Ti scatterò una foto
Siamo sempre stati noi tre.
Qualunque cosa accadesse - buona o cattiva che fosse - eravamo sempre noi tre.
Un giorno abbiamo iniziato ad essere in quattro.
Noi tre e la mia macchina fotografica.
La prima me l'ha regalata mamma.
Era una di quelle macchinette con il rullino.
Avevamo 8 anni.
Il primo scatto, il mio primo scatto in assoluto, ritrae, in modo sfocato, il pavimento del mio salotto.
Il secondo scatto, e il primo che abbia fatto volontariamente, ritrae il tuo viso paffuto e sorridente mentre mi porgi il tuo regalo.
Sorridevi per me, dicevi che eri felice che avessi ricevuto il regalo che volevo da tanto.
E quello scatto frettoloso e spontaneo ti ha fatto sorridere ancora di più.
Il terzo scatto - anche questo un po' sfocato che mamma non sapeva regolare l'obbiettivo - ritrae noi tre.
Tu sei nel mezzo e, come sempre, sorridi, io sono alla tua destra, ti guardo e un timido sorriso si fa spazio sul mio viso sempre serio.
Alla tua sinistra c'è lui, ti tiene la mano e tu ricambi la stretta, siete sempre stati molto legati voi due.
Il quarto scatto, uno di quei pochi di cui non sei mai stato a conoscenza, ritrae voi due, da soli.
Tu sei seduto a terra, sul tuo viso si nota la scia salata delle lacrime, probabilmente eri caduto che sei sempre stato un po' imbranato.
Lui è di fronte a te, sul suo viso c'è il solito broncio, ma ti sta porgendo la mano per alzarti.
Quando ho portato il rullino a far sviluppare hai insistito per accompagnarmi.
Hai voluto a tutti i costi tenere i negativi delle foto.
Hai detto che li preferivi agli scatti cartacei, che il fatto che potessero essere guardati solo in un certo modo li rendeva speciali.
Ho pensato fosse una cosa strana.
Ora nel mio portafogli c'è un negativo, mettendolo in controluce si scorge la tua sagoma, stai guardando come incantato i negativi che ti ho appena regalato.
La seconda macchina fotografica me l'ha regalata mio fratello.
Una polaroid, di quelle squadrate e colorate.
Avevamo 13 anni.
Il primo scatto, sviluppato male che non sapevo che toccando l'istantanea l'avrei rovinata, ritrae il mio diploma delle scuole medie.
Il secondo scatto, una volta capito come non rovinare le istantanee, ritrae te che mi corri incontro con in mano il tuo diploma, inutile dirlo, stai sorridendo.
Il terzo scatto, un po' bruttino che avevo provato a usare la macchina fotografica per fare un selfie, ritrae noi tre, stiamo sorridendo, tutti, anche io, anche lui.
Avevamo appena saputo di essere stati tutti accettati nello stesso liceo.
Non penso di averti mai visto sorridere tanto come quel giorno.
Dicevi che eri felice perché finalmente avresti potuto frequentare quella scuola prestigiosa in città, così da poter coronare il tuo sogno.
Ma cosa più importante, eri felice perché io e lui saremmo stati con te.
Il quarto scatto, che non volevo mostrarti ma che hai visto comunque, ritrae voi due.
Siete vicini, uno di fronte all'altro, i vostri sguardi sembrano incollati, lui ti sistema un ciuffo di capelli dietro l'orecchio.
Non ricordo cosa stavate facendo.
Ricordo che mentre guardavo quell'istantanea appena scattata ho sentito il bisogno di andarmene.
Tu mi hai rincorso, avevi sentito il click della macchina.
Hai visto la polaroid che avevo in mano.
Mi hai fatto i complimenti per quello scatto.
Hai detto che ero riuscito a "catturare le emozioni".
Mi hai chiesto se potevi averne una copia.
Quando ti ho portato la tua copia dello scatto hai scritto la data sul margine bianco della polaroid.
Dicevi che così anche in futuro ti saresti ricordato che quel giorno, in quel momento, avevi provato quelle emozioni, ed eri stato felice.
Ho pensato fosse una cosa strana.
Ora sulla mia scrivania, accuratamente incorniciata, c'è una tua polaroid, ridi mentre giri su te stesso nella tua camera piena di fotografie, le mie fotografie.
In basso, sullo spesso margine, una data.
La terza macchina fotografica, me l'hai regalata tu.
Una digitale, di quelle piccole che stanno in tasca.
Avevamo 18 anni.
Il primo scatto, fatto male che avevo messo le dita davanti all'obbiettivo, ritrae il panorama fuori dalla tua finestra.
Mi avevi dato il regalo quel pomeriggio dove lui non c'era e mi avevi invitato a dormire da te.
Quella sera non riuscii a prendere sonno, la tua testa poggiata sul mio petto e la sensazione dei tuoi capelli che mi solleticavano il naso - come succedeva ogni volta che dormivano insieme fin da quando eravamo bambini - mi impedivano di rilassarmi, complice anche il fastidio che sentivo all'altezza dello stomaco.
Il secondo scatto, uno scatto spontaneo, ritrae la tua figura stesa sul tuo letto, stai guardando il telefono.
Ti stavi mangiando le unghie, poi ti è arrivato un messaggio, hai sorriso.
La tua reazione mi ha fatto tenerezza.
Hai alzato lo sguardo verso me, mi hai detto che ti aveva scritto lui.
Che aveva detto che ci sarebbe stato.
Quella è stata la prima, ma non l'unica, volta in cui ho desiderato che uno di noi tre non fosse mai esistito.
Il terzo scatto, che hai insistito per appendere nella bacheca di camera tua, ritrae noi tre.
Siamo sdraiati sul prato del solito parco, lo stesso dove andavamo da bambini.
Anche questa volta sorridi, ma è un sorriso triste.
Avevi appena scoperto che non avrei frequentato la vostra stessa università.
Eri triste, ma ti avevo promesso che ci saremmo visti comunque, perciò sorridevi.
Quel sorriso mi ha fatto bene al cuore.
Il quarto scatto, fatto di fretta che sull'aereo non si possono usare dispositivi elettronici, ritrae voi due.
State entrambi dormendo, il volo era parecchio lungo, ma tu avevi insistito dicendo che "il viaggio della maturità serve per evadere" quindi avevamo scelto un posto lontano.
Tu hai la testa poggiata sulla sua spalla e lui ti tiene la mano.
Poco dopo ti sei svegliato, lui dormiva ancora, lo hai guardato e hai sorriso.
Quel sorriso mi ha fatto venire voglia di piangere.
Quando, una volta tornati da quel viaggio, ho sviluppato le foto della macchinetta tu eri insieme a me.
Avevi insistito per aiutarmi, che non mi faceva bene stare sempre chiuso in quello stanzino dalle luci rosse, che mi serviva compagnia.
Io ti passavo gli scatti appena sviluppati e tu li appendevi ad asciugare.
Poi hai visto la foto fatta in aereo.
Ti sei imbambolato a guardarla e mi hai chiesto se potevi tenerla.
Quando ti ho detto di sì mi hai dato un bacio sulla guancia, ed era il mio turno di imbambolarmi.
Sei scappato di corsa fuori dallo stanzino.
Ho pensato fosse una cosa strana.
Ora, appeso esattamente al centro della bacheca in camera mia, c'è quello scatto.
Io, nella mia camera oscura, con un'espressione mista tra lo shock e la confusione.
Ovviamente ti sto guardando.
Che dopo essere scappato di corsa sei tornato con in mano la mia macchina fotografica e hai scattato in tutta fretta.
"La tua espressione deve rimanere nella storia" hai detto ridendo.
Quella è l'unica fotografia che tu mi abbia mai fatto.
La quarta macchina fotografica, me la sono comprata da solo.
Una professionale, di quelle con gli obbiettivi enormi che devi tenere nelle valigette.
Avevamo 23 anni.
Il primo scatto, curioso di capire come funzionassero quegli enormi obbiettivi, ritrae un animaletto nascosto sotto un cespuglio.
Il secondo scatto, il mio preferito in assoluto, ritrae il tuo viso, ovviamente, sorridente.
I capelli bagnati ti si appiccicano alla fronte, alcune goccioline bagnano l'obbiettivo.
Hai gli occhi socchiusi, dicevi di avere il sole davanti.
Sullo sfondo, la spiaggia che frequentavamo da bambini.
Lui non c'era.
Quel giorno ho sorriso un po' anche io.
Il terzo scatto, custodito gelosamente nell'album di foto di mamma, ritrae noi tre.
Avevamo deciso di ricreare la stessa foto di quando eravamo bambini.
Tu sei di nuovo nel mezzo, sempre sorridente.
Lui è di nuovo alla tua sinistra che ti tiene la mano, ma ormai le vostre mani sono sempre intrecciate.
Io sono sempre alla tua destra che ti guardo - dall'alto stavolta che sei rimasto bassino - questa volta però, non sorrido.
Il quarto scatto, fatto mentre le lacrime mi bagnavano il viso, ritrae voi due.
Lui è leggermente fuori dall'inquadratura - lo sai che il protagonista dei miei scatti sei sempre tu - ti porge un mazzo di chiavi.
Tu hai gli occhi lucidi mentre le prendi in mano.
Le chiavi di casa vostra.
Quando ti ho accompagnato a comprare un po' di cose per la casa nuova mi hai chiesto di regalarti qualche scatto, di quelli fatti da bambini, dove ci siamo tutti e tre.
Hai detto che anche se era casa vostra volevi che ci fossi sempre anche io, in un modo o nell'altro, perché noi tre eravamo insieme da sempre.
Stavolta non ho pensato che fosse una cosa strana.
Ora abbiamo 27 anni.
Non ci sentiamo da un po'.
Mi hai chiamato tu, hai detto che era importante, che ti fidavi solo di me e che speravi accettassi.
Ho pianto, quando me l'hai detto.
Ma ho accettato comunque, non potrei mai dirti di no.
La macchina fotografica è sempre quella, la migliore che possiedo.
È il tuo giorno, meriti gli scatti migliori.
Il primo scatto, che fortunatamente era solo una prova per la luce, ritrae la facciata dell' edificio.
È tutto sfocato.
Mi tremano le mani.
Il secondo scatto, ora che il tremore è passato, ritrae lui.
È in ansia, si vede.
Continua a guardarsi intorno, ti sta cercando, anche se sa che manca ancora del tempo al tuo arrivo.
Quando mi vede si rilassa, addirittura sorride.
Dice che è felice di vedermi perché per te la mia presenza è importante.
Un po' sorrido anche io.
Il terzo scatto, fatto con lo zoom per catturare tutti i dettagli, ritrae voi due.
I vostri visi, per essere precisi.
Lui sorride, come non ha mai fatto.
Ti guarda come se esistessi solo tu.
Tu stai piangendo, ma anche con le lacrime il sorriso non abbandona mai le tue labbra.
Ti fanno una domanda, e tu annuisci perché non hai la forza di rispondere a parole.
Il mio sorriso si apre un po' di più.
I miei occhi si fanno un po' più lucidi.
Il quarto scatto, che so per certo finirà incorniciato sul tuo comodino, ritrae - ancora una volta- la facciata dell'edificio.
Questa volta però ci siete anche voi due.
Tu ti stai ancora asciugando le lacrime di prima.
Lui ti abbraccia stretto.
Ridete entrambi.
E non posso fare a meno di farlo anche io.
Fa male, perché fa male, ma è giusto così, tu sei felice, ed è tutto quello che mi serve sapere.
Penso questo mentre, con un ampio ma malinconico sorriso sulle labbra scatto l'ultima fotografia della giornata.
L'ultimo scatto, che rimarrà per sempre impresso nella mia memoria, ritrae, per l'ennesima volta, voi due.
Questa volta state correndo mano nella mano giù per i gradini dell'edificio.
La luce del sole illumina i vostri visi.
Sullo sfondo, sul muro del luogo che vi siete appena lasciati alle spalle, uno striscione bianco recita:
"Viva gli sposi".
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