidente di Marco ed è scattato qualcosa, ma niente di irreparabile, niente che mi tenga legata a lui, davvero! Che poi, nel frattempo, sono successe così tante cose che il nostro bacio non è neanche la cosa più importante. Il padre di David ha una relazione e David non l'ha presa per niente bene perché pensa che così dimenticherà per sempre sua madre, senza contare il fatto che anche il padre di Marco ha una relazione con un'altra donna molto più giovane e Marco lo sapeva, David lo sapeva, tutti quanti lo sapevano e adesso è scoppiata la bomba. Marco è ancora in ospedale e la sua famiglia è fuori e si sta sfasciando...»

Quando mi fermai per riprendere fiato mi resi conto che Vilma mi guardava con gli occhi spalancati e un braccio alzato come si fa in classe per chiedere di parlare. «Una cosa alla volta, okay?» boccheggiò.

Annuii.

«Tu hai baciato David Bucci?» chiese.

Annuii di nuovo. Non sapevo cosa aspettarmi, se l'ira della mia amica oppure la sua gioia.

«Tu hai baciato David Bucci... Wow!» Mi abbracciò, quasi stritolandomi le spalle.

«Non sei arrabbiata? Voglio dire so che lui ti piace, così...»

«Mi piace, ovvio, è un figo pazzesco, ma non è roba mia e non lo sarà mai. È semplicemente uno di quei sogni che si fanno ad occhi aperti, tipo un qualcosa di platonico, anzi erotico... già... e poi io ho già baciato due ragazzi, mentre tu... Oh, sono così felice che il tuo primo bacio sia stato con David. E dimmi... com'è stato? Come bacia? Scommetto che è il tipo che ti divora senza lasciarti respirare... Ed è stato un bacio lento tipo un valzer o veloce come una samba? È stato...»

«Vilma», la frenai. «È stato un bacio. Un bel bacio. Mi è piaciuto, ma tutto qui...»

Lei portò le mani al petto. «Tutto qui? Hai baciato David Bucci! Vi siete messi insieme? Tu e lui siete fidanzati o roba simile?»

«No, io... io credo di no, lui non me l'ha chiesto e nemmeno io. Siamo soltanto usciti a cena e a vedere le stelle».

«Devi dirmi tutto dall'inizio!»

Ci sedemmo di nuovo sul letto. Le raccontai della convalescenza di Marco, della paura che lui non si risvegliasse più. Le dissi di suo padre e Monica, di sua madre e delle scenate che avevano messo in piedi nella corsia d'ospedale, dopodiché le parlai del mio avvicinamento a David. Dell'uscita sulla terrazza panoramica e del primo bacio da ubriaca, poi dell'altro bacio, quello da sobria. Le raccontai che avevo sentito il cuore battere forte e il cervello non capire più niente, la scena che trovammo in salotto, una volta usciti dalla sua stanza, quella gliela riassunsi ai minimi termini.

«David non ha ancora superato il trauma della morte di sua madre, era soltanto un bambino quando è successo», convenne.

«Già», annuii, «ma suo padre è ancora giovane, merita di avere una seconda opportunità e questo David deve capirlo e accettarlo».

«Invece il padre di Marco, a lui cosa è frullato in testa?»

«Non ne ho idea, Marco conosceva l'esistenza di questa amante, pensa che ci è andato in barca insieme e pure sua madre sapeva tutto, ma per non sfasciare la famiglia tutti hanno mantenuto un tacito silenzio».

«Io non capisco proprio cosa abbiano in testa i grandi certe volte», disse Vilma, scuotendo la testa.

«I grandi fanno errori proprio come noi, non dobbiamo biasimarli, soltanto che devono stare più attenti perché a farne i conti poi sono anche i propri figli».

Vilma emise un lungo sospiro.

«I tuoi genitori sono delle persone d'oro, vedi di tenerteli stretti», la esortai.

Lei sorrise. «Anche i tuoi lo erano, ne sono sicura e tua nonna batte chiunque altro essere vivente sulla faccia della terra!»

«Povera nonna, l'altra sera non si è nemmeno accorta che ero ubriaca, David le ha fatto credere che ero uno straccio a causa di un disturbo gastrointestinale, mi ha portato in camera quasi in braccio».

Vilma si bagnò le labbra e sorrise maliziosa. «Vuoi dire che ti ha messa a letto lui?»

Mi coprii la faccia per la vergogna. Ripensare a quel momento era abbastanza imbarazzante. «Lo ha fatto».

Lei rise di nuovo. «Ti chiederà di essere la sua ragazza, ne sono sicura».

«Naa, non ci sarà nessun fidanzamento, David andrà fuori città a studiare giornalismo».

«Cosa?» squittì, facendosi improvvisamente seria. «Quando partirà?»

Guardai la sveglia sul mio comodino. Erano le undici da qualche minuto. «Ha il treno tra meno di un'ora».

Vilma balzò in piedi. «Un'ora? Ma abbiamo pochissimo tempo!»

La guardai intontita. «Pochissimo tempo per fare cosa?»

«Per andare alla stazione, no?» Si diresse al mio armadio. Vedere magliette volare qua e là e pantaloncini finire ai miei piedi fu veloce quanto un battito di ciglia. «Vai a farti una doccia, sbrigati, e mettiti questo», mi ordinò, ponendomi un vestito a fiori, leggero, con le spalline strette. Dove lo aveva trovato? Da quanto tempo lo avevo? Dalla prima Comunione?

«Non...»

«Nessuna obiezione! David Bucci sta partendo e tu devi andare a salutarlo con il tuo miglior vestito. Si deve ricordare di te come della ragazza più bella che abbia mai conosciuto».

«Non credo che un vestito riuscirà a fargli dimenticare facilmente il vomito che ha dovuto scrostare dagli interni della sua Cabrio», obiettai.

Vilma mi costrinse a prendere in mano l'abito. «Vai!»

«Mi ha salutato a malapena l'ultima volta», protestai.

«Ma perché era arrabbiato con suo padre», disse lei, scuotendo energicamente la testa.

«Odio gli addii», protestai ancora.

«Vai!» Gli occhi di Vilma mi fulminarono. Il suo ghigno mi fece così paura che filai dritta in bagno.

Sarei andata alla stazione e avrei salutato quel gran figo di David Bucci come voleva la mia amica. Lo avrei baciato ancora, per la seconda volta da sobria e per la terza nel complesso, poi sarei tornata a casa a fantasticare come una stupida adolescente sul nostro prossimo incontro. Oppure a mangiarmi le unghie e rovinarmi il fegato dalla gelosia di saperlo ogni giorno lontano da me, immerso in un mondo diverso dal nostro, quello dei grandi.

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Dawson's Creek la serie tv degli anni novanta/duemila che ha incollato alla televisione centinaia di ragazze. Eccola qua, quella sigla che non dimenticheremo mai. Come cantavamo?  AIROUANAUEI!!!

Serena

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