.35.
Alle tre di notte tutto taceva: non vi era un singolo suono proveniente da alcuna stanza.
Dopo aver sistemato in uno zainetto nero alcuni vestiti, beni di prima necessità e soldi racimolati grazie ad alcune commissioni svolte, mi fermai un attimo a pensare a cosa stessi facendo.
Stavo realmente per abbandonare la casa in cui avevo vissuto i momenti migliori della mia vita?
E poi, per andare dove?
Non avevo niente, nessuno che mi aspettasse a braccia aperte.
Ma era la cosa più giusta da fare, se volevo che Zade e Louis non finissero per farsi male, molto male a causa mia.
Non me lo sarei mai perdonato.
Da quando avevo messo piede in quel luogo avevo causato solo disgrazie a quei cinque magnifici ragazzi, mettendoli in costante pericolo per colpa della mia situazione con Jacob e danneggiando irreversibilmente l'amicizia di due persone che, seppure in maniera totalmente differente, amavo.
Con loro ero cresciuta, ero maturata e sentivo di essere diventata più forte, meno accondiscende alle disgrazie che da sempre ero costretta a vivere: se per assicurarmi il loro bene ero costretta ad andare in contro a un futuro incerto e pericoloso, allora lo avrei fatto senza alcuna esitazione.
Fu grazie a quei pensieri che trovai il coraggio di alzarmi finalmente dal letto, buttarmi lo zaino in spalla e dirigermi verso la porta della stanza, un forte nodo alla gola e il corpo tremante.
Bloccai per un attimo i miei passi, però, fissando il cassetto in legno bianco di fianco al letto: decisi di aprirlo e, dopo aver spostato diversi quaderni, la vidi.
Una pistola.
Riportai alla mente il ricordo di Louis che la infilò lì, dicendomi che sarebbe stato solamente per precauzione, nel caso in cui ne avessi avuto bisogno.
Dormire con un oggetto capace di uccidere una persona di fianco mi aveva sempre inquietato molto, ma in quel momento, mi chiesi se non sarebbe stato meglio che la portassi con me...
D'altronde, una volta uscita da quella casa, avrei dovuto proteggermi da sola.
Scelsi di avvicinarmi al cassetto, pronta ad afferrarla: dopo averla rigirata tra le mie mani, osservandola attentamente, la infilai nel mio zaino, nascondendola sotto una felpa che avevo deciso di portare con me.
Mi sarei sentita molto più al sicuro se avessi avuto un'arma nel caso in cui mi fosse successo qualcosa, nel caso in cui lui mi avesse trovata.
Dopo l'incontro con Jacob al luna park non l'avevo più visto, e mi chiedevo se forse avesse semplicemente deciso di lasciarmi andare, stanco di cercarmi, di avermi tra i piedi.
Lo speravo vivamente con tutto il cuore.
Verso le quattro del pomeriggio Louis era venuto in camera mia, e io avevo finto di star dormendo: come avrei potuto affrontare il ragazzo che amavo, sapendo che da quella sera stessa non l'avrei più rivisto?
Probabilmente, se ci avessi anche solo parlato avrei cambiato idea in un istante, e non era ciò che volevo.
Ero intenzionata a sacrificare la mia sicurezza per il suo bene.
Si era seduto accanto a me sul letto, e aveva preso a carezzarmi il viso con una dolcezza tale che dovetti sforzarmi con tutta me stessa per non abbandonarmi totalmente a quel tocco.
«Vedrai, Amber... andrà meglio. Te lo prometto» erano state le parole che mi aveva sussurrato, per poi lasciarmi un piccolo bacio sulle labbra che avrei tanto voluto ricambiare con tutta me stessa, sapendo che sarebbe stato l'ultimo, e uscire dalla stanza.
Presi un respiro profondo e ricacciai le lacrime che minacciarono di uscire: avevo pianto fin troppo quel giorno.
Era arrivato il momento di reagire, di fare qualcosa per il bene dei ragazzi.
Avevo scritto un messaggio per Zade e i ragazzi, che avrei inviato quando ormai sarei stata troppo lontana per essere raggiunta, e una lettera per Louis: stando attenta a non farmi scoprire da nessuno ero sgattaiolata nella sua camera per nasconderla, mentre erano tutti impegnati in cucina a ripulire il disastro che i due avevano fatto.
Finalmente aprii la porta della stanza, tentando di fare il minor rumore possibile, uscendone in punta di piedi e, infine, richiudendola alle mie spalle: percorsi il corridoio tremante, pregando che nessuno si svegliasse proprio in quel momento, scoprendomi.
Sarebbe stato un disastro.
Tentennai per un istante quando arrivai davanti alla stanza di Louis: era socchiusa.
Decisi quindi di aprire di poco la porta, per bearmi per l'ultima volta della vista di Louis mentre dormiva spensierato. Ed eccolo lì, disteso su un fianco sul letto dalle lenzuola bianche a petto nudo, la bocca leggermente socchiusa e le lunghe ciglia ad accarezzargli il viso rilassato.
Era così bello da togliere il fiato.
Avevo riposto la sua lettera sotto al cuscino, in modo tale che non potesse accorgersene subito.
Mi morsi il labbro inferiore nel momento in cui richiusi la porta della stanza, salutando Louis nella mia mente con gli occhi lucidi: forse un giorno ci saremmo rivisti, anzi, sarebbe accaduto.
Non avrei mai potuto accettare l'idea di sparire per sempre, non dopo quello che era successo tra di noi, non dopo tutto l'amore che ci eravamo dimostrati quella notte.
Un giorno sarei tornata da te, Louis, ma quello non era il nostro momento.
Scesi piano le scale, dirigendomi verso la porta d'ingresso: quando la aprii si presentò davanti a me un paesaggio buio, e la freschezza della notte colpì in pieno la mia pelle pallida.
Richiusi la porta alle mie spalle e, semplicemente, me ne andai, lasciandomi alle spalle i momenti migliori della mia vita.
Passata un'ora da quando abbandonai definitivamente la casa camminai così tanto che, stanca, dovetti fermarmi, sedendomi sul marciapiede di una strada buia e deserta. Era assurdo notare quanto fosse sporca quella parte della città dove, solamente su quel lato della strada, vi erano cicche di sigarette, bottiglie di birra sparse ovunque e cartacce di vario genere.
Avevo perso la cognizione del tempo, e non avevo idea di dove mi trovassi.
Un brivido di freddo percorse il mio corpo: nonostante fosse una sera di inizio Settembre, si gelava.
Fortunatamente avevo deciso di indossare una felpa aperta sopra la canottiera nera e dei pantaloni di jeans, altrimenti sarei morta di freddo.
Il silenzio della notte dava un senso di pace impagabile: pur trovandomi in una delle vie principali, gli unici rumori che giunsero al mio udito erano quello del vento, che sembrò carezzare dolcemente il mio viso ogni qual volta soffiasse, e di qualche macchina che passava di rado.
Non potei far altro, in quel momento di tranquillità, se non interrogarmi su quale sarebbe stato il mio futuro...
Insomma, dove sarei andata senza una casa, senza delle persone care, senza... una famiglia?
Forse avrei potuto contattare qualche amica di vecchia data, sicuramente mi avrebbe fatto bene sentire qualcuno di diverso dai cinque ragazzi con cui avevo passato la maggior parte del tempo negli ultimi mesi.
La mia vita, con loro, era cambiata totalmente: in un certo senso mi avevano salvata...
Louis lo aveva fatto.
E io gliene sarei stata per sempre grata, fino al mio ultimo respiro.
A interrompere i miei pensieri fu un grido improvviso proveniente da una via secondaria, che mi spaventò talmente tanto da farmi sobbalzare sul posto e raggelare il sangue nelle vene.
Subito mi alzai in piedi, gli occhi sbarrati, e quella pace che poco prima stavo provando si tramutò presto in terrore quando sentii le parole della persona che aveva urlato.
«Smettila! Ti ho detto che se la vuoi, devi pagare!»
La voce di quella che sembrava una giovane ragazza si abbassò di qualche nota, ma risultò ancora preoccupata.
Solo in quel momento mi resi conto di quanto la persona che stava parlando fosse vicina a me.
Impaurita, mi guardai intorno: i pub erano tutti chiusi, non vi era anima viva, nessuno a cui chiedere aiuto.
«Non penso proprio, ragazzina. Decidi: o mi consegni ciò che mi spetta senza fare storie, oppure puoi farmi usare le cattive, ma ti assicuro che non ti piaceranno. Sappi però che, qualunque opzione tu scelga, otterrò comunque ciò che voglio. Spetta a te decidere».
A parlare quella volta fu un uomo, la cui voce risuonò terribilmente roca e malvagia mentre minacciò la ragazza.
Quelle parole mi fecero accapponare la pelle. Mi chiesi cosa diavolo stesse accadendo.
Nonostante ogni cellula del mio corpo mi dicesse che non avrei dovuto farlo, che avrei dovuto scappare il più lontano possibile da una situazione del genere, soprattutto in un frangente in cui la mia stessa vita avrebbe potuto essere messa in pericolo da un momento all'altro, decisi comunque di sporgermi, anche se di poco, oltre il muro per osservare ciò che stava accadendo nel vicolo alle mie spalle.
La mia vista colse un uomo avanzare verso una ragazza dai lunghi capelli castani, che piano piano indietreggiò, messa alle strette, e seppure sembrasse volere risultare determinata, era percepibile a perdita d'occhio il suo timore dinanzi allo sconosciuto che non aveva altro che cattive intenzioni con lei.
Sembrava in trappola.
Sembrava me, quando Jacob mi minacciava come l'uomo aveva appena fatto con lei.
«Ho-ho detto che... o paghi... o me ne vado». La ragazza dalla larga felpa viola e nera cercò di apparire sicura di sé, ma era troppo terrorizzata dalla figura dell'uomo di mezz'età che in quel momento la sovrastava per risultarlo realmente.
Lo sconosciuto fece un altro passo verso di lei, bloccandola definitivamente al muro.
Un'improvvisa scarica di adrenalina si impossessò del mio corpo.
Quella ragazza si trovava decisamente in pericolo, e in quel momento, l'unica persona che avrebbe potuto aiutarla ero proprio io.
Sapevo che sarei dovuta scappare il più lontano possibile da lì, sapevo che per me sarebbe potuta finire veramente male...
Eppure, quando estrassi velocemente la pistola dal mio zainetto nero e mi diressi verso di loro, accantonai nell'angolo più remoto del mio corpo l'Amber intimorita, ubbidiente e pacifica che tutti conoscevano: quella versione di me era stata spazzata via da un'Amber forte, coraggiosa, sicura di sé e vendicativa, pronta a rischiare di farsi del male, pur di ottenere giustizia.
«Ricordati allora, ragazzina, che l'hai voluto tu...» pronunciò l'uomo, e in un movimento così innaturalmente veloce strinse le grosse mani al collo alla ragazza, che spalancò gli occhi scuri dalla sorpresa e tentò in tutti i modi di rallentare la stretta che le stava togliendo il fiato.
Se non avessi agito all'istante, probabilmente l'avrebbe uccisa.
«Fermo!» gridai fuori di me quando lo raggiunsi: l'uomo si voltò, stupito dalla presenza di qualcun altro in quel vicolo, e rimase visibilmente sorpreso dalla mia figura.
La mia felpa rossa era scesa sulla mia spalla, lasciandola nuda, i boccoli biondi parevano più scuri a causa della fioca luce del lampione mentre, con due mani, tenevo la pistola puntata verso lo sconosciuto che stava per fare del male a quella ragazza.
«Ma cosa...»
«Allontanati da lei!» gli ordinai, non volendo sentire una parola di più da parte di quell'essere ripugnante e fissandolo decisa; eppure, l'uomo non diede cenno di volersi spostare: tutto ciò che fece fu emettere un ghigno divertito, prima di voltare il capo verso la sua tremolante vittima.
«Cos'è, la tua amichetta del cuore? Sullivan dovrebbe scegliere meglio le sue sgualdrinelle: avrebbe dovuto assumere qualcuno che sappia fare il suo lavoro».
Scoppiò in una fragorosa risata che echeggiò nella notte, e io sobbalzai al solo sentire pronunciare quel nome.
Sullivan...
Jacob.
Decisi di mantenere la calma nonostante tutto e di non entrare nel panico: il nostro era un cognome molto popolare, molto probabilmente non si riferiva a lui.
Inoltre, non potevo mostrare nemmeno un pizzico di vulnerabilità: sarebbe stata la fine per quella ragazza, e anche per me.
«Ti fa ridere che ti stia puntando una pistola contro?» presi il coraggio di domandargli, ferma sul posto, guardandolo con un'espressione fredda, inscalfibile.
L'uomo tornò con lo sguardo su di me, visibilmente divertito.
«Mi fa ridere, sì, perché basta guardarti in faccia per capire quanto tu sia innocua». Lasciò andare la ragazza, muovendo un passo verso di me, e io impulsivamente indietreggiai.
«Basta guardarti in faccia, per capire che non premeresti mai quel grilletto. Sei patetica» concluse l'uomo, sghignazzando, e io pensai che non avrebbe mai dovuto dirlo.
Non avrebbe mai dovuto dubitare di ciò che avrei potuto o non avrei potuto fare: non in quella sera, non in quel momento, semplicemente, non più.
Ero stanca di essere classificata come la povera, fragile Amber che doveva essere protetta da qualcuno, che non sarebbe mai riuscita a farlo da sé.
«Guardami farlo».
Furono le mie decise parole prima che puntassi la pistola alla sua gamba e, senza indugiare neppure per un istante, sparai.
Spazio Autrice
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, e che non sia risultato noioso per voi, dato che all'inizio è basato sulle riflessioni di Amber...
Alla fine, la nostra protagonista decide di andarsene: secondo voi ha preso la decisione giusta?
E cosa pensate succederà dopo il finale di questo capitolo? Personalmente sono orgogliosa della mia Amber, che finalmente ha tirato fuori tutto il coraggio necessario ad aiutare una sua coetanea in una situazione di pericolo, sottoponendosi lei stessa a qualcosa che sarebbe potuto finire male.
Sono fiera di lei🥺
Sono curiosa di scoprire cosa pensate accadrà dopo questo episodio🙊❤️
Non dimenticatevi di lasciarmi una stellina⭐️ se il capitolo vi è piaciuto, alla prossima!
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top