.5.
Le persone presenti in quel negozio avevano smesso di parlare, non si sentiva volare più una mosca da quando, con passo veloce, qualcuno vi si era precipitato all'interno.
La tentazione di uscire dal camerino per vedere con i miei occhi cosa stesse accadendo era alta: ma ero in reggiseno, e qualcosa mi diceva che non sarebbe stata una buona idea.
Dopo pochi secondi di silenzio, ognuno sembrò tornare alle proprie commissioni, e il dolce suono della musica tornò a essere sovrastato dalle conversazioni dei clienti.
In seguito ad attimi che parvero infiniti, proprio quando iniziai a pensare che non fosse successo nulla, una voce fin troppo vicina a me parlò. Sussultai, portandomi una mano alla bocca, riconoscendo all'istante quel tono così sprezzante e maligno.
«Parker» esordì la voce, provocando un forte tremore al mio corpo, «ci si rivede».
Non potevo vederlo, eppure, sapevo esattamente di chi si trattasse.
Era Jacob.
Che cosa diamine ci faceva in quel posto?
Ma soprattutto, perché era lì? Aveva forse scoperto ogni cosa?
No, non era possibile: come avrebbe potuto conoscere la mia posizione esatta? Forse, pur di scoprire cosa mi era successo, mio fratello si era rivolto ad Anne, e la bionda gli aveva comunicato che quella notte era stato Louis a portarmi via con sé...
Ma Jacob non era un indovino, e seppur conoscendo l'identità di Louis, non avrebbe mai potuto sapere dove ci trovassimo in quel preciso istante.
A meno che...
Nel panico più totale afferrai la mia borsetta, estraendone immediatamente il cellulare.
Presa da un momento di debolezza, durante il viaggio in macchina verso quel luogo avevo deciso di accenderlo, chiedendomi se durante quei giorni Jacob mi avesse cercata, ignara del fatto che, così facendo, avrei attivato il mio GPS.
Sì, Jacob mi aveva cercata... e adesso, grazie al mio irrimediabile errore, mi aveva anche trovata.
Se avesse scoperto che ero volontariamente scappata da lui, probabilmente non sarei uscita viva da quel negozio.
Dopo attimi che parvero infiniti, la voce di Louis interruppe bruscamente la mia tragica riflessione.
«Purtroppo, aggiungerei» rispose a Jacob, utilizzando lo stesso tono aspro del bruno.
Poggiai le mani sulle mie braccia, indietreggiando nello stretto camerino dalla luce fioca e spalancando gli occhi: era finita. Jacob mi aveva trovata, e una volta che si sarebbe accorto che ero proprio lì, probabilmente sarebbe stata la fine, per me.
«Arriviamo al dunque, Parker» pronunciò mio fratello in un tono che non ammetteva repliche, lo stesso che usava da sempre con me, «so che tu hai qualcosa che mi appartiene. Quindi, dov'è? Dov'è lei?» Udii alcuni passi pesanti avvicinarsi sempre di più alla piccola area che mi teneva nascosta, e io presi un tremante respiro, cercando di mantenere la calma nella speranza che Louis tenesse fede alla promessa fatta e che non rivelasse la verità.
Mi chiesi cosa Jacob avrebbe fatto di me se solo avesse scoperto che mi trovavo a pochi passi da lui, se solo, tirando la tendina di quello che era divenuto il mio nascondiglio improvvisato, mi avesse vista lì, pronta a nascondermi da lui.
Quell'unico pensiero mi diede i brividi.
«Cominci a delirare a quest'età, Sullivan? Non so di cosa tu stia parlando» fu la risposta di Louis, così calma e impassibile che persino io, se non fossi stata a conoscenza della verità, gli avrei creduto.
Nonostante la tremenda situazione, tirai un sospiro di sollievo: Louis non avrebbe parlato.
Seppure sapessi quanto Jacob potesse incutere timore, quel ragazzo dai capelli castani pareva non esserne affatto intimidito: stava tenendo fede alla sua promessa.
Mi stava proteggendo da mio fratello.
«Oh, ma tu lo sai eccome, Parker, è inutile che fingi: Anne mi ha detto che sei tu ad aver visto per l'ultima volta la persona che cerco».
Seguì un attimo di silenzio, e nonostante non potessi vedere nulla, riuscii a percepire la forte tensione tra i due.
Più i minuti passavano, più mantenere la calma diventava difficile in quello spazio ristretto e asfissiante: per quanto ancora Louis avrebbe potuto tenere testa a mio fratello? Quanto tempo avrebbe impiegato Jacob per capire che la risposta alle sue domande si trovava a pochissimi metri di distanza da sé?
Oramai faticavo a respirare regolarmente, il terrore che Jacob mi scoprisse era così forte da farmi pensare che, di lì a poco, avrei potuto avere un attacco di panico.
Quando mio fratello riprese nuovamente la parola, dovetti reggermi alla parete del camerino per non crollare sulle mie ginocchia dallo spavento. «Allora? Non parli? Dimmi dove diavolo la tieni nascosta, Parker, Ora!» urlò con quanta più forza possibile, e io strizzai gli occhi, indietreggiando di un passo, riportando inconsciamente alla mente ogni singolo momento in cui Jacob aveva rivolto quel tono così duro e pieno d'odio a me.
«Signori, siete pregati di non urlare!» la voce in lontananza di una commessa ammonì i due ragazzi, ma fu subito sovrastata da un nuovo e fragoroso suono emesso da Louis, che mi spiazzò totalmente.
Louis stava forse... ridendo?
«Non so proprio di cosa, tantomeno di chi tu stia parlando, Sullivan. La ragazza con cui sono stato quella sera se n'è andata per la sua strada subito dopo aver finito con lei» mentì, coprendomi, utilizzando un tono più pacato rispetto a quello brusco di Jacob, «ed Anne ti dirà sempre qualunque cosa tu voglia sentirti dire, finché continuerai a spaventarla» rivelò infine, e io mi portai una mano sul cuore, sentendolo battere così innaturalmente veloce.
I miei occhi parvero fuoriuscire dalle orbite quando sentii il ringhio furioso di Jacob, e dai rumori che udii poco dopo, intuii che mio fratello avesse afferrato Louis per il tessuto del suo giubbotto. «Tu... hai osato approfittare di lei?» gli chiese, iracondo, lasciandomi totalmente perplessa per quell'interrogativo.
Per quale motivo, dopo ciò che mi aveva costretta a fare, Jacob sembrava mostrare segnali di interesse? Come avrebbe potuto importargli di me e di ciò che mi era successo dopo che mi aveva abbandonata su quella strada?
Un secondo ringhio giunse al mio udito, e capii che quella volta si trattasse di Louis: tentennante, mi avvicinai al tessuto della tendina che teneva al sicuro la mia figura, portandomi subito una mano alla bocca quando intravidi ciò che stava accadendo lì fuori.
Come avevo previsto Jacob teneva Louis per la giacca del giubbotto, ma anche quest'ultimo aveva afferrato il cotone della maglietta del bruno, prendendo a fissarlo come se avesse potuto staccargli la testa da un momento all'altro.
Non avevo mai visto Louis in quel modo: sembrava così furente, così... violento.
«Se t'importa così tanto, perché non eri lì a fermarmi? Perché hai permesso a qualcuno di approfittarsi di lei?» lo interrogò con rabbia, e notai nelle iridi scure di Jacob un barlume di rimorso, quasi come se fosse pentito per ciò che aveva fatto.
Non riuscii a trattenere alcune lacrime che rigarono il mio viso: non aveva il diritto di assumere quell'espressione, lui non era la vittima.
Jacob non era altro che un mostro.
Era troppo tardi per nutrire ancora della speranza per lui, ormai.
Mio fratello rimase in silenzio, e dopo qualche istante Louis abbandonò la presa sulla sua maglia, costringendolo a fare lo stesso, e si allontananò da lui come se ne fosse disgustato.«Ti conviene sparire dalla mia vista, Sullivan, e fossi in te non mi farei più vedere: non so come tu abbia avuto il coraggio di presentarti in questo modo davanti a me. Se solo ti avesse visto Zade, probabilmente non avresti avuto la possibilità di uscire da questo negozio sulle tue stesse gambe». Le parole di Louis a quel punto si erano fatte più intensa, suonavano quasi come una minaccia.
Non potei fare a meno di domandarmi cosa c'entrasse Zade, il coinquilino di Louis, con mio fratello.
Iniziai a sentire un peso sul mio petto quando il silenzio tra i due tornò a regnare sovrano, e desiderai con tutta me stessa che Jacob, rimasto ormai senza alcuna prova per incriminare al castano, se ne sarebbe andato.
Naturalmente però non fu così, poiché in quello stesso istante, Jacob parlò.
«Per adesso, Parker, e sottolineo per adesso, lascio perdere, solamente perché non posso provare quello che penso. Sappi però che se scopro che c'entri qualcosa con la scomparsa di mia sorella, anche solo come complice, ti troverò, e ti farò desiderare di non averla mai incontrata. Se scopro che le hai fatto qualcosa, giuro che ti uccido con le mie stesse mani» minacciò a denti stretti.
Rimasi talmente sconvolta da quelle parole che mi pietrificai, trovando estremamente difficile continuare a riempire i miei polmoni d'aria.
Mi chiesi se mio fratello sarebbe stato veramente capace di compiere un gesto simile, ma forse, arrivati a quel punto, avrei dovuto chiedermi...
Jacob aveva mai ucciso in passato?
Un brivido freddo percorse la mia intera spina dorsale al solo pensiero, e non mi sentii più capace di rimanere in piedi, sedendomi piano su uno sgabello presente nel camerino.
«Ti aspetto, Sullivan» rispose Louis, duro, tenendogli testa.
«Bene» esclamò Jacob, tornando alla sua solita freddezza e sollevandosi in posizione eretta, «spera di non rivedermi mai più, Parker, perché potrebbe essere l'ultima cosa che farai». La cattiveria nelle ultime parole pronunciate da Jacob mi fece accapponare la pelle.
Poco dopo percepii i suoi passi allontanarsi sempre di più, finché non sentii la porta del negozio sbattere violentemente, facendomi sussultare, segno che se ne fosse andato.
«Che codardo» sentii sussurrare, prima che la tendina del camerino venisse aperta da un Louis visibilmente infastidito.
«Amber, tutto-»
Non appena il castano vide le condizioni in cui mi trovavo bloccò le parole, e la sua espressione mutò immediatamente in una d'apprensione.
«Dio Amber, no...» sussurrò inginocchiandosi dinanzi a me che, seduta ancora su un piccolo sgabello, avevo cominciato a dare sfogo a tutto il terrore che avevo tenuto dentro fino a quel momento.
Rimanere sola in quel minuscolo spazio nella speranza di non essere scoperta mi aveva fatta sentire talmente piccola, insignificante, così dannatamente fragile: quello era l'effetto che mi faceva Jacob; lui mi aveva resa una ragazza debole.
«Non è successo niente, lui se n'è andato, Amber». La voce di Louis sembrava così distante, mentre alcune calde lacrime avevano cominciato a sgorgare copiose dai miei occhi.
Le mie mani presero a tremare ininterrottamente, e la mia vista scioccata si posò su quel movimento involontario mentre tentavo invano di respirare regolarmente.
Vedendo che non reagivo alle sue parole, Louis prese il mio viso tra le sue grosse mani, stabilendo un contatto visivo tra le nostre iridi chiare.
«Devi cercare di calmarti, Amber, okay? Fai dei bei respiri profondi» mi consigliò il ragazzo nel tentativo di calmarmi, ma era diventato così difficile per me respirare in quel momento, che a fatica riuscii a eseguire ciò mi aveva chiesto di fare.
Dopo l'abbandono in comunità mi era spesso capitato di avere delle crisi di panico, eppure, non mi sarei mai potuta abituare a quel senso di oppressione che prendeva il possesso del mio corpo ogni qual volta ne avevo una.
«Per un attimo, ho pensato...» riuscii a balbettare a grande fatica, «ho- ho pensato che...» mi bloccai, incapace di formulare una frase di senso compiuto senza sentire il fiato mancarmi ancor di più.
Le dita di Louis furono subito sul mio volto, accarezzando la mia pelle sensibile. «Shh» soffiò dolcemente sul mio viso, provocandomi la pelle d'oca a quel contatto, «guardami» chiese poi, sollevando delicatamente il mio volto in modo da costringermi a incontrare il suo sguardo.
«Va tutto bene, non è successo niente. Lui se n'è andato ora, non può più farti del male». I suoi occhi di ghiaccio erano così apprensivi nei miei mentre mi sussurrava quelle parole, e le sue dita sfiorarono gentilmente la mia candida pelle, quasi come se avesse avuto paura di ferirmi.
«Ti ho promesso che ti avrei protetta da lui quella notte, ricordi? Ed è proprio quello che voglio fare, non devi temere».
Il suo tono di voce era così rassicurante mentre mi sussurrava di calmarmi e che non avrebbe permesso a Jacob di trovarmi che, piano piano, riuscii a ritrovare la pace di cui avevo bisogno, iniziando a regolarizzare il mio respiro.
«L-lui mi ha reso una persona diversa, Louis» mormorai, e la mia voce suonò così rotta, così tremolante, «io non sono così... non voglio essere così...»
Con il pollice, Louis asciugò alcune lacrime che continuavano a sgorgare veloci dai miei occhi, prima di parlare.
«Non lo vedrai mai più, Amber... farò in modo che non accada» promise, e io morsi il mio labbro inferiore, fissando intensamente il suo sguardo deciso.
«Non ho più intenzione di vederti versare neppure una lacrima per quel verme. Intesi?» mi domandò poco dopo il ragazzo, e io annuii, sperando vivamente che, da quel momento in poi, non ne avrei avuto più il bisogno.
Jacob era tutto ciò che rimaneva della mia famiglia, ma era anche l'unica persona capace di farmi tutto quel male. La sua presenza nella mia vita era tossica.
Solo in quel momento, dopo che le piccole gocce salate avevano smesso di abbandonare i miei occhi, mi resi conto di quanto Louis mi fosse pericolosamente vicino: i nostri nasi quasi si sfioravano, mentre le nostre iridi chiare parevano incastonate tra loro come gemme preziose, per nulla intenzionate a distogliere lo sguardo; il dolce tocco di Louis sul mio volto era riuscito a farmi tranquillizzare a tal punto da placare i miei singhiozzi.
Percepii il fiato caldo di Louis sul mio viso mentre le sue carezze continuavano, provocando mille brividi al mio corpo, e le mie labbra si dischiusero quando, per un solo istante, il giovane uomo prese a osservarle.
L'intensità e l'adrenalina di quel momento erano così forti che avrei potuto giurare che le nostre bocche si sarebbero di lì a poco unite in un bacio, se solo l'aprirsi della tenda del camerino non ce lo avesse impedito.
Louis si sollevò da terra a una velocità disumana, infilando le mani nelle tasche dei jeans quando Lincoln apparve alla nostra vista.
«Hey ragazzi, tutto a posto?» domandò Lincoln con disinvoltura, ma quando la sua visuale si spostò su di me, sbiancò.
«Amber, cos'è successo?» Il tono di voce di Nolan era preoccupato mentre osservava il mio viso distrutto, e io abbassai lo sguardo al suolo, non volendo ricordare tutto ciò per cui avevo avuto un attacco di panico.
«Ma dove diavolo siete stati finora?» Louis sembrava star rimproverando i ragazzi per non essere stati presenti nel momento del bisogno, incrociando le braccia al petto mentre li interrogava: in tutta risposta Nolan tossì, fingendo di schiarirsi la gola, e io sollevai curiosa la vista verso di loro proprio nell'istante in cui il biondo lanciò una gomitata all'amico castano, incitandolo a parlare.
«Ehm» esordì Lincoln, lievemente impacciato, «ravamo nel reparto, beh... delle lingerie...» Il ragazzo si grattò la nuca in evidente imbarazzo, e nonostante fossi ancora scossa per gli avvenimenti appena accaduti, mi scappò un flebile sorriso divertito.
Un sorriso che sparì subito dalle mie labbra quando mi resi conto, a proposito di lingerie, che stavo ancora indossando solamente un reggiseno di pizzo...
Davanti a tre uomini.
«Oh mio Dio» esclamai sgranando gli occhi: avrei potuto giurare di essere sbiancata in quel preciso istante, «per l'amor del cielo, uscite di qui!» urlai imbarazzata coprendomi con una mano, mentre con l'altra spinsi via Lincoln, scatenando le risate dei tre ragazzi.
«Okay, okay!» acconsentì Nolan, «però dopo ci spiegate cosa diamine vi è successo!» esclamò, sparenfo subito dopo oltre la tendina del camerino, seguito da Lincoln.
Dopo solamente due giorni passati con quei ragazzi, già quattro su cinque di loro mi avevano vista seminuda: tutto ciò non prometteva niente di buono.
«Quindi... lo prendiamo?» Louis spezzò il silenzio, ridacchiando, e io gli fui grata per il suo tentativo di smorzare l'atmosfera.
Sorrisi, rivolgendo lo sguardo al pavimento, per poi annuire.
Il ragazzo poggiò un dito sotto il mio mento, riportando il mio sguardo all'altezza del suo.
Perché quegli occhi parevano così capaci di farmi vacillare?
«Stai bene ora?» fu tutto ciò che mi domandò, con una nota di apprensione.
«S-sì...» sussurrai, «grazie, Louis» dissi infine, e un sorriso prese il possesso del suo volto.
Tutto ciò che fece in risposta fu afferrarmi per le spalle, avvicinarmi a sé e stringermi forte tra le sue braccia: dopo un primo momento di stupore, sorrisi, circondando timidamente la sua vita con le braccia e poggiando la testa sul suo petto.
Sapevo bene che non avrei certo dimenticato facilmente l'episodio di quel giorno, e neppure quello che c'era stato tra me e Louis poco prima.
Eppure, non pensai a nulla mentre le forti braccia di Louis mi strinsero a sé.
Mi chiedevo come quel ragazzo potesse profumare di casa, nonostante lo conoscessi da così poco.
«Passami il sale» richiese Zade, duro, rivolgendomi la parola solamente per darmi un ordine.
Era sera ormai: dopo l'incontro con Jacob eravamo tornati a casa e Louis, vedendomi ancora turbata, aveva deciso di guardare un film insieme per alleggerire un po' la situazione.
Avevamo trascorso l'intero pomeriggio tra pop corn, risate e momenti di silenzio passati a fissarci, come se avessimo voluto studiare ogni singolo particolare dei nostri visi.
Non avevo idea di cosa quei momenti potessero significare, eppure, anche solo guardare Louis negli occhi mi faceva sentire meglio.
In quel momento ci trovavamo tutti a tavola, tranne Isaac, che seduto sul bancone della cucina gustava il suo piatto d'insalata, lo sguardo fisso sul suo smartphone nero.
Guardai Zade per un solo secondo, trovandolo seduto di fronte a me a fissarmi in impaziente attesa, poi afferrai il sale e glielo porsi, rassegnata.
«Potresti essere più gentile» affermò Louis al mio fianco, rigidamente, mandando l'ennesima occhiata omicida all'amico.
«Non con chi mi sta in culo» rispose Zade poco educatamente e rivolgendo a Louis un sorriso falso, ricevendo a quel punto occhiatacce anche da parte degli altri.
Louis aveva raccontato a tutti quanto accaduto quel pomeriggio, e avevo notato Zade impietrire nel momento in cui aveva sentito il nome di mio fratello, a tal punto da afferrare Louis e portarlo fuori di casa per parlargli in privato, non prima di avermi rivolto uno sguardo pieno di disprezzo.
Nonostante non fossi a conoscenza di nulla, era evidente che Zade avesse avuto dei problemi con Jacob in passato, ma non capivo per quale motivo ce l'avesse così tanto con me.
Trovavo quella sua maleducazione nei miei confronti totalmente infondata.
«Va bene, cambiamo discorso» esordì Nolan, seduto al fianco di Zade, notando quanto l'atmosfera si fosse fatta pesante a quel punto, «Isaac, potevi venire con noi al centro commerciale, oggi. Avresti trovato delle camicie davvero carine, so che ne hai bisogno». Il biondo si rivolse all'amico riccio proprio nell'istante in cui quest'ultimo scese abilmente dal bancone, dirigendosi verso la poltrona.
Isaac rivolse uno sguardo spento a Nolan, come se avesse appena ricordato qualcosa che avrebbe preferito dimenticare.
«Non mi piace particolarmente quel posto... ci andavo spesso con Lucy».
«Chi è Lucy?»
La mia curiosità ebbe la meglio nel momento in cui gli porsi quella domanda.
Finalmente avevo sentito pronunciare il nome di una ragazza da uno di loro: probabilmente, era la sua fidanzata.
Il tono brusco di Zade, però, mi fece pentire all'istante di aver anche solo aperto bocca.
«I cazzi tuoi?» il moro mi rivolse uno sguardo freddo, e io presi un lungo respiro, mordendomi la lingua.
Stava seriamente esagerando, ma non volevo assolutamente scatenare una lite, perciò, preferii rimanere in silenzio.
«Piantala, Zade» intimò Louis, continuando a guardarlo storto.
«Lucy è la mia ex... Non ne parlo molto, solitamente» rispose Isaac abbozzando un piccolo sorriso amaro, senza però guardarmi.
«Oh» pronunciai, sentendomi immediatamente una tale stupida per aver posto quella domanda, «scusami....» guardai altrove e mi morsi l'interno della guancia, colpevole.
Non era certo mia intenzione scatenare in quel ragazzo dei brutti ricordi... ero davvero una frana.
In quel preciso istante Zade si alzò di scatto da tavola, facendo strisciare la sedia sul pavimento in modo da provocare un rumore assordante.
«Io vado a dormire» annunciò aspro, per poi dirigersi velocemente al piano superiore, non prima di avermi mandato un'ultima occhiataccia.
«Dio, è sempre così teatrale» lo prese in giro Nolan alzando gli occhi al cielo, facendomi sorridere.
«È meglio che vada a parlargli». Lincoln si alzò cautamente dalla sedia, e senza aggiungere una parola, si diresse verso le scale che portavano al piano di sopra.
«Già, e cerca di fargli cambiare atteggiamento, prima che sia costretto a farlo io con un bel pugno dritto in faccia». fu Louis a quel punto a parlare, e voltandomi verso di lui, notai che fosse nero dalla rabbia.
L'amico sospirò, dandoci poi le spalle per salire velocemente i gradini.
Mi sentii uno schifo.
Perché ovunque andassi riuscivo a causare solamente problemi?
Zade
Chiusi la porta della camera alle mie spalle e mi gettai di peso sul letto, infilandomi le mani tra i capelli.
La prima volta che avevo visto quella ragazza, avevo perso un battito: la somiglianza era troppa, e per un attimo mi era sembrato di ritrovarmi davanti lei, la donna della mia vita; il mio tutto.
Non era possibile.
Amber era così fottutamente identica a Camille.
Tutti quegli anni passati a cercare di dimenticare e di passare sopra al dolore erano stati mandati a farsi fottere da una mocciosa qualunque apparsa dal nulla.
Vederla tutti i giorni in casa mia, mi faceva così male...
Era come rivedere Camille.
E suo fratello, quel lurido verme che non era altro...
io non ero riuscito a proteggerla.
Non avevo potuto fare niente per lei.
Erano passati due anni, e ancora il pensiero mi tormentava ogni giorno, logorandomi dall'interno, risucchiandomi l'anima.
Mi portai le mani al viso, sentendo gli occhi pizzicare.
Quell'angelo mi mancava così tanto: un angelo a cui erano state spezzate le ali ingiustamente.
Non potevo permettere che la sorella di quel mostro vivesse in casa mia.
Un continuo bussare alla porta mi distrasse dai miei pensieri: sbuffai sonoramente, assicurandomi che la persona che mi stava disturbando sentisse; poi, anche se svogliatamente, andai ad aprire.
Sull'uscio della porta trovai Lincoln, che entrò in camera mia senza neppure disturbarsi di chiedere il permesso, chiudendosi poi la porta alle spalle.
«Dobbiamo parlare» annunciò, puntandomi il dito contro.
Alzai gli occhi al cielo, sapendo già cosa stesse per dirmi.
«Se è per quella ragazza, amico, perdici le speranze. Non la tratterò mai come tutti voi vorreste che facessi» affermai, deciso.
Il ragazzo sospirò, per poi fare un passo verso di me.
«Zade... perché non lo capisci? Lei non è come il fratello! È solo una delle sue molteplici vittime. Ha bisogno di aiuto... non merita questo trattamento che hai deciso di riservarle».
«Non me ne frega niente Linc, okay? Sai perfettamente cos'ha fatto, cosa mi ha fatto quel bastardo!» sputai quelle parole come se non vedessero l'ora di essere pronunciate, e a quel punto, Lincoln cambiò del tutto espressione.
«Lo so, Zay... lo so. Ma lei non c'entra nulla... probabilmente non ne è neppure a conoscenza» il castano si bloccò per un istante, passandosi una mano sul viso prima di riprendere parola.
«Per favore, almeno promettimi che ci penserai» chiese, guardandomi speranzoso.
Sospirai esasperato, riflettendo sulla sua richiesta per svariati minuti, fissando il suo volto.
Lincoln era uno dei miei migliori amici, e sapevo che quando mi chiedeva qualcosa in quel modo, era perché fosse profondamente convinto che non ci fosse altro di più giusto: non avrei mai potuto negare una richiesta simile, se fatta da lui.
Sbuffai rassegnato, per poi annuire.
«E va bene. Ma non cominciare a pensare che tutto cambierà con uno schiocco di dita, Linc... ti illuderesti soltanto» lo avvisai, e il mio amico annuì.
«Non mi aspetto che accada».
Dopo qualche secondo trascorso in silenzio, fui io a spezzarlo.
«Ora mi molli, per favore?» sbottai d'un tratto, utilizzando un tono rigido, ma allo stesso tempo scherzoso, «vorrei dormire» annunciai, prendendolo poi per le sue larghe spalle e trascinandolo fino alla porta.
«Pensaci» ripeté serio, e io alzai ancora una volta gli occhi al cielo, «ho detto che lo farò, ciao!" risposi scocciato, per poi chiudere la porta dopo averlo spinto fuori e dare un giro di chiavi.
Sospirai, buttandomi sul letto.
Era una sua vittima.
Aveva bisogno di aiuto.
Non si meritava questo.
Mi sdraiai a pancia in su, esausto, cominciando a fissare il soffitto bianco della mia stanza.
Per un attimo, rividi il suo viso...
Il viso della donna che più di chiunqe altro avevo amato: la mia Camille.
Anche lei era una sua vittima.
Anche lei aveva bisogno di aiuto.
Anche lei non si meritava questo.
Eppure, Jacob non aveva avuto pietà di lei: perché, dunque, io avrei dovuto avere pietà di Amber?
No, non avrei cambiato atteggiamento nei suoi confronti: la sorella della persona che mi aveva rovinato la vita non avrebbe vissuto la sua vita tranquilla in casa mia.
Mi scappò un sorriso maligno: avevo trovato la soluzione a quel dilemma.
Avrei continuato a farla sentire un peso per tutti noi...
Se non peggio.
Spazio autrice
Buongiorno a tutti/e!
Volevo soltanto dirvi che sono arrivata in classifica a #2 in azione, e ne sono troppo felice!💪🏻
Cosa ne pensate dei punti di vista differenti? Vi piacciono, o preferireste il punto di vista soltanto di Amber?
Fatemelo sapere🙈 spero vi piaccia, alla prossima!🖤
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