.43.
Passati tre giorni dalle rivelazioni di Jacob, nulla parve più come prima. Se qualcuno me l'avesse detto non ci avrei creduto, eppure, il rapporto tra me e Jacob sembrava pian piano migliorare sempre di più.
Sarebbe certamente servito del tempo per guarire le ferite, ma finalmente conoscevo la storia per intero, avevo capito che Jacob aveva un cuore e che teneva a me, ma l'abuso di quelle sostanze stupefacenti non gli permetteva di dimostrarmelo, né di agire come in realtà avrebbe voluto.
Decidemmo comunque di tenerci a debita distanza: io perché ancora incredula che tutta quella situazione fosse reale, lui per paura di fare qualcosa di sbagliato, che avrebbe portato ad allontanarmi nuovamente da lui.
In quei giorni mi raccontò particolari a cui ancora non aveva accennato; ad esempio come non fosse riuscito a sbarazzarsi ancora del tutto della dipendenza, che spesso aveva dei forti attacchi di panico e che passava da uno stato di pace interiore, a odiare profondamente sé stesso.
Mi confidò anche che il primo passo per allontanarsi dall'orrendo stile di vita che aveva intrapreso lo aveva compiuto, disintossicandosi dalla droga che assumeva, e quello successivo sarebbe stato trovarsi un lavoro onesto, abbandonando quello che conduceva.
Rivelò che non sarebbe riuscito a realizzare nulla di tutto questo, se solo non avesse avuto una presenza costante al suo fianco pronta a sostenerlo ogni qual volta crollasse.
Rimasi scioccata quando mi disse che si trattava proprio di Anne, la ragazza che con tanta amorevolezza e malinconica mi aveva accolta sulla strada, trattandomi con il dovuto rispetto e assicurandosi che non finissi con qualcuno di viscido e pericoloso.
«Ciao! Sei la ragazza nuova, vero? La sorella di Jacob!» chiese con entusiasmo, come se fosse statodavvero emozionante per lei avermi lì. «Io sono Anne, tu?»
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«Cosa vorresti dire con "non lo è"?» domandò, prendendosi un attimo per riflettere. Ad un certo punto parve capire qualcosa, perché i suoi occhi uscirono fuori dalle orbite. «Jacob, perché diavolo questa ragazza si trova qui, se non è quello che vuole?»
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«Eppure, vuole che io mi prenda cura di te. Dovrà pur significare qualcosa, non credi?» domandò Anne, mettendomi una mano sulla spalla.
Anne aveva sempre creduto in lui e, probabilmente, dopo la mia scomparsa doveva essere stata tutto ciò che Jacob aveva: una spalla su cui piangere, una mente lucida a cui rivolgersi, a cui confidarsi e da cui ricevere aiuto; una brava ragazza in cui trovare riparo.
Nonostante tutto, ero contenta che Jacob non fosse rimasto solo per tutto quel tempo, ed ero grata ad Anne per averlo guidato verso la strada più giusta: doveva amarlo davvero tanto, per aver creduto in lui nonostante tutto quello che aveva fatto.
E dal modo in cui lui me ne parlava, dal modo in cui gli brillavano gli occhi quando la nominava, sapevo per certo che Jacob non volesse altra donna al mondo al suo fianco, se non la bionda ossigenata dalla pelle pallida che lo aveva salvato dalla perdizione.
Ero sinceramente felice per loro.
Jacob mi chiese poi che cosa ci facessi tutta sola in quel quartiere, quando Victor mi aveva trovata. Gli risposi che avrei preferito non parlarne, ancora afflitta da ciò che era successo tra Louis e Zade prima che me ne andassi, e lui non fece più domande al riguardo.
Si scusò in ogni modo possibile per il trattamento che Victor mi aveva riservato: avevo inteso che come i ragazzi, anche mio fratello si fidava di lui, non si aspettava una cosa del genere.
Victor era stato bravo a giocare la carta dell'ipocrisia e falsità.
Jacob aveva medicato le mie ferite, promettendomi che se l'avesse rivisto, gliel'avrebbe fatta pagare cara per avermi fatto del male.
Dopo averci riflettuto a lungo, avevo deciso di non mettere in mezzo la questione di Camille: non ero ancora riuscita a realizzare cosa Victor avesse fatto, come avesse fatto a pezzi una vita umana senza alcun ripensamento, né pietà... come il suo gesto avesse ridotto Zade.
Lui meritava di saperlo; solo, avevo bisogno di tempo per elaborare tutte quelle informazioni ricevute in un colpo solo.
Mi mancavano i miei ragazzi, mi mancavano da morire: avevo deciso di spegnere il telefono, in modo da non poter ricevere alcuna chiamata da parte di nessuno di loro.
Odiavo con tutta me stessa ignorarli, ma era la cosa più giusta da fare: il tempo avrebbe guarito le ferite...
E un giorno, come promesso, sarei tornata da loro.
Sarei tornata da Louis.
«Ehi, Bibi, stasera verranno dei miei amici a cena». La voce di Jacob che entrò nella camera in cui mi aveva fatto sistemare mi fece sobbalzare: dovevo ancora abituarmici.
Jacob parve scosso dalla mia reazione, perché bloccò immediatamente i suoi passi sul ciglio della porta.
«Scusami, non volevo spaventarti...» disse, visibilmente dispiaciuto.
«Non preoccuparti, è tutto okay, ero solo... immersa nei miei pensieri» risposi, abbozzando un sorriso. Poi mi resi conto che Jacob aspettava che rispondessi a ciò di cui mi aveva informata.
Scrutai con attenzione i suoi occhi, notando un pizzico di preoccupazione. Forse, avevo già capito di cosa si trattasse.
«Li hai invitati per informarli che abbandonerai una volta per tutte l'illegalità, non è così?»
Mi sistemai meglio sul letto dalle coperte color magenta, fissando la figura alta e abbronzata di mio fratello in attesa di qualsiasi segnale da parte sua.
Dopo avermi fissato a lungo a sua volta, il ragazzo annuì.
«Sì. Ma non accadrà nulla di pericoloso, Amber, te lo assicuro. Non ti farei partecipare, se solo sapessi che potrebbero avere reazioni... violente. Sono persone tranquille» rivelò, ma l'allarmismo non sembrò avere intenzione di abbandonare i suoi occhi.
Era difficile, così difficile trovarmi in una stanza con mio fratello e non provare minimamente a scappare, a fuggire ancora una volta da lui; era così strano trovarmi seduta su quel letto, guardarlo dritto negli occhi e non tremare, terrorizzata da quello che di lì a poco avrebbe potuto dire o farmi.
Ma in quei giorni trascorsi sola con lui capii che, se avesse avuto secondi fini, mi avrebbe fatto del male già da tempo: non avrei mai potuto fidarmi al cento per cento di lui, ma ci stavo mettendo tutta me stessa per provare a dargli un briciolo di fiducia.
«Va bene» fu tutto quello che dissi, annuendo, «non c'è alcun problema».
Poco prima che uscisse dalla stanza, però, lo bloccai con le mie stesse parole.
«Comunque potrei- potrei aiutarti a cucinare qualcosa, se ti va» gli proposi, tentennante. Mi rilassai solo quando sul suo viso apparve un sorriso così spontaneo da farmi sciogliere il cuore.
«Mi piacerebbe molto» ammise, porgendomi una mano per invitarmi a seguirlo.
Quello era il mio Jacob.
Dopo aver passato la giornata a parlare con mio fratello mentre preparavamo la cena, alle otto arrivarono i suoi amici; o meglio, quelli che a fine serata sarebbero divenuti suoi ex colleghi di lavoro.
Si trattava di quattro ragazzi all'apparenza innocui, tre dei quali credevo di aver già visto prima, ma nessuno fece riferimento a tutto ciò che era successo tra me e Jacob, il che mi tranquillizzò.
In seguito alla mia scomparsa, mi aveva raccontato, aveva deciso di vendere la casa in cui vivevamo prima, ammettendo che ogni singolo angolo di ogni stanza lo riportasse a me e alla mia perdita, e aveva comprato una villetta poco fuori Londra, in una zona rurale piuttosto tranquilla e isolata, in modo tale da smaltire la dipendenza lontano da qualsiasi tipo di distrazione.
Spesso Anne veniva a fargli visita, colmando il vuoto che le sostanze stupefacenti lasciavano in lui.
Quella ragazza era davvero speciale.
«Venite pure di là, Amber ha apparecchiato la tavola per noi». Jacob mi riportò alla realtà, rivolgendomi un sorriso dolce, spontaneo, che mi fece sorridere di rimando e abbassare lo sguardo al pavimento.
Non credevo mi sarei mai abituata a quel suo lato tenero; ero ancora troppo scossa per tutto ciò che mi aveva fatto, e questo lui lo sapeva bene.
«Oh, Amber, come sei dolce! non ti ricordavo così».
Un ragazzo che ero sicura di aver già visto prima si avvicinò a me, per poi invadere il mio spazio vitale pizzicandomi la guancia con le dita, sorridendo.
Arrossii istintivamente, non sapendo come comportarmi con quel ragazzo che, di punto in bianco, si prese talmente tanta confidenza da toccarmi.
«Levale le mani di dosso, Andrew» esclamò Jacob, rimanendo fermo sul posto. Eppure, guardandolo, notai quanto la sua espressione si fosse indurita.
Nel sentire pronunciare quel nome, capii all'istante perché il volto di quel ragazzo mi fosse così familiare.
«Oh, ma ciao, tesoro» il ragazzo moro prese ad avvicinarsi nel momento in cui scesi l'ultimo scalino. «Jacob, non avevi accennato alla sua bellezza» disse quando giunse davanti a me, sollevando la mano e prendendo a carezzarmi una guancia con un sorriso stampato in volto. Prima che potessi dire qualunque cosa, disgustata dal tocco invadente di quella persona, Jacob afferrò la spalla del ragazzo e lo voltò bruscamente verso di sé. «Finiscila, Andrew» pronunciò duro, e il sorriso radioso del ragazzo finalmente sparì.
«Come vuoi tu, Jacob. Ma questo non cambierà di certo le cose» affermò l'amico in tutta risposta incrociando le braccia al petto. Sembrava in attesa di qualcosa.
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«No, Amber, tuo fratello non ha intenzione di venderti a chi offre di più. O almeno, non esattamente perché vedi, c'è un altro modo per fare soldi, e col corpo che ti ritrovi potresti farci guadagnare fior di quattrini» fu Andrew a parlare a quel punto, un ghigno malevolo impresso in volto.
Un brivido percorse la mia spina dorsale al ricordo del giorno in cui Jacob aveva deciso, insieme ai suoi amici, che la scelta più giusta per aumentare i profitti fosse fare in modo che mi prostituissi.
Se Jacob credeva che non mi sarei ricordata di quel ragazzo, si sbagliava di grosso. Ma forse, lui stesso aveva dimenticato la presenza di Andrew quel giorno a causa dell'abuso delle sostanze che assumeva.
In ogni caso, come sempre feci finta di niente: non volevo litigare con lui, e neppure ricordare il passato; desideravo semplicemente poter passare una serata tranquilla.
Il ragazzo di fronte a me indietreggiò di poco, per poi sorridere a mio fratello in maniera amichevole.
«Dio, Jacob, come sei fiscale!» scoppiò a ridere, seguito a ruota dagli altri ragazzi.
Cercai di farmi coraggio: non era successo niente di male, in fondo, probabilmente il ragazzo voleva solamente essere carino.
O forse no.
«Okay... che ne dite di andare ad assaggiare quello che io e Jacob abbiamo preparato?» domandai per smorzare l'atmosfera che si era creata, abbozzando un sorriso.
«Ottima idea, muoio di fame!» esclamò in risposta un ragazzo che avevo capito si chiamasse Nathan, ottenendo cenni di assenso da parte degli altri. Quindi, ci dirigemmo in cucina.
«Complimenti ragazzi, era tutto ottimo!» esclamò un biondino dagli occhi color nocciola il cui nome avevo scoperto fosse Edward.
In quelle due ore e mezza avevo avuto modo di conoscere quei ragazzi: sembravano tutti avere un passato travagliato da cui tentavano in ogni modo di scappare.
Quando uno di loro, Logan, aveva chiesto il permesso di fumare dell'erba in giardino, avevo visto Jacob trasalire prima di dargli il permesso.
Era facilmente percepibile quanto il parlare di qualsiasi droga lo rendesse vulnerabile, e dal momento in cui il ragazzo era uscito, aveva cominciato ad accendersi una sigaretta dopo l'altra.
Ancora non era riuscito a parlargli del vero motivo per cui li avesse invitati.
Mentre i tre ragazzi rimasti sul divano chiacchieravano tra di loro mi avvicinai a Jacob, intento a fissare il vuoto seduto in disparte su una poltrona in camoscio beige.
La nebbia che ormai si era formata nell'aria a causa delle sigarette accese di ogni presente mi fece tossire, gesto che attirò la curiosa attenzione di Jacob su di me.
«Jake...» iniziai, sedendomi sul bracciolo della poltrona, ponendo la giusta distanza tra noi. «Volevo solo dirti che, la droga ti avrà rovinato la vita, ma anche quelle non scherzano...» gli indicai la sigaretta che aveva in mano, storcendo le labbra in una smorfia quando altro fumo si insinuò nelle mie narici.
Al di là di ogni mia aspettativa, Jacob sorrise alle mie parole, e parve quasi volerlo mascherare quando si voltò dall'altra parte, per quanto spontaneamente le sue labbra carnose si fossero inclinate all'insù.
«Adesso ti preoccupi per me?»
Alla sua domanda azzardata presi a fissare il pavimento, leggermente in imbarazzo, giocando con l'orlo della canottiera nera che indossavo.
«Può... può darsi».
Il ragazzo si alzò dalla sedia, ancora sorridente, spegnendo la sigaretta fumata solo per metà nel posacenere posto sul tavolino in vetro.
Poi si voltò verso di me, prendendo ad avvicinarsi con cautela, e quando fu a poca distanza da me accarezzò piano il mio braccio, tenendo sotto controllo la mia reazione.
«Un passo alla volta, Bibi... un passo alla volta» bisbigliò. A quel punto, sorrisi timidamente anch'io.
Cogliere la sincerità nei suoi occhi mi faceva bene al cuore.
«Ti senti a disagio con loro?» domandò poco dopo, serio.
Probabilmente aveva capito che mi ero ricordata di quel ragazzo.
«Un po', ma non sembrano cattive persone» annuii, ed era vero: dopo la chiacchierata che avevamo fatto a tavola, avevo cambiato idea su di loro.
Mi chiedevo quale sarebbe stata la loro reazione, quando Jacob avrebbe confessato di non voler più avere a che fare con l'illegalità, lasciandoli senza un capo e, forse, nei guai.
«Perfetto, ne sono contento. Vado a mettere un po' a posto il casino che abbiamo lasciato in cucina; nel frattempo, cerco di elaborare il discorso che tra non molto dovrò fargli. È un problema per te?» mi avvisò, guardandomi comprensivo.
Deglutii al pensiero di dover rimanere sola con tre ragazzi che avevo appena conosciuto: non che non mi fidassi, ma con tutto quello che avevo passato, preferivo evitare.
«No, Jacob, assolutamente, tanto devo andare in bagno. Quando torno, ti aiuto» gli sorrisi, ottenendo da parte sua un cenno di assenso, per poi vederlo dirigersi verso la cucina.
«Ehi Amber, perché non vieni a farti una partita con noi?» mi domandò Andrew sorridente, mostrandomi la console per videogiochi.
Assolutamente no.
«Ehm... magari più tardi, grazie. Ora devo andare un attimo di sopra» gli rivolsi un sorriso gentile, per poi voltarmi e salire le scale velocemente, chiudendomi in bagno.
Tutta quella situazione era così strana.
Ma la cosa più strana era trovarmi in una casa di soli ragazzi, che però non erano i miei ragazzi.
Inspirai piano sedendomi sulla tavoletta del water, prendendomi la testa tra le mani.
Andava tutto bene.
Nessuno voleva farmi del male.
Dovevo solo abituarmi.
Mi alzai nuovamente in piedi, pronta a dirigermi verso lo specchio, quando un forte boato provenire dal piano di sotto mi fece sobbalzare, pietrificandomi totalmente.
Spazio Autrice
Bene, benissimo. Dunque.
Avete presente la quiete prima della tempesta?
Bene, eccola: vi consiglio di godervela, perché la prossima tempesta non sarà come una di quelle che abbiamo vissuto finora, no.
Sarà più violenta, più brutale.
Sarà quella decisiva.
(Qualcuno ha consigliato di togliermi il corsivo o continuerò a fare danni, aveva ragione😂)
La domanda è: siete pronte ad affrontarla?🌚👀
Sono convinta di sì, dai: in fondo se siete arrivati/e fino a qui vivi e vegeti, riuscirete ad arrivare fino alla fine uscendone incolumi🖤
Vi adoro davvero tanto, vi ringrazio per ogni singolo commento che lasciate, mi fa davvero un sacco piacere! Non smettete mai, mi raccomando🖤
Lasciate una stellina ⭐️ se il capitolo vi è piaciuto, alla prossima!
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