.39.
Colui che mi aveva presa in ostaggio fece scivolare quel suo falso tocco gentile lungo la mia spalla, muovendosi lentamente dietro di me, per poi afferrare un boccolo e cominciare a rigirarselo tra le dita, proprio nell'istante in cui avanzò in avanti, e fui capace di scorgere la sua figura slanciata.
Indossava un paio di anfibi neri e un jeans attillato dello stesso colore, come la maglietta che copriva il suo petto al di sotto di un giubbotto di pelle.
Un sorriso maligno prese possesso del suo volto dai lineamenti scolpiti, così magro da apparire quasi scavato: capelli corvini, occhi che parevano due abbaglianti fanali del colore del mare, piercing al lato del naso e al labbro inferiore.
Strabuzzai gli occhi alla vista di quel ragazzo, incredula e nel panico più totale, chiedendomi come potesse essere possibile: mi sarei aspettata chiunque, veramente di tutto, meno che quello.
Meno che lui.
"V-Victor?"
Rimasi a fissare la sua figura per istanti che parvero infiniti, allibita. Mi fece un occhiolino.
«In carne e ossa, piccola Ambs».
Il ragazzo sorrise maligno, posizionandosi esattamente dinanzi a me in quel garage dai muri in pietra.
Mi chiesi cosa diavolo stesse succedendo.
Nonostante non avesse dimostrato di essere la persona migliore del mondo, Victor era pur sempre stato ospitato dai ragazzi, i quali si fidavano ciecamente di lui, per una settimana intera...
Poi, dopo la notte dell'incontro di Louis, quella fatidica notte in cui tutto, in parte anche a causa di Victor, era andato per il peggio, era scomparso nel nulla, senza lasciare alcuna traccia.
Come poteva essere possibile che, per tutto quel tempo, avesse finto spudoratamente coi ragazzi?
Fu solo in quel momento che realizzai.
Realizzai ogni cosa.
«Ti starai chiedendo per quale motivo mi trovi qui, presumo» sorrise sornione, incrociando le braccia al petto magro. Trasalii al solo suono della sua voce, che quasi rimbombò tra le pareti di quell'area sotterranea.
«T-Tu...» pronunciai, ancora incredula, pronta ad affermare ad alta voce la raccapricciante realtà dei fatti, «non era niente vero. Hai finto di essere amico dei ragazzi, quando in realtà sei stato mandato per conto di Jacob. Non è così?» strinsi i pugni legati dietro la schiena, percependo le unghie penetrarmi nella carne.
Il ragazzo poggiò una mano sulla sedia alle mie spalle, avvicinandosi con una lentezza disarmante a me. Improvvisamente, desiderai di allontanarmi il più lontano possibile da quello spaventoso ragazzo dalle mille facce. «Wow, Amber, non ti facevo così intelligente» sussurrò al mio orecchio, provocandomi brividi di disgusto per la persona ipocrita e doppiogiochista che era.
Si ritrasse di poco da me, in modo tale da guardarmi negli occhi, e nei suoi scorsi tutta la malvagità che per tanto tempo aveva nascosto dietro un ghigno divertito e quasi amichevole. Mi diede il voltastomaco.
«Il tuo fratellone era veramente preoccupato per te, sai? Aveva paura che Parker avrebbe allungato troppo le mani, che si sarebbe approfittato di te, il che è piuttosto ironico se ci pensi, dato che è stato proprio grazie a Jacob, se Louis ti ha conosciuta» il ragazzo rise di gusto, come se avesse appena pronunciato una barzelletta davvero divertente. «Sai, quando ti ha buttata in mezzo a una strada, per far sì che ti prostituissi. Ricordi?» assottigliò le palpebre e inclinò la testa da un lato, ghignando. Non potei fare a meno di strizzare gli occhi alla memoria di quella sera, tentando invano di rimuoverla dalla mia mente.
«Il tuo fratellone era veramente preoccupato per te...»
Questo sì che era davvero divertente.
Quando ripresi parola, mantenendo il contatto visivo con quel ragazzo che tanto mi dava i brividi, tentai di non far vacillare la mia voce neppure per un istante, utilizzando un tono determinato, grave.
«Perché ci hai fatto questo? Che cosa diavolo ti hanno fatto di male i ragazzi? Pensavo... pensavo che foste amici» gli chiesi, fissandolo nelle sue iridi chiare. Non volevo che vedesse quanto le sue parole mi facessero soffrire, volevo mostrarmi forte.
Nel sentir pronunciare la parola amici, Victor fece un'espressione nauseata.
«Amici? Ma chi, loro?» rise un'altra volta, buttando la testa all'indietro in un rapido movimento prima di riportarla alla mia esatta altezza, «dico, ma li hai visti? Sono soltanto cinque sfigati che non sanno più chi incolpare per la vita mediocre che conducono. Alcuni di loro li ho conosciuti sul ring, altri in pista: saranno anche forti in quello che fanno, ma come persone... non sono niente, e niente valgono» pronunciò infine, fissandomi dall'alto con aria di superiorità.
Le sue parole mi fecero digrignare i denti, infuriare a tal punto da non riuscire a trattenere quello che gli dissi.
«E tu, Victor? Credi di valere più di loro, stando con un piede in due scarpe? Perché, mi duole ammetterlo, ma la verità è che non sei nient'altro che una persona profondamente disgustosa» lo provocai, meravigliandomi per avere avuto il coraggio di farlo.
Gli stavo tenendo testa, gli stavo dimostrando che non avevo paura di affrontarlo, e dovevo ammettere che la cosa mi faceva sentire davvero bene.
Smisi però di pensarlo quando un'espressione rabbiosa prese il possesso del ragazzo, che si spostò velocemente verso di me, portando entrambe le braccia ai lati della sedia e avvicinandosi del tutto a me, paralizzandomi sul posto.
Quella scintilla d'ira che brillò nei suoi occhi, però, fu presto sostituita da un sorriso beffardo. Fu proprio quello a raggelarmi il sangue nelle vene.
«Ah, cara, dolce Amber... tuo fratello era così preoccupato per te e per la tua incolumità, ma se solo avesse saputo...» prese una piccola pausa, mordendosi il labbro inferiore. «Se solo avesse saputo quanto ci davi dentro non con uno, ma con ben due ragazzi in quella casa, se non di più, non sarebbe stato poi così convinto della tua purezza» ghignò di gusto, tenendo ancora stretto tra i denti il proprio labbro.
«Oh, e a proposito: eravate così carini tu e Zade, la sera in cui Parker ha combattuto. Tutto quell'affiatamento, quella passione che aleggiava tra voi... mi chiedo da quanto stesse andando avanti».
Un lampo di comprensione percorse i miei occhi.
«Sei stato tu a volere che venissi anch'io...» rammentai a voce alta, scioccata da tutte quelle improvvise rivelazioni. Victor aveva convinto Louis a portarmi con sé all'incontro, ma solo in quel momento capii il vero motivo.
«Ho semplicemente pensato potesse essere...» prese una pausa, mordendosiil labbro inferiore, «divertente».
Per lui era tutto un gioco. Lo era sempre stato.
Il ragazzo davanti a me scoppiò in una fragorosa risata, senza mai smettere di guardarmi.
«Quanta verità viene a galla, non è così, Amber? Ma fai la brava bimba, non interrompermi. Stavo parlando» mi diede un buffetto sulla guancia e io mi ritrassi automaticamente, azione che lo fece nuovamente ridere.
«Vedi, quel giorno, mentre Zade ti raccontava in maniera molto drammatica e struggente del suo passato, c'è stata una cosa che mi ha fatto particolarmente ridere. Sai, lui crede che sia stato Jacob a uccidere Camille...» i suoi occhi, in quel momento, erano ricoperti da un velo di oscurità, così malvagi da poter penetrarmi nella carne, mentre il suo sorriso compiaciuto mi diede alla testa, «chissà che faccia farebbe se gli dicessi che, in realtà, il proprietario del proiettile che ha tolto la vita alla sua preziosa ragazza sono sempre stato io!» concluse, scoppiando in una fragorosa che faticò a giungere al mio udito, seppure mi fosse talmente vicino da poter percepire il suo respiro. Sentii la terra tremare da sotto i miei piedi, e mi si mozzò il respiro sul nascere.
Fissai un punto alle sue spalle impietrita, così sconvolta da non riuscire quasi più a ragionare.
Non potevo crederci.
Non riuscivo a crederci.
Era stato Victor a premere il grilletto, il giorno in cui Zade aveva perso la sua ragione di vita?
Era stato Victor a uccidere Camille?
Un brivido raggelante percorse la mia intera spina dorsale, mentre stentavo ancora a percepire cosa stesse accadendo intorno a me, troppo intontita e tremante per farlo.
Avevo passato giorni, settimane a credere che Jacob fosse un assassino senza scrupoli, un mostro capace di massacrare a sangue freddo, diamine, tutti in quella casa lo credevano, ignari di aver ospitato proprio il vero omicida.
Non c'erano parole capaci di esprimere ciò che stessi provando.
Dovevo forse sentirmi sollevata per aver appena scoperto che mio fratello, per quanto fosse un verme, non era anche un assassino?
Oppure avrei dovuto abbandonarmi totalmente al terrore che cominciò a pervadermi alla consapevolezza di trovarmi nella stessa stanza con una persona che invece lo era?
«T-tu... sei stato tu?» balbettai, tremante, riuscendo finalmente a sibilare qualche parola di senso compiuto, continuando a osservare il vuoto di fronte a me.
Il corvino alzò le spalle alla mia domanda, quasi come fosse una cosa da nulla. «In persona».
Non ebbi neppure la forza di trasalire a quella conferma. Deglutii, sentendo un macigno gravare sulla mia gola.
«M-ma... perché?»
Percepii le lacrime minacciare di uscire, ma strinsi i denti e le ricacciai.
Non avrei dato quella soddisfazione a un pazzo omicida.
Victor parve aspettarsi quella domanda, perché si distaccò di poco da me con un intollerabile sorriso puntato sul volto magro.
«Ovviamente per vendetta. Forse non lo sai, probabilmente nessuno te lo avrà mai accennato, ma io e Camille stavamo insieme da anni, prima di conoscere a una corsa Zade e la sua stupida gang del bosco» arricciò il naso adornato dal piercing argentato, come se lo disgustasse il solo ricordo, «quella troia ha cominciato da subito ad avvicinarsi a lui, naturalmente alle mie spalle. Ha osato tradirmi con quel pezzo di merda, credendo di essere furba e riuscire ad agire di nascosto, senza che io me ne accorgessi. Ma aveva dimenticato una cosa, piccola Ambs. Un minuscolo, insignificante dettaglio...» le sue iridi azzurre parvero di fuoco quando mosse nuovamente un passo verso di me, e io strinsi ancora più forte le unghie contro il palmo della mia mano. «Nessuno è più furbo di me».
Quelle sei parole furono capaci di provocarmi pelle d'oca lungo tutto il mio corpo, mentre stravolta cercai di assimilare tutte le informazioni che stavo ricevendo.
Purtroppo, non potevo dargli torto.
Il vero omicida era sempre stato sotto i nostri nasi, e nessuno era riuscito ad accorgersene in tempo.
Quando Victor riprese a parlare pregai con tutta me stessa che smettesse all'istante, che mi risparmiasse di sentire come aveva privato una giovane ragazza della propria vita senza indugiare neppure per un istante, perché sarebbe stato semplicemente troppo per me.
Ma naturalmente, le mie suppliche non vennero prese neppure in considerazione.
«Non ho fatto altro che cogliere l'occasione giusta, quando nessuno credeva che fossi presente... e ho semplicemente premuto il grilletto. Una traditrice in meno nella mia vita».
Lo disse con una naturalezza e disinvoltura sconcertante, e parvi realizzare solo a quel punto ciò che, fino a quel momento, avevo tentato di ignorare con tutta me stessa.
Victor era pazzo, un sociopatico.
Era completamente fuori di testa.
Ed era anche capace di qualunque cosa.
«È stato bellissimo vedere come tutta la colpa sia ricaduta su Jacob in un istante: d'altronde, era lui a puntarle una pistola contro. Tutto quello che Sullivan voleva realmente fare era spaventare Zade per un po', godere nel vederlo impotente, eppure, guarda com'è andata a finire» ridacchiò, poco prima di tornare serio in un modo che mi privò di tutto il fiato possedessi nei polmoni, guardandomi dall'alto. «Per questo non si deve mai giocare con il fuoco, Amber. Perché prima o poi, inevitabilmente... ci si scotta».
Terminata quella rivelazione non riuscii più a trattenere le lacrime, che presero a scorrere libere lungo il mio viso.
Per quanto un torto fatto o subito fosse grande e doloroso, nessuno meritava la morte.
Nessuno.
Avevo paura, ero terrorizzata dal dire qualunque cosa, ma non potei semplicemente starmene in silenzio pregando che non mi spettasse la stessa fine di Camille: Victor doveva sapere quanto non fosse neppure degno di essere chiamato essere umano per tutta la sofferenza
che aveva provocato a quella povera ragazza, morta così giovane, ma soprattutto a Zade.
«Mi fai così schifo» pronunciai tutto d'un fiato, «sei-sei una persona... spregevole.
Malvagia. Hai organizzato tutto nei minimi dettagli proprio come hai fatto con noi» dissi tra le lacrime, fissandolo con odio puro e repulsione impressa nelle pupille.
Victor avvicinò la mano al mio viso, prendendo ad asciugare alcune gocce salate che continuarono ad abbandonare i miei occhi, gesto da cui tentai di evadere in tutti i modi, senza però ottenere successo.
«Sai, Zade ha ragione: tu assomigli davvero molto a Camille» riprese parola, e ciò che più mi fece paralizzare fu il tono di voce tagliente che utilizzò poco dopo, «con la piccola differenza che, probabilmente, tu sei più troia di lei» si avvicinò al mio orecchio in una maniera così sporca, sbagliata, «ma anche più sexy».
A quelle parole, Victor abbassò la vista verso il mio petto prosperoso, coperto solamente da una canottiera nera. Raggelai a quell'affermazione, chiedendomi che intenzioni avesse.
«Io... io non sono una troia» trovai il coraggio di pronunciare quelle parole con determinazione, senza però riuscire a incrociare ancora una volta le sue iridi scaltre e malefiche.
«Vallo a dire alle povere anime in pena che hai fatto cadere ai tuoi piedi...» parlò, poco prima di posare la mano sul mio ginocchio coperto dal tessuto di jeans, facendola piano piano salire.
Strabuzzai gli occhi, dimenandomi immediatamente sotto quel tocco ripugnante.
«Sai... sono tanto curioso di sapere cosa trovino di tanto speciale, in te...» continuò a risalire con la mano lungo la mia coscia, guardando prima ciò che stava facendo, poi fissando lo sguardo nei miei occhi, rivolgendomi un ghigno divertito.
Dovevo fare qualcosa, e dovevo farla all'istante.
«Smettila... smettila! Non mi toccare!» gridai improvvisamente, in preda a una crisi isterica.
Non sapevo se qualcuno avrebbe potuto sentirmi, ma avrei fatto di tutto pur di non essere neppure sfiorata da quel viscido ragazzo chino verso di me.
Victor arricciò le labbra, aggrottando le sopracciglia alle mie urla disperate.
«Ah, fai la difficile, eh?» inumidì le proprie labbra, riflettendo per un attimo su qualcosa, prima di sorridere ancora una volta tra sé e sé.
Fu quel riso sornione che mi fece chiedere se sarei mai stata in grado di uscire da quel luogo... viva.
«Vediamo se con questo ti verrà in mente di gridare ancora...» e, pronunciate quelle parole, cacciò fuori dalla tasca del suo jeans un coltellino tascabile.
Spalancai gli occhi ormai colmi di lacrime, e il ragazzo sembrò trovare interessante e divertente la mia reazione.
Prese a carezzarmi la guancia con una mano mentre, con l'altra, cominciò a passare la lama del coltello sulla pelle del mio viso, facendomi strizzare gli occhi per la paura: pregai il cielo che non avesse intenzione di uccidermi lì, in quel momento, così.
Senza aver potuto salutare per un ultima volta i ragazzi.
Senza aver potuto dire addio a Louis.
D'un tratto, passò la lama tagliente dell'arma talmente forte sulla mia gota da poter percepire del sangue uscire dalla ferita: bruciò così tanto che tentai di urlare, ma la sua mano che si posizionò prontamente sulla mia bocca me lo impedì.
«Shh, Amber, non vorrai mica farti sentire...» pronunciò così vicino al mio viso che potei percepire il suo caldo fiato contro la mia pelle da lui lesa, per poi riprendere a sfiorarla con quell'oggetto tagliente ormai bagnato del mio sangue.
«Vediamo un po' che cos'abbiamo qui...» enunciò, per poi posizionare la lama al di sotto della sottile manica della canottiera e tagliarla in un semplice gesto: nel momento in cui cedette il mio petto coperto da un reggiseno venne esposto di poco, cosa che mi fece strabuzzare gli occhi, nel panico.
Lo sguardo di Victor si posò immediatamente sulla porzione di pelle scoperta, ispezionandola come ne andasse della sua vita, e io mi sentii improvvisamente senza forze, quasi come se stessi abbandonando ogni speranza di sopravvivere a quella lenta tortura.
«Interessante, Amber... ecco cosa tenevi nascosto sotto quelle felpe così larghe...» si morse il labbro tirato in un sorriso di pura perfidia, per poi passare la lama del coltello sul reggiseno. Boccheggiai, sentendo improvvisamente la mancanza d'aria.
Il ragazzo spostò la mano dalla mia bocca, notando quanto avessi bisogno di un quantitativo maggiore d'ossigeno, e finalmente riuscii a parlare.
«Basta, ti prego» bisbigliai, supplicando tra le lacrime.
L'Amber della notte prima, quella che aveva sparato alla gamba di un uomo senza alcuna esitazione per salvare una vita sembrava completamente svanita nel nulla, rimpiazzata da una arrendevole, implorante per la sua, di vita.
«Ma come "basta"? Non ho nemmeno cominciato...» mi rivolse un sorriso, uno di quelli maligni. Poi, fece qualcosa che mi colse spaventosamente alla provvista: premette la lama sulla poca pelle scoperta del mio petto, lasciando un taglio superficiale sulle clavicole, che però mi fece urlare dal dolore.
Ma il ragazzo non parve intenzionato a fermarsi, perché trascinò l'oggetto affilato sempre più giù verso il mio petto, ferendolo con una lentezza tale da farmi singhiozzare disperata.
«Basta, Victor, lasciami stare, ti prego!» gridai a perdifiato tra le lacrime.
Il ragazzo rise in maniera sadica, guardandomi come fosse stato un leone che aveva appena sottomesso la propria preda: on avevo idea di cos'avrebbe fatto di lì a poco, non sapevo quali crudeli e perverse torture avesse in serbo per me.
Immaginai però che non l'avrei mai saputo poiché, d'un tratto, qualcuno parve udire le mie preghiere. Una porta che sbatté violentemente contro al muro alle mie spalle bloccò ogni mossa del corvino, lasciandolo interdetto, e prima che potessi anche solo rendermene conto Victor venne preso con forza per la giacca di pelle che portava, allontanato da me e sbattuto contro il muro da una figura abbronzata, alta e imponente.
«Che cosa stai facendo? Chi ti ha dato il permesso di toccare mia sorella, uh?»
Avrei riconosciuto quella voce in ogni dove.
Tremante e sconvolta, sollevai lo sguardo verso la scena che si presentò davanti ai miei occhi: Jacob teneva Victor inchiodato al muro, volgendomi le spalle; potei percepire dal suo respiro affannoso quanto fosse iracondo in quel momento, mentre aspettava delle spiegazioni da parte del moro di fronte a lui.
Non sapevo quanto l'apparsa di Jacob potesse essere un vantaggio, per me: una cosa, però, era chiara.
Non sarei uscita viva da quel luogo.
«Jacob, che sorpresa! Finalmente hai deciso di farti vivo?» ironizzò per l'ennesima volta Victor, ignorando il fatto che Jacob, attraverso un solo pugno, avrebbe potuto stenderlo in quel preciso istante.
Fu proprio ciò che accadde: Jacob sferrò un forte pugno sulla mascella del ragazzo, che inclinò di colpo la testa di lato, rimanendo in piedi solamente grazie alla forte stretta di mio fratello sui suoi vestiti. Victor tossì pesantemente, sputando al suolo un rivolo di sangue colatogli dal labbro inferiore, ancora inclinato all'insù in un'espressione divertita.
Nonostante non potessi vederlo in viso, il tono di voce che Jacob utilizzò per rispondere al ragazzo rappresentò appieno l'espressione che doveva aver preso il suo possesso.
«Dio, Victor, mi fai schifo, sei ripugnante. Se non fossi in debito con te a quest'ora non avresti più quel sorriso sornione stampato in faccia, per quanto a sangue ti avrei pestato» pronunciò Jacob, duro, spingendo l'avversario ancora una volta contro il muro di pietra alle sue spalle.
«Ma sei in debito con me» sorrise Victor come se nulla fosse, fissando gli occhi scuri di Jacob senza alcun timore, «quindi immagino sia arrivato il momento di lasciarmi andare, JJ».
Lo odiavo.
Odiavo dal profondo del cuore quella sua espressione di continua vittoria che non voleva abbandonare la sua faccia.
«Sparisci dalla mia vista, Murphy, prima che cambi idea e ti lasci morto per terra. Sparisci!» urlò a denti stretti Jacob nel momento in cui Victor sorrise in mia direzione, spingendolo con brutalità verso l'uscita del garage. il ragazzo obbedì, uscendo disinvolto da quella stanza, non prima però di aver pronunciato un «ci si vede in giro, JJ» con tono beffeggiante.
Lacrime amare continuarono a scendere dai miei occhi per la violenza appena subita, e dal momento in cui ero rimasta sola con Jacob, sapevo che non avrebbe fatto altro che andare avanti.
Probabilmente mi avrebbe uccisa per ciò che avevo fatto, per essere scappata da lui.
Jacob si voltò verso di me, e una scintilla di rabbia parve brillare nei suoi occhi scuri quando osservò le condizioni in cui mi trovavo, scrutando prima il mio viso distrutto, poi il mio petto percorso da un flebile taglio: sapevo bene però che quella non fosse altro che semplice rabbia nei miei confronti per avergli disubbidito, per essere sparita svariati mesi.
«Stai bene?» mi chiese, avanzando piano verso di me.
E a quella domanda così stupida, così ironica e totalmente fuori luogo, se pronunciata dallo stesso ragazzo che aveva deciso di rovinarmi la vita solo qualche mese prima, reagii in un modo che sorprese persino me stessa.
Scoppiai in una fragorosa risata.
Risi perché mio fratello maggiore, quello che mi aveva mandata a prostituire per ottenere un maggiore profitto; quello che mi aveva urlato contro e aveva tentato di trascinarmi via dinanzi l'albero dove ci eravamo giurati eterna protezione, e che quasi mi aveva sparato lo stesso giorno; quello che non vedevo da mesi mi stava chiedendo, dopo che avevo subito l'ennesima tortura da parte dell'ennesima persona e mentre ero legata a una fottutissima sedia, se stessi bene.
Era divertente.
Forse, stavo cominciando a uscire fuori di testa anch'io.
«No, Jacob, non sto bene. Come potrei dopo quello che mi è appena stato fatto, dopo esser stata legata a una sedia ed esser rinchiusa in una stanza insieme a te, stare bene?» altre lacrime rigarono il mio viso, mentre fissai con risentimento l'alta figura di mio fratello, ora in piedi di fronte a me.
«So che vuoi punirmi per quello che ho fatto, per essere scappata da te; so che vuoi farmi del male, vendicarti per questo gesto che ho compiuto nei tuoi confronti. Però ti prego, qualunque cosa tu voglia farmi... falla in fretta».
Quello che mi aspettavo in quel momento da mio fratello era proprio ciò che avevo appena pronunciato: mi aspettavo di scorgere un ghigno malvagio sul suo volto, che mi avrebbe lasciato intendere quanto fossi completamente spacciata.
Ciò che non avrei mai immaginato, invece, fu proprio quello che Jacob disse negli istanti successivi.
«So di meritarmelo» cominciò, fissandomi intensamente negli occhi, «so perfettamente di essere io stesso la causa di tutto il rancore, l'odio e la paura che provi nei miei confronti, e probabilmente non ci crederesti mai, se ti dicessi che il solo pensiero che tu abbia dovuto scappare da me per la tua stessa incolumità mi logora l'anima. Ma credo sia arrivato il momento che tu sappia cos'è successo realmente, è arrivato il momento che tu conosca la verità sin dal principio, senza escludere alcun dettaglio... neppure quello più doloroso. L'unica cosa che ti chiedo di fare, è ascoltarmi».
Quella era la resa dei conti.
Spazio Autrice
Okay questo capitolo è bello lungo, e si scoprono così tante cose che non so nemmeno da dove incominciare. Anzi, lo so benissimo:
In quante di aspettavano che non solo Victor stesse dalla parte di Jacob, ma che in realtà fosse stato proprio lui a uccidere Camille?🙊
Immagino nessuna, spero di essere riuscita a sorprendervi🖤
Le cose sembrano mettersi sempre peggio, e ora abbiamo un Jacob apparentemente calmo, apparentemente, sembrerebbe non voler fare del male ad Amber.
Di quale verità parla? Cos'è che ha tenuto nascosto finora il nostro caro Villain?
Lo scopriremo molto presto🙊
Lasciate una stellina se il capitolo vi è piaciuto⭐️, alla prossima!❤️
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