22


"Fate l'amore non fate la guerra. Si sta meglio su un letto che sottoterra."

Quelle parole. Avevo atteso quel momento da molto, molto tempo. Inizialmente non sapevo che cosa provassi per Matthew, ma poi, piano piano mi resi conto che era di più di una semplice infatuazione. Il suo carattere ribelle, i suoi occhi coinvolgenti e il suo passato oscuro mi avevano trascinata in un mondo nuovo che volevo conoscere meglio. Sentivo la necessità di liberarlo dai suoi incubi e non avrei mai voluto lasciarlo solo.

"Matthew." Non pronunciai altro, ma mi avvicinai a lui e le mie labbra si schiusero sulle sue. Premetti il suo collo più vicino e bastò quell'incoraggiamento a fargli capire che cosa volessi.
Matt sembrò sollevato, sentii un sorriso formarsi sulle sue labbra che poggiavano contro le mie e, subito dopo, il bacio si fece più intenso. Restammo in quella via deserta come due giovani innamorati per qualche minuto, poi appoggiai la fronte sulla sua per riprendere fiato. Ci guardammo negli occhi, i suoi erano liberi da ogni risentimento, mentre i miei dovevano essere accesi di gioia. Sorrise e io ricambiai. Mi sembrò di essermi catapultata all'epoca dei primi amori adolescenziali.

"Tuo padre mi ha salvato la vita." Quando pronunciò quelle parole mi girai verso di lui. Le coperte mi si avvolsero attorno alla vita e un brivido di freddo mi passò sulla schiena. La stanza era completamente buia, ma percepivo il corpo di Matthew poco lontano dal mio. Voltai il viso verso il lato sinistro del letto dove era sdraiato lui. Non parlai, ma questo gli bastò a proseguire.
"Era una giornata come tante, la polvere era alta in cielo, la nebbia causata dalla sabbia alzata dalle esplosioni impediva di vedere oltre ai propri piedi, la solita routine... Quel giorno sarei dovuto andare in servizio e così feci. Ero sul campo quando un uomo si presentò davanti a me. Teneva un fucile in mano. Non avevo mai sparato a nessuno e temevo di farlo. Rimasi immobile, incapace di agire e sarei morto se un altro soldato non gli avesse sparato prima che lui potesse sparare a me. Mi voltai e vidi degli occhi gioviali sul viso di un uomo dai capelli lievemente brizzolati. Restammo insieme tutto il giorno e mi parlò di sé. Il mattino seguente eravamo ancora insieme e decidemmo di pararci le spalle a vicenda. Ero stanco e non mi accorsi di un soldato che si era avvicinato a me sempre di più. Tuo padre mi aiutò, mi protesse sparandogli, ma questo gli impedì di salvarsi. Un alto uomo gli sparò al petto."
Matthew si fermò.
Un'insieme di emozioni mi sovrastò. Sebbene le sue descrizioni non fossero molto dettagliate rividi mio padre e al suo fianco un ragazzo molto giovane, inesperto e brillante. Certo rivedevo mio padre nei comportamenti che Matthew descrisse. Era il tipico uomo che avrebbe dato la vita pur di salvare qualcun altro, pur di evitare un tale dolore e una tale perdita ad un'altra famiglia. Non mise in conto però che a subire la perdita saremmo state mia madre ed io. Ogni volta che ripenso al giorno in cui ricevetti la comunicazione della sua morte è come se il mio cuore si fermasse, incapace di sostenere ancora e ancora il ritmo delle giornate grigie senza di lui. Il funerale fu poco dopo e in assenza del suo corpo; fu quel giorno che mi resi conto di quanto il funerale fosse una sorta di evento ideato non tanto per i morti, quanto più per i vivi...
"Andrea?" La voce di Matthew era profonda e mi riscosse da quei pensieri così forti da rischiare di risucchiarmi per sempre.
Mi avvicinai a lui e posai la testa sul suo petto caldo. Sentivo il battito del suo cuore forte e veloce.
"Ti prego, continua." Gli dissi con poca voce. Un nodo mi si era formato in gola e cercavo di mandarlo giù.
"Cadde a terra e io mi protessi entrando in una fossa. Non sparai al soldato, qualcun altro lo fece al posto mio."
<<Ehi, ma che ti è preso?!>> mi urlò un ragazzo, probabilmente quello che gli aveva sparato. <<questa volta ti è andata bene, ma devi sparare o morirai.>>
Uscii dalla buca e mi diressi verso tuo padre. Mi sorrise e io gli ripetei quanto mi dispiacesse. Mi disse che non importava, che era sereno ed era contento di quello che aveva fatto. Mi chiese solo un favore. Disse di avere una tua foto all'interno della colla che teneva al collo, mi disse di prenderla e di proteggere sua figlia, per il resto non gli importava di niente. Non riuscii a prendere il portafogli perché arrivarono sempre più soldati e fui costretto a fuggire. Quando tornai a casa non smisi di cercare la bambina."
Ci fu una breve pausa. "Non ho mai smesso di cercarti Andrea. Mi dispiace, mi dispiace così tanto per tuo padre. È tutta colpa mia..."
lo strinsi forte a me e piansi in silenzio. Le lacrime fredde che caddero sul suo torace lo fecero rabbrividire, ma Matt mi strinse ancora più forte a sé. Non disse nulla e lasciò che mi sfogassi.
Passò forse un'ora dopodiché mi calmai e restai ad osservare il buio godendomi le carezze che Matthew mi faceva alla testa.
"Come mai gli attacchi di panico?" Gli chiesi piano.
"Per stasera ti ho detto abbastanza, non mi va di parlarne, non ora."
"Ok." Dopo poco aggiunsi "grazie per avermi raccontato di mio padre."
"È il minimo che potessi fare." Mi misi sui gomiti e lo baciai dolcemente, poi mi accasciai sul mio cuscino e dopo aver tirato su la coperta chiusi gli occhi.


Matthew:
Mi addormentai guardano Andrea. -Dio quanto è bella- pensai, sorridendo al ritmo regolare e calmo dei suoi respiri. Era serena e sembrava in pace. La pace che a me mancava ogni notte e ogni giorno.
Mi addormentai dopo forse un'ora.

"Avanti, alzatevi!" Apro gli occhi e la stanchezza mi sovrasta. È ancora buio pesto. Mi giro di fianco, dolorante per aver dormito un'altra notte per terra, coperto soltanto da una giacca di lana e del fieno sotto alla testa. Fa freddo. Mi alzo stringendo le braccia al corpo.
"Ma che ore sono?" Chiedo ad un soldato di fianco a me.
"Sono le 4:30."
"Su, fanciulle, sveglie!" Urla un altro.
"Come mai così presto oggi?"
"Non hai sentito? Stanno avanzando..."
immagino si riferisca ai soldati nemici.
Saranno forse le sei e abbiamo già percorso molte miglia a piedi, il sole sta iniziando a sorgere. L'unico segno che me lo fa notare è una flebile luce marroncina che penetra attraverso l'aria spessa e intorbidita dalla sabbia che vola in cielo per via delle esplosioni. Sembra nebbia ed è così fitta da non permettermi di vedere oltre al mio stesso naso.
Scorgo un'ombra ma quando mi accorgo che si tratta di un uomo vestito diversamente da me che mi sta puntando un fucile è troppo tardi. Non ho il tempo di reagire, sono agghiacciato, ho paura, non ho il controllo sul mio corpo e la mia mente è congelata. Sento uno sparo e immagino che mi abbia colpito, che stia morendo, attendo alcuni istanti, pronto a vedere la luce di cui tutti parlano tanto, ma non arriva alcun dolore.
"Stai bene?" Mi chiede un signore. Quando lo guardo vedo degli occhi gioviali sul viso di un uomo dai capelli lievemente brizzolati.
"S-sì... grazie." L'altro era caduto a terra nel frattempo.
"Non ringraziarmi, qui siamo tutti dalla stessa parte." Dice sorridendomi. "Non sei qui da molto vero?"
"N-non molto..no." Sorride nuovamente.
"Sono arrivato qualche settimana fa."
"Sì, mi sono accorto che dovevi essere nuovo. Non sai sparare eh?"
"Non sapevo che fare ero come...come congelato."
"Sì, conosci bene la sensazione che stai descrivendo. Ci siamo passati tutti. Prima o poi riuscirai, se ne va della tua vita." Mi dà una pacca sulla spalla. Sobbalzo, ancora spaventato dalla scena appena passata.
"Quanti anni hai?" Mi chiede mentre camminiamo. Tiene lo sguardo alto, sembra scrutare oltre il visibile. È in allerta.
"18 signore." Rispondo come se a parlarmi fosse stato un superiore.
"Oh, non c'è bisogno che mi tratti con tanto rispetto. Sono un soldato semplice come te."
"Come...come ha imparato a sparare?"
"Beh, diciamo che è stato per forza dei fatti. Mi sono ritrovato a dovermi difendere. Se non avessi sparato sarei morto e ne ero consapevole."
"Anche io lo ero, ma non mi sono mosso. Non ero in grado di farlo. "
"Non ti era mai capitato prima eh?"
"No. Lavoravo principalmente allo stabilimento."
"Capisco." Sorride.
Continuiamo  ad ispezionare la zona  finché sentiamo il richiamo di un superiore.
"TUTTI dentro. Iniziano a bombardare riparatevi."
"Questa è più o meno la routine sul campo. Ci fanno uscire, ispezioniamo, vediamo quanto distanti sono gli altri soldati e poi quando iniziano a bombardare ci dicono di ripararci. Ci sono delle squadre speciali che raggiungono i loro accampamenti."
"Quindi anche loro possono raggiungere i nostri..."
"Sì, ma non temere, noi siamo in tanti."
"È una missione suicida..a che scopo?"
"Beh, è la stessa domanda che potrei porre a te. Hai solo 18 anni, ti sarai appena diplomato e rischi la tua vita. Nessuno ti ha obbligato eppure sei venuto qui."
"È una questione di nazionalismo. Penso di dover fare qualcosa per il mio Paese."
"Certo, lo capisco e lo stesso vale per loro."

Nel corso della giornata stiamo perlopiù riparati e la sera ceniamo insieme.
"Zuppa. Anche questa sera zuppa. Come ieri sera. Come domani sera."
"È da molto che è qui?"  Gli chiedo.
"Qualche mese, ormai ho perso il conto. Non ho avuto ancora modo di scrivere a casa. Sai dovresti scrivere ai tuoi... per assicurarli che sei tutto intero." Dice con un occhiolino.
"È quello che faccio. Li tranquillizzo, ma il punto è che secondo loro potrei essere morto il momento dopo aver scritto la lettera. Non c'è modo di renderli certi che sto bene e sono vivo."
"È per questo che non scrivo."
Parliamo di me, della scuola, di cosa ho in mente di fare ora.
"Matthew giusto? "
"Sì."
"Si è fatto tardi, domani sarà un'altra levataccia. È meglio se andiamo a dormire."
"Ha ragione."
Ci alziamo e ci avviamo verso un posto più riparato. Il fieno è sempre lì.
"Buona notte." Dico stendendomi.
"Buona notte ragazzo."
Mi addormento pensando alla mia famiglia.

"Matthew è ora."
"Che ore sono oggi?" Chiedo alzandomi con un sospiro.
"Sono le 6:25. Ci hanno dato il cambio, stamattina è toccata ad altri."
"Meno male. Sono stanco morto."
Prendo un bicchiere sporco di terra e ci verso dell'acqua.
"Andiamo."
Seguo l'uomo che mi ha salvato la vita senza sapere il suo nome.
La giornata si preannuncia lunga e faticosa.
"E i tuoi?"
"Non sono fanatici come me." Dico ridendo.
Un'ombra si avvicina. Poco dopo si tramuta in figura concreta. Un fucile è puntato verso di me. La risata mi muore in gola. Di nuovo la stessa sensazione, di nuovo l'incapacità di agire.
"Spostati Matthew." Mi urla l'uomo sparando al soldato che nel frattempo aveva premuto il grilletto. Il proiettile mi sfiora il braccio. Sento un dolore forte e subito dopo un bruciore propagarsi velocemente per il braccio.
"Ah!" Urlo.
"Stai bene?" L'uomo sembra preoccupato per me. "Fa' vedere."
"Sto bene. Non è nulla grazie." Mi volto per scostarmi. Vedo un uomo. Ho il fucile in mano. Non so che fare. Ho il tempo per agire ma non faccio nulla. Sono pietrificato. Il soldato punta il fucile sul mio compagno. Mi sembra di vedere la scena in slow motion. Il rumore del grilletto che scatta e dei proiettili che partono mi rimbomba nelle orecchie creando un'eco assordante.
Il mio amico cade a terra. Lo hanno colpito al petto. Lo hanno colpito e io avrei potuto evitarlo. Lo hanno colpito e io avrei dovuto fare qualcosa. Avrei dovuto sparare. Lui mi ha salvato la vita due volte e io? Io l'ho fatto uccidere.
Corro. Mi nascondo in una fossa vicino finché la voce di un soldato americano, probabilmente quello che ha colpito l'uomo che ha ferito forse mortalmente il mio compagno, mi ordina di uscire. È scettico nei miei confronti. "Ehi, ma che ti è preso?!" mi urla,"questa volta ti è andata bene, ma devi sparare o morirai."
Esco dalla buca e mi dirigo verso il mio salvatore. È accasciato a terra, gli scuoto il viso. Mi guarda. Ha perso molto sangue e non gli resta molto da vivere. -Dio che ho combinato?-
"Mi dispiace. Ti prego scusami. Oddio.." sono in panico. Gli occhi si velano di lacrime e vedo tutto molto sfocato.
"Ehi, sto bene. Va tutto bene." La sua voce è ridotta ad un flebile sussurro. "È stata una mia scelta. Sapevo che non avresti sparato. Ho deciso di aiutarti e sono contento di questa scelta. So che sarai un bravo ragazzo e diventerai un brav'uomo. C'è solo una cosa che vorrei chiederti." Si ferma per prendere aria. Gli stringo forte la mano e mi avvicino a lui guardandolo con occhi sbarrati.
"La collana che ho al collo...me l'ha regalata mia figlia. Dentro c'è una sua foto. Ti chiedo solo di prenderti cura di lei perché io non potrò farlo. Ti conosco da molto poco, ma in questi due giorni scarsi...mi sei sembrato un ragazzo in gamba...va via di qui. Non è il tuo posto il campo....torna a casa...e per favore assicurati che lei stia bene...."
"No no no! Non dire così. No! La vedrai TU tua figlia. Ti prenderai tu cura di lei. Ora..ora ti porto via. Al sicuro." Mi alzo di scatto ma lui sorride e mi fa un lieve cenno col dito. Mi abbasso di nuovo.
"Va Matthew."
"No no! Per favore! No!" Urlo, sembro pazzo.
I suoi occhi si spengono lentamente e perdono la loro luminosità e vivacità. Sento il suo respiro cessare. Attendo qualche istante; il mio cuore batte a mille e per la testa frullano miliardi di pensieri. Gli chiudo le palpebre dopo un paio di minuiti con dita tremanti.
"No!" Urlo accasciandomi.
-Una figlia ha perso il padre per colpa mia. È colpa mia. Una famiglia non avrà più una figura di riferimento. Ho visto il soldato. IO HO VISTO IL SOLDATO. Dovevo sparare. Avrei dovuto fare qualcosa. Avrei dovuto salvarlo come lui ha salvato me. Ho avuto tempo. Non ho fatto niente. Perché non ho fatto niente? No. Non può essere. Non io. Una figlia ha perso suo padre. È colpa mia. È tutta colpa mia. Ho visto il soldato. Avrei dovuto fare qualcosa. No! Ho avuto tempo. Non ho fatto niente...- 
Afferro la collanina e gli stessi frammenti di frase mi frullano per la testa. Non riesco a riflettere. Non riesco a respirare. Stringo forte i pugni. Vorrei spaccare qualcosa, ma l'unica cosa che dovrei prendere a pugni è me stesso. Io mon ho fatto niente. Avrei potuto, avrei dovuto fare qualcosa....

"Matthew! Matthew svegliati!" Presi coscienza. Ero nel mio letto. Non ero in guerra. La guerra era parte del mio passato. Mi resi conto che stavo stringendo i pugni e avevo la fronte madida di sudore. Andrea mi guardava preoccupata.
"Sto bene." Le dissi dolcemente. Una fitta mi prese il petto. -Mi faccio schifo, come faccio a mentirle così? Come ho il coraggio di guardarla negli occhi!-
La stringo tra le mie braccia per impedirle di vedere la sofferenza che non riesco più a controllare. Sono scosso dal panico e dai sensi di colpa.
"Ho bisogno di te." Le sussurro piano nell'orecchio.
"Sono qui." Mi risponde con dolcezza. Appoggio la fronte tra la sua clavicola e il suo collo. Profuma di buono.

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Hellooo! Ed eccomi di nuovo❤️
So di averci messo molto, ma purtroppo ho avuto tanto da fare, dovete scusarmi;)
Cosa ne pensate di questa evoluzione? Fatemi sapere! 😘

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