.20.

I think we all deserve a bonus chapter, especially me, cause i really am in love with this story. Totally.


Non ero mai stata una grande fan dei veicoli a due ruote.

Non sapevo perché, eppure, fare un giro su quei veicoli mi faceva sentire costantemente in pericolo, come se fosse stato più facile andare in contro a un incidente in bici, piuttosto che a bordo di un'auto.

Figuriamoci in moto.

Eppure, quando Lincoln aveva proposto a Louis di utilizzarla proprio per andare alla corsa quella sera, avevo deciso di non parlargli del mio timore: in fondo sarebbe stata una nuova esperienza e, chissà, magari mi sarebbe piaciuta.

Proprio per questo motivo mi trovavo in piedi sull'uscio di casa, un casco un po' troppo grosso per me infilato sulla testa mentre Louis, coperto da uno spesso giubbotto nero di pelle e da un paio di jeans scuri, armeggiava col cinturino per assicurarsi che fosse perfettamente legato.

«Sei estremamente sicura di voler usare la moto, Ambs? Facciamo ancora in tempo a prendere la macchina» dichiarò il ragazzo, carezzandomi piano la spalla.

Annuii, nonostante non ne fossi convinta al cento per cento. Mi voltai quando sentii il rombo di un motore accendersi, vedendo Lincoln raggiungerci con la sua moto dipinta di un grigio scuro.

«Fate con calma, ragazzi. Io e Nolan facciamo strada» avvisò. Solo un secondo dopo fece la sua apparsa il biondo che, insieme a Claire, arrivò in un'auto sportiva decappottabile a due posti che aveva tutta l'aria di essere decisamente costosa: era colorata per metà di un giallo fluorescente e per metà di nero.

Era proprio nel suo stile.

«Come sei carina conciata così, Amber!» mi disse Claire, agitando le braccia in aria per salutarmi. Le sorrisi attraverso il casco che copriva gran parte del mio viso.

«Va bene ragazzi, si parte!» urlò Nolan, poco prima di accendere il motore dell'auto.

«Cerca di starmi dietro, Linc» affermò spavaldo rivolgendogli un occhiolino, partendo poi in sgommata e lasciandosi indietro l'amico, mentre la risata di Claire si fuse insieme al rumore delle ruote che stridettero contro il suolo.

Dopo aver rivolto qualche insulto verso l'amico Lincoln ci liquidò, partendo in quarta per raggiungere Nolan, che lo aveva sfidato.

«Non... non staremo al loro passo, vero?» un pizzico di preoccupazione prese il possesso del mio corpo nel momento in cui lo chiesi.

Louis sorrise, appoggiando il capo coperto dal casco al mio.

«No, Ambs, non staremo al loro passo. Prometto che andrò alla velocità che più ti permetterà di sentirti al sicuro. Ma solo perché è la prima volta, per te» mi fece un occhiolino e ridacchiò, prendendomi per mano. Non potei fare a meno di sorridergli.

Dopo essermi sentita rassicurata dalle parole di Louis, montammo entrambi in sella: in confronto ai veicoli dei suoi amici, la sua moto era dipinta di un rosso scuro, e dal rombo che emise quando la accese intesi che fosse molto potente.

Leggermente titubante poggiai le mani sul retro della moto, ma prontamente Louis me le afferrò e le strinse attorno al suo bacino, intimandomi di tenermi forte a lui.

Fu quello che feci quando partì: mi strinsi forte contro di lui, appoggiando la testa contro la sua schiena, aspettandomi che, non appena la moto avesse preso un minimo di rapidità, avrei cominciato a sentirmi male.

Ma non successe. Mi resi conto di aver chiuso gli occhi solamente quando li riaprii, ritrovandomi davanti un panorama che non mi sarei mai aspettata di vedere.

Le luci dei lampioni a bordo strada illuminavano perfettamente il percorso che stavamo compiendo, lasciandoci alle spalle la fitta boscaglia e l'immenso verde che ci circondava.

La fresca aria primaverile fece svolazzare i miei boccoli sciolti, che solleticarono le mie spalle nude, mentre il dolce profumo della notte si insinuò nei mie pensieri, facendomi quasi sentire libera.

Alzai lo sguardo verso il blu del cielo, notando che la luna fosse piena, quel giorno, e osservai da lontano il suo riflesso in un piccolo fiumiciattolo che ci lasciammo presto indietro.

Non avrei mai creduto che percepire la brezza sulla propria pelle e la velocità nelle ossa avrebbe potuto farmi sentire bene, che avrebbe potuto rendermi felice, fino a quel momento.

«Tutto bene?» domandò Louis dopo un po' quando ci bloccammo a un semaforo, fissandomi tramite lo specchietto retrovisore.

«Sì» annuii sorridente, poi mi morsi il labbro. «Potresti... potresti andare un po' più veloce?»

Il ragazzo rise di gusto alla mia richiesta, proprio quando la luce verde del semaforo illuminò il suo ipnotico volto.

«Questa è la mia Amber».

Detto ciò, il ragazzo partì a tutta velocità: istintivamente mi aggrappai a lui, preoccupata, stringendo ancor di più le braccia attorno al suo ventre muscoloso, ma poco dopo mi ritrovai a ridere a squarciagola senza un apparente senso compiuto.

Risi perché capii di essere sempre stata una stupida a negarmi alcune cose nella vita di cui avevo paura, ma che avevo scoperto essere entusiasmanti e dannatamente piacevoli.

Risi perché compresi quanto, quella sera, non fosse solamente il paesaggio circostante che mi stavo lasciando alle spalle.

Infine, risi perché era bello ridere, perché la vita non era fatta solo di lacrime amare, ma più di ogni altra cosa perché capii che tutto era un po' più bello, se vissuto al fianco di Louis.

Di tanto in tanto il castano mi lanciò qualche occhiata attraverso lo specchietto, sorridendo felice del mio entusiasmo. Da Londra a Ilford erano quaranta minuti di viaggio, ma noi ne impiegammo dieci in meno.

Ero fermamente convinta che non potesse esistere altro rumore più assordante e incessante di quello che emetteva la moto di Louis quando si spostava velocemente sull'asfalto, ma dovetti ricredermi quando arrivammo nel luogo prestabilito.

Si trattava di un'immensa landa abbandonata a se stessa, illuminata da alcuni lampioni e dai fari delle molteplici macchine da corsa che si trovavano in quel posto.

Non appena misi finalmente piede per terra e slacciai il casco, sfilandomelo, mi resi conto di come la maggior parte dei presenti stesse dando gas alla rispettiva vettura, con metà corpo fuori dall'autoveicolo e il piede premuto sull'acceleratore, per far comprendere a tutti quanto il proprio mezzo fosse potente.

Urla, schiamazzi, risate e rombi di motore si fondevano tra loro insieme alle note di una canzone proveniente dalla radio di un chioschetto, mentre l'odore di benzina mischiato a quello di terreno bruciato si fece sempre più intenso nell'aria.

Louis mi aveva spiegato che l'ambiente delle corse fosse decisamente più tranquillo, per quanto fosse possibile, di quello degli incontri: tutti facevano i propri interessi, ed era raro che quei raduni finissero in una sanguinosa rissa.

Il ragazzo abbandonò il casco sul manubrio della moto e sistemò i capelli arruffati con due mani, prima di voltarsi verso di me.

«Ti è piaciuto tanto, non è così?» sorrise e si avvicinò a me, poggiando il pollice sul dorso della mia mano e prendendo a carezzarlo delicatamente. Sollevai lo sguardo verso di lui per poterlo guardare negli occhi.

«Più di quanto credessi» ammisi, mentre qualcuno cominciò a gridare qualcosa che non riuscii a decifrare.

«Mi raccomando, stammi vicina».

«Ragazzi, siete qui!»

Mi voltai giusto in tempo per vedere Claire avanzare verso di noi, la camminata veloce nonostante portasse un paio di scarpe col tacco scure e decisamente alte: un morbido pantalone verde acqua le fasciava le gambe magre, mentre il top nero di pizzo senza spalline che indossava creava un perfetto contrasto con le sue treccine bionde.

Accanto a lei, Lincoln aveva lo sguardo rabbuiato e perso mentre teneva le mani nelle tasche dei pantaloni.

«Cuoricino, ti ho portato qualcosa da bere!» annunciò la ragazza, energica, porgendomi un lungo bicchiere di plastica che afferrai, notando che contenesse un liquido presumibilmente alcolico.

Una voce che annunciò l'inizio della corsa mi fece girare verso la strada: riconobbi subito l'auto decappottabile di Nolan e la sua testa bionda spuntarvi fuori per insultare i due uomini che gareggiavano contro di lui, prima che partissero a tutta velocità al «via».

Sorrisi e udii le esultazioni di Claire vedendo il proprio ragazzo in testa, portando alle labbra la cannuccia da cui bevvi la bevanda che mi aveva offerto. Sapeva di lime, l'alcol si percepiva a malapena.

Era buonissimo.

D'un tratto sentii un braccio posarsi sul mio fianco, e percepii la figura di Louis avvicinarsi al mio orecchio.

«Vacci piano con quella roba, Ambs» si raccomandò gentilmente e io acconsentii, poggiando il capo contro il suo petto, pronta a concentrarmi sulla corsa.

La pista era immensa e, da quanto avevo capito, i concorrenti avrebbero dovuto percorrere un quarto di miglio prima che proclamassero il vincitore.

Ero così intenta a osservare la corsa e a fare il tifo per Nolan che, senza neppure rendermene conto, in pochi minuti finii l'intero contenuto del bicchiere, rimanendo con un profondo desiderio di procurarmene un altro.

Mi staccai da Louis e decisi di avvicinarmi a Claire, notando che il ragazzo fosse impegnato in quella che aveva tutta l'aria di essere una conversazione seria con Lincoln.

«Che dici, andiamo a prenderne un altro?» le dissi, indicandole il bicchiere vuoto che avevo in mano, e la ragazza sorrise raggiante, annuendo.

«Louis, io e Amber andiamo un attimo al chioschetto. Torniamo subito!» lo avvisò prendendomi per mano, interrompendo la sua conversazione con Lincoln. Il ragazzo si girò a guardare prima lei, poi me.

Il suo sguardo rimase a lungo puntato nel mio, e percepii nei suoi occhi un pizzico di apprensione nel pensarmi lontana da lui in mezzo a quella marmaglia di gente.

Ma poco dopo annuì, rivolgendomi un piccolo sorriso incerto: in fondo ero in compagnia, e poi, non era poi così lontano il chioschetto.

Fu così che Claire mi trascinò verso il posto da cui proveniva la musica che suonava a tutto volume, e quel rumore assordante quasi mi diede alla testa nel momento in cui la ragazza ordinò altri due cocktail, che chiamò «Margarita».

«Non sai quanto sono felice che tu sia qui, Amber! Finalmente possiamo passare un po' di tempo insieme!» esclamò sincera la ragazza, porgendomi il nuovo drink.

Sorrisi e annuii alle sue parole, sentendomi leggermente intontita quando presi qualche sorso della nuova bevanda alcolica che stringevo in una mano.

D'un tratto, mi sentii come se ogni cosa intorno a me stesse andando a rilento: percepii le mie orecchie fischiare, stanche del boato dalle auto in movimento che ai miei occhi parevano a quel punto spostarsi molto meno rapide, e dalle voci dei presenti che esultavano.

Focalizzai tutta la mia attenzione sull'insegna del chioschetto, e mi ci vollero svariati secondi per leggere cosa ci fosse scritto, dato che la mia vista sembrava ormai offuscata. Quando spostai lo sguardo sul bicchiere di Margarita ormai vuoto, segno che l'avessi bevuto tutto d'un sorso, compresi di averci preso un po' troppo la mano per essere una che non aveva mai bevuto alcolici in vita sua.

«O-okay, Claire, che ne dici se torniamo da...»

«Claire?» sentii la voce di qualcuno chiamare il nome della mia amica, interrompendo le mie parole, e il mio voltarmi di scatto verso di lei mi diede un giramento di testa così forte che dovetti aggrapparmi al bancone del chiosco per non cadere a terra.

«Eve? Oh mio Dio, Eve. non ci posso credere!» esclamò Claire, un sorriso a trentadue denti dipinto in volto, prima di avvicinarsi alla ragazza e saltarle letteralmente addosso.

Ma come faceva a muoversi così disinvolta con quei tacchi?

«Come stai, tesoro? Che ci fai anche tu qui?» domandò la bionda a Eve, una ragazza dai capelli color arancio, visibilmente felice di averla incontrata.

Le due si immersero in una conversazione che riportò a galla tutte le imprese che le ex compagne di classe avevano affrontato, e io cominciai a sentirmi dannatamente di troppo, oltre che molto strana, a quel punto.

Il mio livello di sudorazione sembrava essere aumentato, nonostante l'aria fresca avesse lasciato alcuni brividi sulla mia pelle, e cominciai a percepire la mia mente perdere di lucidità.

Ma era davvero possibile, dopo soli due cocktail, sentirsi così?

Forse li avevo semplicemente bevuti troppo di corsa, e avevo bisogno di un attimo per tranquillizzarmi.

Decisi dunque di allontanarmi da quel posto che sembrava pronto a farmi esplodere testa, accorgendomi con orrore che fosse diventato estremamente difficile anche solo mettere un piede davanti all'altro e camminare diritta.

Calpestai la ghiaia con le platform che indossavo, traballante: non era mai stato complicato camminare su quella suola spessa, ma in quel momento, avevo come l'impressione che mi sarebbe bastato distrarmi un secondo per crollare rovinosamente al suolo.

Cercai di farmi spazio in mezzo a quella calca di persone allegre ed eccitate, decidendo di percorrere un sentiero più isolato per raggiungere Louis il più presto possibile.

Non avevo idea di cosa mi stesse succedendo, ma sentivo il bisogno di averlo al mio fianco.

Il faro di una macchina puntato sul mio viso quasi mi accecò, e dovetti strizzare gli occhi più e più volte per poter riprendere a vedere correttamente.

Cominciavo a sentirmi persa, sola, il chiasso di quel luogo aveva iniziato a martellarmi il cervello, e in quel momento, desideravo solamente andarmene.

Poi, lo vidi: scorsi la figura imponente coperta da un giubbotto di pelle di Louis, e subito mi avvicinai a lui, contenta di averlo trovato. Avevo solo bisogno di lui e della sua rassicurante presenza, solo tra le sue braccia mi sentivo al sicuro.

Eppure, quando appoggiai una mano sulla sua spalla e lentamente si voltò verso di me, rimasi completamente di sasso. Mi ritrovai davanti un ragazzo piuttosto alto e dai capelli castani, i suoi occhi erano talmente scuri da sembrare quasi neri.

Lui non era Louis.

Il ragazzo mi rivolse un sorriso, mostrandomi la sua dentatura perfetta, e colsi nel suo sguardo qualcosa che non mi piacque affatto.

Dovevo allontanarmi da lì.

«Mi dispiace, credevo fossi qualcun altro» ammisi e feci per andarmene, ma venni prontamente afferrata per il polso.

«Ehi, aspetta, non andartene così in fretta. Potrei essere chiunque tu voglia!» sussurrò il ragazzo, avvicinandosi a me e tenendomi ancora stretta per il polso. Prese un lungo tiro di qualcosa che non sembrava affatto una sigaretta, sputandone il fumo bianco sul mio viso.

Avevo già sentito quell'odore in precedenza.

Quella era erba, e il ragazzo dinanzi a me aveva tutta l'aria di essere uno squilibrato sotto l'effetto di qualcosa di ancora più forte.

«Q-quello che voglio è essere lasciata in pace, adesso». Tentai di risultare sicura di me, ma la mia voce mi tradì.

Il castano emise una leggera risata, e in seguito appoggiò una mano sul mio viso, fissandomi attentamente negli occhi.

«Hai ragione, questo posto sta diventando fin troppo caotico. Cerchiamone uno più tranquillo, allora!» esclamò, e il caos che avevo in testa non mi permise di accorgermi che lo sconosciuto  avesse cominciato a condurmi verso la sua vettura.

«Non... non voglio venire con te» sibilai, ma in quel momento non capivo più nulla: non mi ero resa conto di quanto mi fossi allontanata dall'ammasso di persone radunate intorno alla pista, non concepivo come avessi potuto avvicinarmi a quello sconosciuto, né come avessi potuto scambiarlo per Louis.

Tutto girava, e cominciavo a sentire le forze venir meno: mai, nella mia vita, mi ero sentita in quel modo.

Mi chiesi se fosse proprio questo ciò che Isaac aveva provato la sera prima, quand'era tornato a casa ubriaco: confusione, solitudine, tormento...
Incapacità di reagire al male.

«Ti porto a casa: vedrai, ti piacerà».

Prima che la mia mente in confusione potesse concepire l'orrore di quelle parole, tutto cessò alla stessa velocità con cui era iniziato. La stretta sul mio polso si sciolse così rapidamente da non darmi neppure il tempo di metabolizzarlo, mentre il ragazzo che voleva portarmi via venne improvvisamente scagliato lontano da me.

Con un pugno in pieno viso.

Ricevuto da Louis.

«Come hai osato anche solo sfiorarla?» La voce di Louis suonò furibonda nel momento in cui, avvicinandosi alla persona che aveva colpito, parlò.

Spalancai gli occhi e mi voltai verso di lui, osservando i suoi lineamenti sempre così gentili divenire duri e rabbiosi mentre fissava lo sconosciuto atterrato sul suolo. Le sue mani erano serrate in due pugni e, dalla posizione che il suo corpo teso aveva assunto, capii che fosse pronto a un nuovo attacco.

«Ehi amico, calmati, volevo solo... farle fare... un giro» fu capace di dire il ragazzo, visibilmente stordito dalla violenta e improvvisa reazione di Louis.

Le sue parole sembrarono mandarlo totalmente su di giri, perché Louis afferrò con veemenza il tessuto del giubbotto dello sconosciuto, costringendolo ad alzarsi da terra. Gli si rivolse con una calma spaventosa, quasi... maligna.

«Ah, sì? Volevi farle fare un giro?» rise di gusto, mentre dai suoi occhi partirono scintille di lava infuocata che sembrarono volersi riversare sul volto del malcapitato. Poi smise di ridere, e il suo volto assunse un'espressione così spaventosa che sussultai dalla paura. «E dimmi, pezzo di merda... ti sembrava che lei volesse venire con te?» urlò, le vene del suo collo sembrarono in procinto di scoppiare.

Un sonoro crack risuonò nell'aria quando le nocche di Louis colpirono il naso dell'avversario, segno di quanto quell'unico pugno lo avesse sfregiato, e il ragazzo emise un forte lamento prima di accasciarsi sulle ginocchia, tenendo una mano premuta con forza sul punto colpito.

Voltai per un secondo lo sguardo verso Louis, e capii che, in quel momento, la persona che mi ritrovavo davanti non era più quella dolce e premurosa che avevo imparato a conoscere.

Nei suoi occhi di ghiaccio lessi una profonda collera, mischiata alla sete di vendetta.

Era come se tutto si stesse svolgendo a rallentatore: con un calcio in petto Louis atterrò l'avversario, iniziando a percuoterlo con forti e sanguinolenti colpi, mentre Lincoln, che la mia vista affaticata non aveva percepito nei paraggi, si tuffò verso l'amico nel tentativo di bloccarlo. Nel frattempo, due uomini sulla trentina abbandonarono le proprie birre al suolo e si avvicinarono di corsa per soccorrere quello che avevano definito come loro «fratello».

«Non me ne frega un cazzo, Lincoln, io li uccido tutti e tre!» urlò Louis in faccia all'amico, in preda a una furia omicida.

«Ehi, bastardo! Vediamo se fai ancora il furbo con questo!» gridò uno dei due uomini apparso al fianco del fratello e, avvicinandosi pericolosamente a Louis, tirò fuori dalla tasca...

Un coltellino.
Aveva in mano un coltellino.

Spalancai gli occhi e mi volsi subito verso Louis, notando la scintilla di rabbia che aveva preso possesso dei suoi occhi farsi ancor più spazio sul suo viso.

Non capii come, fu tutto troppo veloce perché i miei occhi stanchi potessero concepirlo, ma in un balzo Louis gli fu addosso e, prima che l'uomo potesse anche solo pensare di agire contro di lui, il ragazzo lo disarmò, mettendolo al tappeto con un solo pugno su un punto preciso della mascella.

Louis sapeva come stendere una persona con un solo pugno.

«Mi basta molto meno di una fottuta arma per lasciarti morto per terra!» gridò chinandosi su di lui, colpendolo nuovamente in volto.

«Louis...» provai a dire per tentare di fermarlo, ma dalla mia bocca non uscì alcun suono: mi sentivo frastornata, prigioniera in un incubo.

Era reale quello che stava accadendo?

Tremai quando gli altri due sconosciuti si alzarono da terra: vedendoli, Louis sferrò un ultimo destro sul naso dell'uomo steso a terra, che batté forte la testa contro il suolo, per poi rialzarsi e camminare minaccioso verso di loro.

«Non sapete con chi cazzo avete a che fare, pezzi di merda. Fatevi sotto!» urlò fuori di sé, e fu proprio in quel momento che compresi quanto Louis potesse diventare pericoloso, se solo qualcuno avesse osato sfidarlo.

Alcune persone avevano rivolto l'attenzione su di noi, curiose, mentre a quel punto Lincoln bloccò Louis per le spalle prima che potesse fare ancora un passo in avanti.

«Basta Louis, dannazione, ritorna in te! Guardami negli occhi! vuoi davvero fare qualcosa di cui poi potresti pentirtene? Vuoi davvero che Amber veda tutto questo?» gli chiese, scuotendolo per le braccia. Udire il mio nome sembrò far scattare qualcosa in lui, perché spalancò gli occhi e si girò subito nella mia direzione, quasi come avesse dimenticato che io fossi stata lì per tutto quel tempo.

Ma i nostri occhi non poterono incontrarsi perché, in quel momento, la mia vista si annebbiò completamente: le mie gambe cedettero alla forza di gravità, battendo rovinosamente contro il terreno.

Provai a reggermi a un lampione, ma fu completamente inutile: tutto era così confuso, in quel momento, che neppure cercare un appiglio avrebbe potuto aiutarmi a non crollare nel buio più profondo dell'ignoto.

Louis aveva picchiato a sangue freddo due persone e ne aveva stesa una, senza alcun ripensamento.

Sapevo di cosa fosse capace, dato che era uno dei migliori nel suo lavoro.

Ma vederlo coi miei stessi occhi...

Era stato troppo da reggere, per la mia mente già in subbuglio.

L'attenzione di Louis fu subito rivolta su di me: non seppi come, ma in un istante mi fu vicino, e prima che la mia testa potesse picchiare contro il terreno mi ritrovai tra le sue braccia.

Le stesse braccia in cui, prima che quel terribile disastro accadesse, avevo bramato di sprofondare.

«Vi conviene sparire di qui, tossici di merda! E non fatevi rivedere mai più!» sentii la voce di Lincoln urlare queste parole, e mi resi conto che i tre sconosciuti, approfittandosi della distrazione di Louis, avevano cominciato ad allontanarsi, trascinandosi dietro il fratello sanguinante e, probabilmente, svenuto.

Gli occhi di ghiaccio di Louis ora preoccupati e le sue nocche insanguinate furono l'ultima cosa che vidi: percepii le sue caldi mani su di me, e mi chiesi come potesse il suo tocco essere così dolce, dopo ciò che aveva fatto.

«Mi dispiace che tu abbia visto tutto questo...» mormorò, avvolgendomi completamente nella sua stretta. Nonostante tutto, mi sentii a casa.

Non potei fare a meno di domandarmi come fosse possibile, dopo aver visto coi miei stessi occhi cosa Louis fosse capace di fare.

Forse, però, non c'era bisogno di alcuna spiegazione: forse, sapevo per certo che Louis non mi avrebbe mai fatto del male, o forse, si trattava semplicemente di Amore...

Ma probabilmente ero fin troppo ubriaca per pensare razionalmente.

Il ragazzo mi sollevò da terra, tenendomi in braccio stretta a sé, e io mi aggrappai al suo corpo come se fosse stato la mia ancora di salvezza, come se Louis fosse l'unica persona al mondo capace di farmi sentire al sicuro.

«Dio, se solo non ti avessi tenuta d'occhio per tutto questo tempo...»

Le sue ultime parole mi cullarono verso il buio più totale, ma non ne avevo più paura, ormai.
Perché sapevo che Louis fosse lì con me.

«Non preoccuparti, Amber: ci sono io, ora. Mi prendo io cura di te».

Spazio autrice

Eccoci qui... Beh, che ne pensate della sfuriata di Louis? Fatemelo sapere, mi raccomando!
Questo intero capitolo in realtà è stato scritto in base a quello che ho vissuto: praticamente, di inventato c'è solo l'azzuffata finale, per il resto ho vissuto quasi tutto🙈 (Mama, i'm a criminal...)
Le sensazioni di Amber in questo capitolo sono state un po' le mie, e prima che qualcuno dica che è impossibile ubriacarsi con così poco, NON LO È, LO GIURO! Ne sono la prova vivente😂
Sì, questo capitolo non esisteva prima, l'ho scritto così di getto perché mi piaceva l'idea, perciò fatemi sapere cosa ne pensate!
Alla prossima❤️
Ps: il prossimo capitolo sarà interamente col pov di Zade, visto che non lo vediamo da un po' ormai...🙊

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