.22.
Zade
Non appena aprii la porta di casa, mi ritrovai davanti una persona che non mi sarei mai aspettato di vedere..
Rimasi immobile sul posto, osservando il ragazzo dinanzi a me con stupore: i capelli neri come la pece e perfettamente lisci gli ricadevano ai lati del viso sulla mascella squadrata, le sue mani erano infilate nelle tasche di una giacca di jeans scura.
I suoi occhi celesti visibilmente divertiti ricambiarono il mio sguardo solo per rivolgermi un sorriso sghembo. Non ci misi molto a riconoscere il volto pallido e il sorriso smagliante di Victor, un amico fidato con cui avevo perso i contatti da tempo, ormai.
«Oh... Victor! Che piacere rivederti!» affermai, stringendogli la mano e attirandolo a me per tirargli una pacca sulla spalla, che il corvino ricambiò con piacere. Nonostante fossi contento della sua presenza, non potei fare a meno di chiedermi cosa diamine ci facesse lì alle sei del mattino.
«Allora, che combini? Te ne vai proprio quando arrivo io? Guarda che non c'è bisogno che togli il disturbo: credo ci siano abbastanza camere per entrambi in questa casa!» esclamò dopo aver tirato un'occhiata al mio borsone, rivolgendomi un sorriso a trentadue denti e incastrando la lingua nel piercing ad anellino che portava al labbro, un vizio che aveva sempre avuto.
«Victor, ma che sorpresa!» Mi voltai giusto in tempo per osservare Louis scendere velocemente le scale e dirigersi verso di noi.
«Sei stato tu stesso a invitarmi, fratello! Lo hai già dimenticato?» sorrise il ragazzo dai capelli corvini, poggiando la mano sulla spalla dell'amico non appena ci raggiunse.
Guardai Louis con aria interrogativa: mi ero decisamente perso qualcosa.
Il castano rispose subito alla mia occhiata interrogatoria.
«Victor ha avuto dei problemi durante il trasloco, ed è rimasto momentaneamente fuori casa. Gli ho proposto di venire a stare da noi per un po', almeno fino a quando la situazione non si sarebbe stabilizzata... solo, non credevo sarebbe stato proprio oggi, alle sei del mattino... senza preavviso. Tutto qui» Louis gli sorrise in maniera forzata, infilando le mani nelle tasche del giubbotto che ancora non si era tolto di dosso.
Victor scrollò le spalle, «io credo invece sia il momento perfetto, soprattutto per invogliare Zade a non andarsene... no?» il largo sorriso del nuovo arrivato sembrava non voler abbandonare il suo volto neppure per un istante. Si girò verso di me, «a proposito: ti fai una bella vacanza e non inviti?» incrociò le braccia al petto, guardandomi con espressione ammonitrice, «o forse hai già una donna che ti aspetta dal lato del passeggero?» mi rivolse un'occhiata maliziosa che mi fece sorridere.
Era da giorni che non sorridevo.
Tuttavia, tornai serio quando gli risposi.
«In realtà sono solo, e purtroppo non ho intenzione di prendermi una vacanza. Ho semplicemente bisogno di un po' di tempo per me» rivelai, scrollando le spalle con finta indifferenza.
Sfortunatamente, però, Victor non sembrò voler mollare l'osso.
«Beh, quale tempo migliore può esserci di quello passato con gli amici?» spalancò le braccia in modo teatrale, e con la coda dell'occhio notai Louis sorridere e rivolgere lo sguardo verso di me.
Sguardo che non ricambiai: sapevo già quanto la sincerità nei suoi occhi avrebbe potuto trafiggermi, distruggermi, rompermi in mille pezzi.
«Avanti, Zade, non andartene proprio ora. Dobbiamo lavorare ad alcune cose insieme, ne avevamo parlato... ricordi? Non puoi abbandonarti a un viaggio spirituale proprio adesso che condivideremo le stesse quattro mura!» Victor mi tirò una piccola spinta giocosa, riportandomi alla realtà.
Sembrava davvero desiderare che rimanessi, ma io, ormai, ero fermo nella mia decisione: niente avrebbe potuto farmi cambiare idea.
«Mi dispiace, Vic, ma davvero, non posso trattenermi ancora per mol-»
«Si può sapere cosa sta succedendo qui?»
Una voce proveniente dalla scalinata che collegava i due piani della casa fece girare tutti in quella direzione. Osservai la figura assonnata di Nolan scendere le scale passandosi una mano sul viso, vestito di un solo pantaloncino giallo canarino piuttosto ambiguo.
Merda.
Il ragazzo ebbe la nostra stessa reazione nel momento in cui, dopo avere emesso un lungo e rumoroso sbadiglio che zittì ogni singolo presente, notò l'ospite.
«Victor! Che... che bello vederti qui!»
Il biondo dai capelli scompigliati scese velocemente la scalinata per accogliere l'amico in un caloroso abbraccio, un sorriso puntato in volto.
«Nolan, è un piacere anche per me vederti» esclamò il ragazzo, accogliendo con piacere l'affetto del biondo. Poi continuò, «perché non dici qualcosa anche tu a Zade? Sai... se ne sta andando».
Non credevo che sarei arrivato a provare così tanto odio nei confronti di una persona in un solo secondo, fino al momento in cui Victor non pronunciò quelle parole.
«Come sarebbe a dire se ne sta andando?» domandò il biondo, guardando prima me, poi il mio borsone abbandonato per terra.
Mi chiesi per quale diavolo di motivo fosse diventato così fottutamente difficile andarmene da lì.
«Nolan, è solo per un paio di settimane, niente di che...» gli dissi, cercando di cavarmela in qualche modo, ma l'espressione sul volto del biondo lasciò a intendere che non fosse d'accordo con me.
«Ma come, te ne vai di nuovo? Non puoi farlo, Zade, avevi detto che avremmo organizzato una corsa insieme, un giorno di questi. E poi-»
«Visto?» lo interruppe Victor, inclinando la testa da un lato, «non puoi andartene, Zade. Rimani qui. Potrai parlare con noi di ciò che ti affligge, se vorrai: in fondo, nessun altro sarà mai sincero con te, quanto i tuoi amici».
Presi un lungo respiro, esasperato. Mi ero letteralmente stancato di quella strana situazione.
Tutto ciò che volevo era solamente andarmene per un po', eppure, sembrava proprio che il destino volesse impedirmelo a tutti i costi.
«A quanto pare, non credo mi sia rimasta molta scelta» mi arresi, sbuffando.
In ogni caso, sapevo che non avrebbe avuto senso lottare ancora, non avrei semplicemente ottenuto nulla: Nolan aveva ragione, di lì a poco avremmo organizzato una corsa insieme, era stata una promessa che gli avevo fatto da tempo. Non avrei potuto tirarmi indietro... che amico sarei stato?
Inoltre, Victor sembrava tenere davvero molto a passare del tempo con me, dopo essersi impegnato così a lungo per trattenermi: in fondo eravamo buoni amici, un tempo.
Il ragazzo dai capelli neri mi sorrise, per poi stringermi la mano. «Così si fa, amico» mi disse prima di cominciare a conversare con gli altri, lasciandomi a rimuginare su quanto la scelta di rimanere avrebbe influito negativamente sul mio benessere fisico e mentale.
Louis
Allora, Louis, come te la stai passando ultimamente?»
«Assorto nei miei pensieri, a malapena udii la voce di Victor che, seduto di fronte a me in cucina, mi porse una banalissima domanda per fare conversazione.
Erano ormai passati svariati giorni dal suo arrivo, e tutti avevamo cercato di farlo sentire come a casa sua. Nonostante gli alti e i bassi, Victor era sempre stato un amico, per me... non avrei mai potuto negargli un aiuto nel momento del bisogno.
Prima d'ora, non c'era mai stato nessuno capace di trattenere Zade quando desiderava andarsene.
Nonostante avesse deciso di rimanere, però, il mio migliore amico non si era fatto vedere molto, passando la maggior parte del tempo fuori casa, tornando quando ormai era troppo tardi solamente per riposarsi, per poi uscire nuovamente.
Non avevo idea di cosa gli fosse successo, ma avevo deciso che presto avrei provato a parlargli.
«Tutto bene, fortunatamente. Solite cose» risposi distratto, rivolgendo lo sguardo verso la camera di Isaac, che si trovava subito di fianco al soggiorno.
Non era uscito molto dalla sua stanza dalla sera in cui, ubriaco, aveva litigato con Lincoln, e se lo aveva fatto, di sicuro si era accertato che nessuno se ne accorgesse.
In mattinata ero andato a controllare se fosse tutto a posto, trovandolo nel letto a russare beatamente con una bottiglia di vodka liscia vuota appoggiata sul comodino, ignaro del fatto che, una volta sveglio, avrebbe dovuto fare i conti con una bella emicrania.
Per quanto riguardava Lincoln invece, aveva cominciato a uscire presto di casa ogni giorno con delle scarpe da ginnastica e un borsone in mano, affermando che sarebbe andato in palestra per, a detta sua, «scaricare la tensione e non pensare a nient'altro che al work out».
Tuttavia, sapevo benissimo che stesse solamente cercando di rimandare il più possibile un confronto con Isaac, questa volta da sobrio: entrambi stavano ignorando il problema, il che non faceva affatto bene a nessuno dei due.
Speravo solo che potessero risolvere al più presto possibile.
Amber non era rimasta traumatizzata dalla reazione che avevo avuto quando l'avevo vista nelle mani di quello sconosciuto.
Nonostante fosse stata sopraffatta dall'alcol ricordava tutto, e la mattina dopo si era presentata alla porta della mia stanza in punta di piedi e si era timidamente infilata sotto le coperte, al mio fianco, ignara del fatto che mi era sempre bastato il più lieve spostamento d'aria per svegliarmi.
«Grazie» mi aveva sussurrato, «grazie per esserci sempre per me, grazie per non avermi mai abbandonata. Grazie, Louis... grazie di esistere».
Inutile dire quanto quelle parole mi avessero scaldato il cuore. L'avevo stretta forte a me, sussurrandole all'orecchio che un giorno le avevo fatto una promessa, e che era nelle mie intenzioni mantenerla finché lei ne avesse avuto il bisogno. Ne era rimasta piacevolmente sorpresa.
«Louis? Sei connesso?» mi domandò Victor a un certo punto, facendomi bruscamente risvegliare dai miei pensieri.
«Sì, scusami. Dicevi?»
«Dicevo semplicemente che credo in te più di quanto abbia mai fatto con chiunque altro, Louis, ma non so se riuscirai a battere l'uomo contro cui gareggerai domani sera...» confessò, e il suo sguardo si fece preoccupato, «è alto un metro e novantaquattro, è quasi il doppio di te ed è stato allenato per un'intera vita a combattere sul ring. Louis, Bruce Anderson è uno di quelli che non conosce sconfitta» concluse, serio. Annuii: sapevo bene a cosa andavo in contro.
Ma non avevo la benché minima intenzione di arrendermi o tirarmi indietro solo per questo.
«Fidati, Victor, ne sono consapevole. Ma non posso farmi lasciar scappare l'occasione... non dopo essermi allenato duramente per questo evento. Se sono arrivato fino a qui significa che sarò in grado di reggere il confronto, no?» gli sorrisi, ma non ci misi molto a tornare serio, «ci devo provare, capisci?»
«Io non posso crederci!» sentii improvvisamente pronunciare da qualcuno che prese a scendere le scale velocemente.
Aggrottai la fronte, e mi voltai giusto in tempo per osservare la figura di Amber fare capolino nel soggiorno, avvicinandosi a me finché non fummo l'uno davanti all'altro.
Sembrava furiosa.
«Amber...»
«Fermati, Louis. Ho sentito tutto! Hai seriamente intenzione di batterti con una persona del genere? Con una persona che è il doppio di te?» la sua espressione divenne subito angosciata alla sola idea, «ma per cosa poi, per soldi? Non... non credi di averne già abbastanza? Non penso di aver mai sentito un ragionamento talmente...»
«Ehi, ehi, fermi un attimo! Louis, non mi avevi mai detto che la tua sorellina fosse così cazzuta!» il discorso frenetico di Amber venne subito stroncato da Victor, che sorrise divertito in mia direzione.
«Non sono sua sorella!» - «Non è mia sorella!» affermammo io e Amber nello stesso istante, e questo non fece altro che condurre i nostri sguardi a incatenarsi l'uno all'altro, prima che Victor prendesse nuovamente la parola, attirando la nostra attenzione su di sé.
«Come non è... oh, ti prego, Louis. Non dirmi che questa è la tua...» rivolse lo sguardo su di lei per un secondo, squadrandola da capo a piedi, per poi voltarsi verso di me e sussurrarmi: «ragazza».
Trattenne a stento una risata, e con la coda dell'occhio osservai Amber cambiare del tutto espressione, arrossendo e abbassando lo sguardo verso il pavimento.
Quando Victor notò l'espressione dura che assunsi smise subito di ridere.
«Perché non vai di sopra a sistemare la tua roba, Victor? So che ancora non hai disfatto le valigie, e penso che, forse, sia arrivato il momento di farlo» pronunciai severo, rivolgendogli una lunga occhiata intimidatoria.
Il ragazzo mi fissò serio in volto per attimi che parvero interminabili.
Poi, d'un tratto, mi rivolse un nuovo sorriso a trentadue denti.
«Ma certo, hai proprio ragione. Vado a sistemare la mia camera».
Sorrise anche ad Amber, farfugliando un piacere di conoscerti, «non sono sua sorella!», e la ragazza si sforzò di ricambiare, rimanendo a osservare Victor fino al momento in cui non sparì nel buio corridoio del piano superiore.
Non mi importava di essere risultato troppo rude e austero agli occhi del nuovo arrivato, intimandogli di andarsene: non tolleravo chiunque osasse mancare di rispetto a qualcuno cui tenevo, specialmente se si trattava di Amber, e non avevo alcun problema a dimostrarlo.
Sospirai a lungo, e quando distolsi lo sguardo percepii quello di Amber insistente su di me. Mi voltai verso di lei, notando che portasse dei corti pantaloncini da notte e una stretta canottiera nera senza il reggiseno.
Osservai il suo candido viso privo di trucco e i suoi boccoli biondi, notando che in quei mesi fossero cresciuti notevolmente, e per un attimo, desiderai ardentemente di avvicinarmi a lei per passarvi le mani, trascinandola con me in un lungo e desideroso bacio...
Mi accorsi di starla osservando in silenzio da troppo tempo solamente quando me lo fece notare.
«Smettila di fissarmi, Louis, sono delusa da te» disse incrociando le braccia al petto, costringendomi a guardarla negli occhi.
Mi chiesi cosa diamine mi prendesse: non riuscivo a toglierle gli occhi di dosso nemmeno per un istante, desideravo tenerla al mio fianco in ogni momento della giornata.
Probabilmente era semplicemente perché, ormai, dopo aver capito che i miei sentimenti per lei fossero ricambiati, la sentivo... mia.
Non c'era nessuna sensazione, a parer mio, che avrebbe potuto eguagliare o superare la bellezza di sapere che la persona per cui cominci a provare qualcosa di forte sente lo stesso per te.
Ritornai subito alla realtà però quando mi accorsi di quanto mi aveva detto: lei aveva sentito tutto, e ciò significava che sapeva ci fosse la possibilità che avrei fallito durante l'incontro dell'indomani sera.
«Amber, tu non devi preoccuparti per me...»
«Invece sì!» mi bloccò quasi urlando, avvicinandosi a me e puntandomi un dito al petto.
«Louis, tu... tu non hai minimamente idea di cosa significhi aspettarti a casa quando so che stai andando a un incontro. Tu non sai quanta inquietudine mi pervade quando lo fai, perché se dovessi farti del male per davvero, io... io non lo sopporterei». La ragazza guardò altrove per un attimo, poi, puntò nuovamente gli occhi blu nei miei.
«Tu mi hai salvato la vita, Louis, non smetterò mai di ripetertelo, né di essertene grata. Per questo vorrei che mi permettessi di salvare la tua, o perlomeno di provarci... perciò ti prego, non andartene domani sera. Cosa te ne importa dei soldi? Rimani con me...» abbassò lo sguardo al suolo, triste.
Le parole di Amber mi toccarono profondamente.
Prima di allora non mi aveva mai detto nulla di simile, non mi aveva mai confessato cosa realmente provasse quando uscivo di casa per affrontare un incontro.
Mi spezzava il cuore vederla soffrire in quel modo, e avrei tanto voluto darle le rassicurazioni di cui aveva bisogno, avrei tanto voluto dirle che un modo per cambiare le cose esisteva e che io ero pronto a intraprenderlo...
Purtroppo, però, non sarebbe stata la verità.
«Amber, è il mio lavoro...» le dissi, e la mia voce risultò roca mentre mi avvicinai abbastanza da accarezzarle il viso, nel tentativo di calmarla.
Sembrava che i suoi occhi blu volessero leggermi l'anima.
«È qualcosa che va ben oltre il denaro, qualcosa a cui non posso dire semplicemente di no. Perché, come per qualunque lavoro, non posso svegliarmi al mattino e decidere di non presentarmi» le spiegai, fissandola attentamente. La sua espressione si fece ancor più malinconica.
«Quindi tu vorresti dirmi che, con tutti i lavori normali che esistono al mondo, non hai trovato altro se non... questo?» domandò con una nota di disprezzo verso ciò che facevo, guardandomi con un profondo cipiglio.
Sospirai a lungo prima di risponderle.
«Non l'ho scelto io, Ambs. Vedi... io ci sono nato, in questo ambiente».
Amber mi fissò per svariati secondi negli occhi, un'espressione improvvisamente interrogativa e curiosa prese del suo viso.
Solamente in quel momento mi resi conto di non averle mai parlato del mio passato, di non averle mai raccontato come tutto fosse iniziato: non avevo mai accennato alla mia famiglia, alla condizione in cui mi ero ritrovato a soli tredici anni, a come fossi entrato nel mondo delle corse e dei combattimenti...
Non le avevo mai rivelato in che modo avessi conosciuto Nolan, Lincoln e Isaac, e nemmeno come io e Zade, due poli opposti appartenenti a mondi diversi, fossimo diventati migliori amici.
Sì, era arrivato il momento di farlo: le avrei raccontato tutto, senza escludere neppure il più piccolo dettaglio.
Spazio autrice
Sì, sono viva! Vi chiedo scusa se sono un po' sparita da wattpad, ma questo capitolo è stato un parto: l'avrò revisionato tipo 50 volte, non mi soddisfava mai😂
Ammetto che si tratta di un capitolo di passaggio, ma credo sia comunque importante, perché è qui che incontriamo un nuovo personaggio: Victor!
No, non era Jacob alla porta, purtroppo o per fortuna🙊
Cosa ne pensate di Victor? Fatemelo sapere nei commenti, ci tengo particolarmente!🖤
Spero che questo capitolo sia di vostro gradimento, sappiate che il prossimo sarà decisamente moooolto più interessante.
Zade rimarrà. Come l'avete presa? Beh, che domande...😂🙈 Alla prossima🖤
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