.7.
Quando finalmente mi sedetti sul letto, esausta, qualcuno prese a bussare alla porta di quella che ormai era diventata la mia camera, facendomi sbuffare.
Avevo passato l'intero pomeriggio a mettere a posto i nuovi vestiti per ordine di colore nell'armadio, e solo alla fine mi ero resa conto di quanto quell'attività mi facesse sembrare una maniaca della perfezione.
La verità, però, era che non volevo affrontare Louis dopo il bacio che c'era stato, ma soprattutto, dopo ciò che Zade gli aveva detto sul mio conto.
«Amber, posso entrare?» domandò una voce profonda che riconobbi come quella di Louis, e io acconsentii. «Sì, certo». Dopo pochi istanti il ragazzo fece il suo ingresso nella stanza, richiudendosi la porta alle spalle e raggiungendomi, sedendosi di fianco a me.
«Va tutto bene?»
«Tutto bene» confermai sorridendogli appena, notando il suo sguardo cadere sugli abiti perfettamente ordinati all'interno dell'armadio.
«Ti sei data da fare, eh?» ridacchiò, riprendendo a guardarmi: non potei fare a meno di sorridere alle sue parole, divertita, ma aggrottai la fronte quando Louis tornò improvvisamente serio, come se avesse dovuto dirmi qualcosa.
«Ascolta, Amber...» pronunciò poco prima di bloccarsi, abbassando lo sguardo sull'anello che portava al dito medio e sfiorandolo col pollice.
«Per tutti questi giorni ho lasciato che a ogni chiamata di lavoro rispondessero i ragazzi, dandomi in malattia. L'ho fatto per te, per starti accanto, non volevo lasciarti sola ad affrontare tutto questo» il capo di Louis si risollevò, stabilendo un contatto visivo coi miei occhi limpidi, «sapevo però non sarebbe durato per sempre. Questa sera ho ricevuto una chiamata che non ho potuto rifiutare, Ambs... Devo andare a lavoro» concluse. Il mio cuore perse un battito.
«M-ma...» pronunciai titubante, dando un'occhiata all'orologio appeso alla parete bianco panna che segnava le ventidue e un quarto. Era davvero tardi, ma probabilmente, i pugili come Louis non avevano orari.
«Devi andare a un... combattimento?» gli chiesi, sperando in una risposta negativa che non arrivò: infatti, il ragazzo annuì.
«Ah...» dissi solamente, abbassando lo sguardo al suolo. Dopo avermi confessato ciò che faceva per vivere, sapevo che prima o poi il momento in cui avrebbe dovuto partecipare a un incontro sarebbe arrivato: quello che non mi aspettavo, però, era che sarebbe accaduto così in fretta.
«Ehi, Ambs...» Louis poggiò due dita sotto al mio mento e sollevò il mio viso, inducendomi a guardarlo negli occhi, «non vado mica in guerra! Sarà solo un combattimento: nulla di più, nulla di meno» affermò, per poi avvicinarsi di poco, sussurrando come se mi stesse confidando un segreto, «e posso assicurarti che sono una di quelle persone che non ne perde mai uno» mi rivolse un occhiolino, abbozzando un sorriso.
Chissà perché però, quel pensiero non mi rincuorava affatto.
Louis dovette notarlo, perché sospirò, carezzando piano col dorso della mano il mio braccio.
«So che ti turba il pensiero di vivere con un'altra persona che, per guadagnarsi da vivere, infrange la legge. Mi dispiace davvero tanto di non essere pulito come speravi, ma ti assicuro che non ho intenzione di coinvolgerti in alcun modo in tutto questo-»
«No, Louis, non si tratta di questo» mi sentii in dovere di specificare, scuotendo la testa e spostando alcuni boccoli biondi dietro le orecchie, impacciata, «è che...» bloccai per un secondo le mie parole, osservando i suoi occhi di ghiaccio scrutarmi attenti.
Mi morsi il labbro, sentendomi folgorata dalla potenza di quelle iridi puntate nelle mie.
«Non voglio che tu ti faccia male. Tutto qui» riuscii ad ammettere, iniziando a torturare il mio labbro inferiore.
Dopo un primo momento di stupore, quasi come se avessi detto qualcosa di stupido e insensato, il ragazzo ridacchiò intenerito.
«Non mi farò del male, o almeno, non più di quanto possa sopportare. Puoi stare tranquilla» mi sorrise, «in ogni caso, non preoccuparti: nonostante siano combattimenti fuori legge, ci sono pur sempre delle regole che i pugili sono tenuti a rispettare» annunciò di punto in bianco, facendomi aggrottare la fronte.
«Ad esempio?» domandai, visibilmente curiosa, portando una mano sul retro del mio collo in attesa della spiegazione di Louis.
«Abbiamo una regola che viene rispettata in qualunque combattimento, clandestino o meno, ovvero quella di non infliggere colpi scorretti; vale a dire a occhi o genitali. Inoltre, è vietato l'uso d'armi di ogni genere: sembra quasi scontato, è vero, eppure non sai quante volte qualche furbo si è presentato sul ring con coltellini, pezzi di vetro, o addirittura mazzi di chiavi».
Mi trattenni dal ridere nel momento in cui immaginai qualcuno utilizzare una chiave per ferire l'avversario, ma mi ricomposi subito.
Louis sembrò cogliere il mio divertimento, perché mi sorrise.
«Lo so, può sembrare strano, eppure non c'è niente a questo mondo, Ambs, che non possa essere utilizzato come arma, quando si viene messi alle strette. Questo ricordatelo» disse infine, serio. Poi, riprese nuovamente la parola.
«A ogni modo, non ho alcuna intenzione di lasciarti qui da sola. Dovrò essere lì tra un'ora, perciò ho tutto il tempo di chiedere ai ragazzi se potranno stare con te: non credo abbiano qualche impegno in particolare per stasera» annunciò infine, alzandosi dal letto. Lo feci anch'io, seguendolo.
«Louis... non credo di avere bisogno di un babysitter» tentai di dirgli, inducendo il ragazzo a voltarsi nuovamente verso di me.
«Preferisco che vada così, Ambs. Almeno per oggi» mi sorrise un ultimo sorriso rassicurante, prima di uscire definitivamente dalla camera.
Iniziai a fissare il vuoto, pensando a quello che sarebbe potuto succedergli quella sera: aveva detto che era molto bravo e che non c'era un incontro che non avesse vinto.
Eppure, l'apprensione nei suoi confronti era tanta.
L'idea di vederlo tornare a casa dopo un combattimento in pessime condizioni non mi allettava affatto, ma se quello era il suo stile di vita, purtroppo non potevo fare molto per cambiare le cose.
D'altronde, ero abituata a quel mondo ormai: la mia vita non sarebbe mai stata tutta rose e fiori, e ogni giorno me ne rendevo conto sempre di più.
Louis
Sospirai non appena misi piede fuori dalla nuova camera di Amber.
Quella ragazza mi aveva totalmente rapito sin dal primo giorno con la sua pelle pallida, il suo sguardo intenso e la fragilità di chi, nella vita, aveva ricevuto più schiaffi che carezze.
Più tempo passavo con lei, maggiore era l'odio provavo verso il fratello, che per tutti quegli anni non aveva fatto altro che farle del male: come poteva essere tanto spregevole da prendersela con lei?
Come poteva un uomo ferire la sua stessa famiglia?
Amber non meritava tutto quel dolore.
Lei era una ragazza dall'animo buono, che nulla aveva fatto di male se non sperare che qualcuno come Jacob Sullivan potesse cambiare.
Lui era feccia, mentre lei era una rosa senza spine. Dal giorno in cui l'avevo incontrata, avevo promesso a me stesso che non avrei più permesso a Jacob di farle alcun male. Mi sentivo in dovere di proteggere chi ancora poteva essere protetto.
In più, c'era stato quel bacio che le avevo rubato quello stesso pomeriggio.
Era stato così... puro.
Amber lo era.
«Amico, va tutto bene?» mi chiese Nolan d'un tratto, sventolandomi una mano davanti agli occhi, «perché se prima dici che devi chiedermi una cosa e poi cominci a fissarmi con sguardo posseduto, mi fai seriamente preoccupare per la tua salute mentale» concluse il biondo, risvegliandomi bruscamente dai miei pensieri.
Quasi avevo dimenticato di essermi diretto verso la sua stanza, la più piccola tra tutte: le pareti dipinte di un vivace giallo pastello saltavano subito all'occhio, mentre il letto a una piazza e mezza, posizionato al centro della camera, era l'unico arredamento presente, insieme a un imponente armadio che Nolan non aveva mai saputo tenere in ordine.
«Scusami, avevo la testa da un'altra parte. Hai da fare stasera?» gli domandai, ricomponendomi immediatamente.
«Sì, ho un appuntamento con Claire. Perché?»
Dannazione.
«Ho un combattimento stasera, e preferirei che qualcuno rimanesse con Amber» rivelai, e il biondo parve rimanere colpito.
«Oh, quindi... gliel'hai detto» affermò Nolan, incrociando le braccia al petto.
«Sì. Era giusto che sapesse la verità».
Il ragazzo annuì, spostando per un attimo lo sguardo da me, pensieroso.
«Mi dispiace, Lou, ma non posso proprio disdire. Claire mi piace davvero tanto... in verità, pensavo di chiederle di diventare la mia ragazza proprio questa sera» rivelò poi, scatenando in me un piccolo sorrisetto soddisfatto.
«Roba seria, eh?» canzonai, e il ragazzo scoppiò in una fragorosa risata, mostrando la sua dentatura lineare. L'apparecchio che per anni gli aveva causato così tanti problemi durante gli incontri di boxe, alla fine, aveva prodotto i suoi risultati. «A quanto pare!»
«Comunque, potresti sempre provare a chiedere a Lincoln» suggerì successivamente, dando un'alzata di spalle, e io annuii, pronto a congedarmi.
Gli tirai un pugnetto amichevole sulla spalla, felice che finalmente avesse trovato la persona giusta, lasciandolo poi ai suoi preparativi per dirigermi verso la camera di Lincoln, situata proprio di fronte a quella di Nolan.
Mi accorsi che la porta fosse aperta, ma decisi comunque di bussare.
«Ehi, Linc, posso entrare?» chiesi, facendo immediatamente voltare il castano in mia direzione.
«Ehi, amico. Certo, vieni pure» mi invitò, ed entrando notai che si trovasse seduto comodamente su un divanetto, lo sguardo fisso sulla tv a schermo piatto, intento a superare una missione di un videogioco.
«Linc, volevo chiederti se-»
«Aspetta un secondo, Louis, sto per vincere!» esclamò a gran voce, interrompendomi.
Sbuffai sonoramente, guardandomi intorno: le pareti color salmone della camera erano illuminate solamente dallo schermo del televisore, il piccolo divano su cui sedeva era posto al fianco del letto matrimoniale, mentre il resto della mobilia era piuttosto semplice.
Al contrario di Nolan, Lincoln odiava profondamente il disordine; infatti, ogni cosa era sistemata minuziosamente all'interno della sua stanza.
Dopo una serie di imprecazioni e di insulti poco carini verso l'avversario, il castano concluse finalmente la missione.
«Ce l'ho fatta!» urlò Linc a quel punto, sollevandosi di scatto dal divano.
Alzai gli occhi al cielo di fronte a una tale reazione infantile, poi scossi la testa, richiamandolo.
«Linc-»
«Vi ho sfondato il culo, idioti! Volevate fottermi, eh? So che volevate farlo!» mi ignorò completamente, rivolgendosi al televisore come fosse stato una persona.
Mi schiarii la voce, sperando con tutto me stesso di attirare la sua attenzione. «Linc».
Il ragazzo però non mi ascoltò, proseguendo con il suo monologo di vittoria.
«Lincoln...» continuai, cominciando a innervosirmi.
Era raro che il castano si comportasse in quel modo, ma quando accadeva, stentavo a credere che quello fosse lo stesso uomo capace di mettere al tappeto in una sola notte quattro avversari di fila.
Quando al mio richiamo non mi rivolse neppure uno sguardo, scoppiai.
«Lincoln Steve Wilson!» sbottai improvvisamente, sovrastando la voce del nominato che bloccò le sue azioni, voltandosi verso di me.
«Oh, scusami, Louis» Lincoln scoppiò a ridere, come se solo in quel momento avesse ricordato la mia presenza, «è da tutto il giorno che cerco di superare questa missione, capiscimi». Passò una mano tra i capelli per aggiustarne il ciuffo, osservandomi.
«A ogni modo, cos'è che volevi chiedermi?»
Emisi un lungo sospiro esasperato: era veramente tardi, dovevo arrivare puntuale all'incontro e non avevo assolutamente tempo da perdere.
«Ho un combattimento stasera, e non ho intenzione di lasciare Amber da sola. Potresti rimanere a casa con lei, solo per questa volta?» gli domandai speranzoso, ma non appena vidi l'espressione sul suo volto, capii di aver fatto ancora una volta un buco nell'acqua.
«Mi dispiace, Louis, sai che lo farei volentieri se potessi... ma alle dieci e mezza ho una corsa con Stephan: non posso assolutamente tirarmi indietro» ammise con sincera mortificazione.
«Prova a chiedere a Nolan, oppure ad Isaac, sicuramente uno di loro sarà disponibile» proseguì, abbozzando un sorriso.
Sbuffai leggermente scocciato, per poi annuire, avviandomi verso la porta.
Quando però la mia vista cadde distrattamente sull'orologio appeso alla parete, mi fermai immediatamente, girandomi verso il ragazzo.
«Linc, a che ora hai detto di avere quella corsa?»
«Alle dieci e mezza» rispose con disinvoltura, sdraiandosi in tutta comodità sul suo letto. «Perché?»
Osservare coi miei stessi occhi la sua inconsapevolezza mi fece sorridere sotto i baffi. Non ero un grande amante dei videogiochi, ma da quanto potevo vedere, era vero che immergendosi nelle storie che fornivano spesso si perdeva la cognizione del tempo. Dopotutto, era quello che era appena successo al mio amico.
«Beh, faresti meglio a sbrigarti, allora, siccome sono le dieci e venticinque» lo avvisai, divertito: la sua espressione mutò completamente, assumendo quella di qualcuno che aveva appena scoperto di essere nei guai fino al collo.
«Che cos'hai detto?» domandò con gli occhi strabuzzati, mettendosi a sedere e afferrando all'istante il suo telefono per controllare l'ora.
«Ho detto che faresti meglio a...»
«Merda, merda, merda!» esclamò di scatto, senza neppure darmi il tempo di finire la frase.
Scoppiai in una fragorosa risata, osservandolo alzarsi velocemente dal letto e strapparsi letteralmente la maglietta di dosso , non curandosi del fatto che fossi ancora in camera.
«Grazie, Louis. Addio, Louis!» quasi urlò quando prese ad abbottonarsi una camicia come meglio poteva, intimandomi di andarmene. Uscii dalla sua camera ancora ridacchiando, chiedendomi come si potesse essere tanto idioti: non appena misi piede sul primo gradino della scalinata per scendere al piano di sotto, però, mi ritrovai a sospirare rassegnato.
Avrei dovuto rivolgermi a quello scansafatiche di Isaac.
Nel momento in cui arrivai dinanzi alla sua camera, però, non ebbi neppure il tempo di bussare alla porta che questa si aprì, rivelando un Isaac insolitamente in abiti eleganti: giacca e cravatta, profumo inebriante e ricci ribelli domati da un gel che li teneva fermi all'indietro.
«Oh Louis, giusto in tempo!» il ragazzo sorrise a trentadue denti, i suoi occhi verdi parvero brillare quando mi vide: stranamente sembrava di buonumore.
«Dimmi, come mi trovi?» chiese poi, indicando la sua figura perfettamente curata.
Scrollai le spalle, «stai bene come sempre, Isaac» ammisi sbrigativo, volendo arrivare dritto al punto, «senti, volevo chiederti-»
«Quindi sono bello?» interruppe la mia richiesta, osservandomi come se si aspettasse una risposta affermativa da parte mia.
Aggrottai la fronte, guardandolo del tutto stranito.
«Isaac, ma che domande so-»
«Beh grazie, so di esserlo. Anche tu lo sei, Louis» mi bloccò nuovamente, sorridendo, «ovviamente non ai miei livelli, ma comunque te la cavi, dai».
Presi un lungo sospiro, visibilmente innervosito.
«Mi volete spiegare cosa diavolo avete tutti stasera?» domandai retoricamente, esasperato: il ragazzo assottigliò la vista, come se non stesse capendo a cosa mi riferivo.
«Posso parlare adesso?» sbottai spazientito, e il riccio, a quel punto, parve tornare alla sua solita apatia. «Dimmi».
Ora sì che lo riconoscevo. Non che mi dispiacesse sapere che il più giovane tra noi fosse felice; solo, in quel momento non avevo proprio tempo da perdere. Sperai che Isaac potesse capirlo.
Tuttavia, quando gli spiegai di cos'avessi bisogno, sul viso del ragazzo si dipinse un'espressione del tutto contrariata.
Poi, la sua risposta arrivò. Una risposta che mi lasciò con l'amaro in bocca.
«Mi dispiace, Louis, ma non posso. Sono stato invitato a una festa di lusso stasera e, scusami se te lo dico, amico, ma non ho alcuna intenzione di perdermi una magnifica notte di puro divertimento per badare a una ragazza che da sola in casa non riesce a stare» affermò, deciso: strinsi i denti e passai una mano tra i miei capelli, al limite della sopportazione.
«Non si tratta di questo, Isaac, lo sai bene. Non puoi rimandare a domani? Giuro che ricambierò il favore» gli chiesi quasi in un tono di supplica: in fondo, Isaac era la mia ultima speranza.
«Ah-ah» fece in senso di negazione, facendomi sollevare gli occhi al cielo dall'esasperazione, «hai già chiesto a Lincoln?»
«Sì, anche a Nolan. Tutti e due impegnati».
«Beh» esordì Isaac, increspando innocentemente le labbra, «in alternativa, potresti sempre provare a chiedere a Zade» propose, dandomi una pacca sulla spalla.
Corrugai la fronte, guardandolo perplesso: non potevo credere che pensasse che chiedere a Zade, potesse essere la soluzione ai miei problemi.
«Stai scherzando, vero? Praticamente Zade odia Amber! Vorresti veramente suggerirmi di lasciarla sola con lui?» scossi la testa, incredulo, «sei fuori di testa, Isaac».
«Perché no, Louis? Insomma, obiettivamente, cosa potrebbe mai succedere? Dubiti veramente così tanto di un tuo amico? Certo, proverà pure del risentimento verso suo fratello, ma se tu ci tieni a lei, puoi star certo che ignorerà la sua presenza, al posto di trattarla male» concluse il riccio guardandomi inespressivo, lasciando che riflettessi a lungo sulle sue parole.
In un certo senso, non aveva tutti i torti: Amber non era mai andata particolarmente a genio a Zade, questo ormai era chiaro, ma sapevo per certo che non sarebbe mai stato capace di fare del male a qualcuno, anche se si trattava della sorella del suo peggior nemico...
Lo conoscevo fin troppo bene.
«Forse hai ragione, Isaac. Non so quanto ne sarà contento, ma farò comunque un tentativo» affermai infine, stanco, dandogli le spalle.
«Stai facendo la cosa giusta» udii proferire nel momento in cui mi allontanai dalla sua stanza, pronto ad avviarmi verso quella di Zade.
«No».
«Zade, per favore... non posso lasciarla da sola».
«E perché mai? Ha diciannove anni, non ha certo bisogno di un baby-sitter». Il moro incrociò le braccia al petto, guardandomi torvo.
La stanza di Zade, a differenza di quella degli altri ragazzi, trasmetteva decisamente meno allegria: aveva deciso di dipingere le pareti di un grigio scuro perché, a detta sua, riflettevano perfettamente il suo umore.
«Sai benissimo che non si tratta di questo» ribattei, tentando di farlo ragionare.
«Decidi, Zade. Starai con lei, sì, o no?»
«No» obbiettò, ostinato. Non sembrava affatto intenzionato a cambiare idea.
«Ti prego!» esclamai: andava avanti in quel modo da più di cinque minuti, ormai.
«In fondo era nei tuoi piani rimanere a casa oggi, no?»
Il moro Mi osservò attentamente negli occhi, e capii che notò quanto fossi disperato: ormai mancava un quarto d'ora all'inizio del mio incontro; se non mi fossi sbrigato, avrei sicuramente fatto tardi.
Non potevo permettermelo.
Zade emise un sospiro piuttosto rumoroso e teatrale; poi, fortunatamente, parve arrendersi.
«Ah, e va bene. Ma dille che non mi si deve avvicinare nemmeno di un centimetro: non mi deve intralciare, o parlare, e nemmeno guardare».
Sospirai di sollievo, sentendo di essermi liberato di un peso che avevo portato sul petto da quando avevo scoperto che quella sera avrei avuto un incontro importante.
Amber sarebbe stata al sicuro con Zade.
«Grazie, Zay» gli sorrisi, tirandogli una pacca sulla spalla.
«Sappi che lo faccio solo per te» disse in tutta risposta, serio, e io annuii.
«Promettimi che sarai educato» ricambiai il suo sguardo serio, notando il corvino sollevare gli occhi al cielo, sbuffando.
«Non dovrò esserlo, dal momento che non ho intenzione di averci nulla a che fare».
il ragazzo mi diede le spalle, tuffandosi sul letto, imprecando quando l'ennesima molla di quella vecchia rete si ruppe all'impatto. Prima o poi, Zade avrebbe mandato a quel paese Lincoln e il suo desiderio di conservazione dell'usato.
Intuii che fosse arrivato il momento di dirlo ad Amber.
«Louis, io... non credo sia una buona idea».
Inutile dire che la ragazza dai boccoli biondi non l'avesse presa molto bene.
«Amber, non devi preoccuparti: sarà come se Zade non ci fosse, per te» provai a tranquillizzarla, ma sembrava fin troppo contraria alla cosa per riuscirci.
«Louis, lui mi odia! Tu... vuoi davvero lasciarmi sola con una persona che non può vedermi?» domandò in preda al panico, facendo nervosamente avanti e indietro per il soggiorno.
«Amber, ascoltami» esordii prendendola per il braccio, costringendola a fermarsi.
«Stai tranquilla, non succederà niente, okay? Non ti lascerei mai sola con una persona sapendo che questa potrebbe farti del male. Non devi preoccuparti, conosco Zade da una vita: la sua è tutta scena. Non devi temerlo» rivelai con estrema serietà. Amber parve non riuscire a sostenere il mio sguardo, perché abbassò il capo al suolo, titubante.
«So che è difficile per te, Ambs, ma... puoi provare a fidarti di me?» continuai, nella speranza di convincerla.
La ragazza risollevò il volto, scrutando attentamente i miei occhi. Poi, sospirò sconsolata.
«Sì...»
Sorrisi spontaneamente, carezzandole piano la guancia.
«Non preoccuparti: Zade farà il bravo» scherzai, riuscendo a strapparle un sorriso.
«Ora devo andare, ma tornerò presto. Te lo prometto». Le rivolsi un piccolo sorriso mentre indossai la mia giacca di pelle, e lei annuì.
«Okay... a presto, allora» disse, quasi in un sussurro.
«A presto». Decisi di lasciarle un tenero bacio sulla fronte, e la vidi chiudere gli occhi a quel contatto; poi, aprii la porta di casa.
«Louis?» mi chiamò Amber, facendomi voltare nuovamente verso di lei.
«Sì?»
«Stai attento» mormorò, abbassando lo sguardo. Intenerito dalla sua piccola figura preoccupata, pronunciai un «lo farò», poco prima di chiudere la porta alle mie spalle, respirando la fresca aria notturna.
La sua apprensione mi scaldava il cuore: ero però consapevole del fatto che, le condizioni in cui sarei tornato a casa, avrebbero potuto spaventare Amber a tal punto da allontanarla da me.
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