Noi

I raggi del sole penetravano attraverso le ampie finestre che davano sul lago. Mi svegliai. Matthew dormiva ancora, lo guardai incantata per qualche momento. Il volto era disteso e la sua espressione serena e pacifica. Teneva il cuscino fra le braccia, mentre le gambe, troppo lunghe per flettersi completamente sulla lunghezza del divano, erano rannicchiate.
In quel momento mi sembrò un bambino sognante,allegro e spensierato, carico per incominciare vivacemente una nuova giornata.
Avrei voluto stringerlo a me. -sei un'idiota Andrea!-

Mi allontanai dal divano dirigendomi verso il terrazzo. L'aria mi pungeva sul viso. Rabbrividii. Il panorama era bellissimo. Il sole batteva sulla pelle delle braccia, contrastando l'aria fredda di  marzo. Il lago era calmo e le montagne si potevano ritrovare rispecchiate in esso. Chiusi gli occhi e alzai il volto verso il sole. Rimasi lì così non so dire quanto a lungo.
Un braccio mi avvolse la vita. Sentii un calore profondo irradiarsi nel corpo. Pigramente girai la testa per capire che cosa avesse intenzione di fare Matthew. Era una bella sensazione. Avrei voluto rimanere così, ma le circostanze purtroppo lo impedivano.

"Buongiorno" mi sussurrò lui. La sua voce era sempre stupenda, ma lo era ancora di più appena sveglio la mattina.
Mi scostai mentre lui si spostò al mio fianco.
"Bello vero?"
"Sì, preferisco quest'hotel a tutti gli altri perché ha una vista incomparabile." Affermò. "Ci sono venuto qualche volta nel periodo natalizio quando ero piccolo."
"No io andavo sempre a Cortina a quell'epoca."
Sorrise, forse  perché era la prima volta che accennavo al mio passato, ma parlare di Cortina non riaccendeva brutti ricordi.
"Hai dormito bene su quel divano?" Gli chiesi sentendomi un po' in colpa di aver avuto un letto matrimoniale comodissimo tutto per me.
"Sì, devo dire che ho dormito in posti peggiori." Con ciò distolse lo sguardo dal lago e fissò, perso, il cielo. Era di nuovo in un altro mondo e la sua espressione mutò da desolata a cupa e piena di rimorso. Almeno sembrò così a me, forse non fu così, forse decifravo le sue espressioni in modo sbagliato perché influenzata dal mio passato e dalle mie esperienze.
"Che ore sono?" Chiesi dopo qualche minuto per rompere il silenzio.
Matthew si portò distrattamente l'orologio al polso, poi abbassò lo sguardo su di esso.
"Sono le due e mezza." Lo vidi ritrovare il buon umore. Sorrise, sembrava sollevato.
-Ma quanto è lunatico il mio Anderson?.....aspetta un attimo...l'ho appena chiamato il mio Anderson? Il mio??! Andrea ma che caspita ti prende, lui è un playboy e poi tu hai Alex che è un ragazzo dolcissimo e lo sai bene.-
-Grazie.- Sapevo bene che c'era Alex ed ero a piena conoscenza del fatto che era effettivamente il ragazzo migliore che ci fosse per me.

Eravamo davvero una bella coppia, eppure in quel momento ero riuscita a porlo in secondo piano. In quel momento c'eravamo solo io ed il mio passato e sebbene ci fosse anche Matthew...qualcosa del mio istinto mi faceva pensare che lui potesse condividere con me molto riguardo al passato. Non desideravo aprirmi con lui, ma mi piaceva la sua presenza non invasiva, come quella di qualcuno che sa di cosa si tratta perché lo ha vissuto, qualcuno che teme il passato e che lo 'maneggia' con cautela. Non si dice proprio che 'le vere paure degli uomini sono quelle vissute in prima persona'?
Vidi Matthew osservarmi mentre mi perdevo fra i miei pensieri. Mi decisi dunque a rispondere.

"In effetti avrei un po' di fame..."
Ridemmo. "Anch'io. Forse il ristorante dell'albergo è ancora aperto."
"Andiamo a vedere?"
"Certo."
Ci vestimmo e uscimmo dalla suite. Il ristorante era aperto. Mangiammo qualcosa e andammo a fare una passeggiata.
"Domani dovremo puntare la sveglia per non svegliarci alle due di pomeriggio." Affermai in modo spiritoso.
"Hai ragione!" Disse ridendo. Ci sedemmo sul prato a riva del lago. Gli alberi si ergevano in modo ordinato, formando una mezzaluna che ci dava un po' di privacy e ci separava dalla passeggiata sempre molto trafficata.
"Ti piace di più l'inverno o l'estate?"
Quella giornata sembrava quasi estiva. Ormai avevamo superato i ventidue gradi e non era paragonabile al freddo newyorkese.
"L'inverno. Non amo il caldo." Rispose.
"Cosa c'è che non va?" Domandai. Si stava sforzando di essere allegro e gentile, ma sentivo che in realtà era distante.
"Niente...solo..."
"Solo?"
"Niente."
Provai pena per lui. Sembrava un'anima tormentata. Decisi che lo avrei rallegrato io se non fosse riuscito da solo, non occorreva che fossi a conoscenza della fonte del suo dolore.
Mi alzai. Matthew mi seguì con lo sguardo, incuriosito. Toccai l'acqua con la punta delle dita e rabbrividii. Era ghiacciata.
-Facciamolo.-

Avevo tolto la giacca ed ero in mezze maniche. Affondai le braccia in acqua fino ai gomiti, e con le mani a scodella ne lanciai un po' addosso a Matthew. Mi guardò prima stupito, poi un sorriso malefico gli spuntò sul viso.
"Ora vedi." Lasciò cadere la giacca elegante sull'erba e tirandosi su le maniche della camicia mi venne incontro. Entrò in acqua con i piedi e fece schizzare tutta l'acqua intorno a sé. In un attimo fui semi bagnata. Lo schizzai più che potei non facendo caso al fatto che, per via della forza che ci mettevo, un po' di acqua la prendevo pure io.
Corse verso di me, scappai urlando fra le risate. Le sue falcate erano il doppio delle mie e mi raggiunse senza fatica dopo pochi passi. Mi afferrò per la vita e mi tirò su, scalciai cercando di liberarmi, ma invano. La mia schiena era contro al suo torace. Di nuovo il calore che avevo provato la mattina mi invase, sebbene stessi congelando. Mi fece roteare in aria, poi si immerse in acqua tenendomi stretta a sé, assicurandosi così che la sua missione di bagnarmi andasse a buon termine. Uscimmo dopo un po', entrambi ghiacciati, ma sorridenti. Forse ero riuscita a separarlo dai suoi pensieri almeno per un po' e, per il momento, mi bastava. Sapevo come ci si sentiva.

Il pomeriggio passò tranquillamente. Chiamai Alex che mi informò della sua mattinata americana. Una seconda volta evitai di raccontargli alcuni avvenimenti. Con Alex avevo avuto la prima relazione seria, senza bugie, ma ormai era un giorno che infrangevo quella mia regola instaurata da poco: trasparenza e niente bugie.
Matthew bussò alla porta. Era uscito a fare un giro mentre io avevo preferito rimanere in albergo. In quell'istante squillò il mio cellulare.
"Ehi Mike!" Dissi sorpresa, ma contenta di sentirlo.
"Ciao! Come va?"
"Bene grazie, e tu stai bene?"
"Sì sì tutto a posto...volevo solo assicurarmi che il viaggio fosse andato bene." Mi sembrò di vedere formarsi sul suo volto un sorriso gioviale dei suoi.
"Hahaha sì è andata abbastanza bene dai...ho dormito fino alle due di pomeriggio, ma a parte il jet-lag direi che va tutto alla grande."
"Bene...allora ti saluto, fatevi sentire. Ah e salutami Matt."
"Certamente grazie. Allora ci sentiamo."
"Sì va bene, ciao!"
Chiusi la comunicazione.

Non avevo visto James quel giorno e ne fui contenta, data la sua ultima conversazione con Matthew. Mi accorsi che non lo chiamavo più molto spesso col cognome.
"Ciao" disse sorridente. Si era appartato sul letto matrimoniale e mi guardò parlare al telefono.
"Ciao" risposi io, altrettanto di buon umore.
"Fuori si sta bene. Fa un po' freddo però. Ho trovato un posto di cui mi ero dimenticato...si vedono le stelle da lì, è davvero stupendo."
-perché non mi ci porti?- stavo per pronunciare quella frase innocua, quando mi resi conto del possibile effetto che avrebbe potuto avere e della miriade di problemi conseguenti che mi avrebbe procurato, così cambiai idea.
"Mi piacciono le stelle."
"A New York sono praticamente inesistenti. Troppe luci la illuminano costantemente..."
"Sì è così. Questo un po' mi manca dell'Europa e soprattutto dell'Italia."
I nostri sguardi s'incontrarono. I suoi occhi erano scuri, il suo sguardo intenso. Rimasi calamitata dal verde delle venature.
"Ti manca Milano?"
"Sì e no."
Matthew non tentò di forzare il discorso. Aveva capito che si trattava di un tasto dolente e, soprattutto, serio. Ero contenta del fatto che non mi facesse pressione, poiché mostrava una maturità che non era frequente nei giovani uomini di quei tempi. Lo paragonai ad Alex, m'imbarazzai di averlo fatto e mi sentii un po' in colpa nei suoi confronti, perché chi aveva perso in questo confronto era stato proprio il mio ragazzo.

Era mezzanotte. Il giorno seguente ci sarebbe stato il congresso. Dovevamo svegliarci presto.
"Forse ci conviene andare a letto." Proposi a Matthew.
"Sì hai ragione."
Ci preparammo per dormire. La notte precedente ero stata troppo stanca per prendermela con me stessa per aver dimenticato il pigiama, ma quella sera, non avendo per niente sonno, mi insultai più volte.
"sbadata che non sono altro! Ma si può dimenticare il pigiama?? Questa distrazione me la devo togliere assolutamente di torno!" Borbottai tra me.
"C'è qualche problema?" Chiese Matthew dal divano, mentre si godeva lo spettacolo con sguardo divertito. Con il braccio dietro alla testa la sorreggeva, così da potermi osservare bene sebbene fosse sdraiato.
"Sì, sono un'idiota!" Sbottai infastidita dalla mia sbadataggine.
Il mio capo si mise a ridere, tirandosi su e sedendosi sul divano.
"Ma no dai...sei solo un po' distratta" ammiccò.
Lo fulminai con lo sguardo, ma infondo lo ringraziai mentalmente per il commento carino. 
"Se vuoi puoi prendere una delle mie magliette." Si offrì.
"Grazie non fa niente posso dormire anche così." Cercai di evitare situazioni imbarazzanti anche se avrei accettato volentieri. Sembrava che avesse sentito i miei pensieri perché si alzò e si diresse verso l'armadio che avevamo in comune. Prese una maglietta bianca e dei boxer grigi e me li porse. Ringraziai prendendoli.

"Ah a proposito, ti saluta Mike."
"Ah lo hai sentito?" Chiese incuriosito.
"Sì era lui prima."
"Ok, 'notte."
"'Notte."

I vestiti profumavano di buono, avevano quello che immaginavo fosse il suo odore. Mi accoccolai nel letto e mi addormentai inalando a fondo con respiri regolari il profumo della sua maglietta.
Quella notte fu la prima di una serie in cui lo sognai.

Fui svegliata da alcuni rumori fastidiosi. Il tempo di realizzare dove mi trovavo e mi accorsi che si trattava del respiro di Matthew. Respirava molto velocemente, il suo ventre contratto si alzava costantemente. Accesi la lampada che c'era sul comodino. La luce mi permise di osservare meglio quello che stava accadendo. Le braccia di Matthew erano distese lungo il corpo, i muscoli in tensione, le mani erano chiuse a pugno e le nocche erano bianche per via della forza con cui le chiudeva. Aveva la fronte mandida di sudore, la mandibola serrata e ogni tanto strizzava gli occhi chiusi. Sembrava che stesse male, era agitato. Mormorò qualcosa ma non lo compresi. Si muoveva sul divano con accanimento. Mi sembrava che stesse soffrendo molto, non potevo vederlo così. Decisi che lo avrei svegliato. Gli afferrai il braccio destro che era appoggiato sul lato esterno del divano e lo chiamai.
"Matthew! Matthew svegliati!" Urlai più volte. Doveva dormire molto profondamente. Mi afferrò il braccio e poi le spalle con entrambe le mani. Gli occhi erano spalancati e vi vedevo il terrore e la rabbia.

"Matthew, Matthew svegliati. È stato un incubo. Va tutto bene. Svegliati." La stretta diminuì. Mi guardò alcuni istanti e poi distolse lo sguardo, il suo respiro si calmò. Sembrava vergognarsi dell'accaduto. Non riusciva a guardarmi. Nel frattempo si era messo a sedere ed io ero di fianco a lui, gli avvolgevo le spalle.
"Va tutto bene." Gli ripetei io sussurrando.
"Ti..ti ho fatto male?" Chiese senza guardarmi, la voce era incerta.
"No, sto bene." Mi aveva stretto molto forte il braccio sinistro, mi faceva ancora un po' male, ma non mi sembrò necessario informarlo. Aveva già abbastanza grane di cui occuparsi.
"Io...scusami." Mi guardò, ma poi immediatamente scostò lo sguardo come aveva fatto poco prima. Non sapevo cosa dire, personalmente odiavo che gli altri cercassero di intromettersi nel mio passato, specialmente durante i momenti di debolezza come quello. In questo caso era diverso però. Matthew aveva bisogno di aiuto.
"Che cosa stavi sognando?"
"Era solo un incubo, mi dispiace averti svegliata." Disse ora con voce più dura. Non mi guardava.
"Non posso continuare così Matthew, devi dirmi che cosa succede. È la seconda volta che ti trovo in questo stato, devi parlarne con qualcuno. Michael lo sa?"
"Non lo sa, non lo sa nessuno. Mi dispiace averti turbata, ma non c'è bisogno che ti preoccupi per me, sto bene."
"Ci sono passata. Tu non stai bene." Feci per allontanarmi ma lui mi afferrò per un braccio.
"Aspetta."

Mi fermai. Matthew mi tirò verso di sé e mi fece sedere sulle sue ginocchia, inutile dire che sentii lo stesso calore di prima irradiarsi dentro di me. L'unica differenza è che in quel momento il cuore iniziò a battermi a mille.
Ci guardammo negli occhi a lungo, forse secondi, forse minuti... In quel momento sentivo la necessità di alleviare il dolore che sapevo, gli stava opprimendo il petto. Provavo lo stesso dolore. Per la prima volta dopo Nick sentii la voglia di condividere i miei ricordi per alleviare il peso dei suoi.
Il mio capo mi strinse il fianco ed io mi avvicinai. Continuammo a guardarci fissi negli occhi, i nostri respiri erano gli unici suoni udibili. I nostri volti erano a distanza di una quindicina di centimetri e si stavano avvicinando ulteriormente. Passò forse un altro minuto, poi, le mie labbra toccarono le sue, chiusi gli occhi per non vedere il dolore che era stampato sui suoi. Volevo cancellare il suo dolore, la sua paura, la sua rabbia e il suo rancore. Era la sensazione più bella che avessi mai provato. Ci baciammo piano, come se avessimo avuto paura di romperci. Le sue labbra calde e carnose sfioravano le mie lentamente. Assaporai quel momento. Matthew mi avvicinò a sé, ero seduta a cavalcioni su di lui, le mie braccia si chiusero intorno al suo collo e le mie mani giocarono con i suoi capelli morbidi come la seta. Fu in quel momento che il mio cellulare squillò. Mi staccai velocemente come se fossi stata scoperta in fragrante.

In quel momento realizzai ciò che era appena accaduto. Matthew rimase fermo sul divano, mentre io raggiunsi il
mio cellulare.
"Amore"
Con che coraggio avrei risposto a quella chiamata?
"Pronto?" Mi schiarii la voce. Il cuore mi batteva ancora forte, la sensazione delle labbra di Matthew sulle mie non mi aveva ancora del tutto abbandonata quando il senso di colpa mi invase completamente.
"Signorina Mitchelle?" Una voce sconosciuta rispose.
"Sì sono io, che succede?"
"Signorina, sono Jackson Lanter, la chiamo perché Alexander ha avuto un incidente e lei era l'unico contatto tra i preferiti. Lo stiamo portando in ospedale."
Il panico mi invase.
"Come? Che è successo?" La voce mi si infranse e le lacrime iniziarono a scendere calde. Matthew mi raggiunse con un'espressione preoccupata. Stava per abbracciarmi, ma lo spinsi via.
"Sono molto dispiaciuto, ma ha avuto un brutto incidente, non posso darle ulteriori informazioni."
"Aspetti, dove...dove lo portate?"
"Lo portiamo al New York State Trauma Center"
"Ok...arriverò il prima possibile."
Cercai di calmarmi. La chiamata si interruppe. Mi sedetti sul letto e mi piegai a metà, un dolore lancinante mi avvolse la vita. Piangevo disperata. Avevo paura per Alex, mi sentivo in colpa perché lo avevo tradito, anche se solo con un bacio. Avevo paura di perderlo ed il pensiero che ,se non avesse squillato il telefono, tra me e Matthew sarebbe potuto succedere qualcos'altro mi riempiva di rimorso.

"Andrea che succede?" Matthew era difronte a me, non mi toccava anche se immaginai che avrebbe voluto.
"Vattene." Singhiozzai. Provò ad avvicinarsi nuovamente, ma lo respinsi.
"Che cosa ti ha detto Alex?" Domandò con tono che sembrava più quello di un'affermazione.
"Matthew per favore...va via."
"Ok.." La sua voce era debole. Le mie parole gli avevano fatto male. Uscì in pigiama lasciandosi la porta chiusa alle spalle. Presi le mie cose non appena ebbe lasciato la stanza, le buttai in valigia alla rinfusa. La chiusi e ancora con le guance bagnate dalle lacrime lasciai la camera. Fortunatamente Matthew non era fuori.
Mi asciugai il viso con le mani, il mascara era colato sotto alle palpebre, ma non m'importava. Mi schiarii la voce e chiamai un Taxi.
"Mi porti all'aeroporto per favore."
"Certo."
Arrivata comprai il primo biglietto per New York che trovai. A New York erano le due di notte.
Salii sull'aereo dopo aver atteso un'ora e mezza. Sarei arrivata lì non prima delle nove della mattina.
-che cosa ci faceva fuori a quell'ora?- mi chiesi quando incominciai a ragionare di nuovo.

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Ciaoo❤️ ecco il nuovo capitolo, fatemi sapere che ne pensate ;)

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