.16. .Part Two.
«Ti consiglio di lasciar andare la ragazza e di allontanarti subito da lei, Sullivan, se intendi uscire di qui tutto intero».
La stretta di Jacob sul mio braccio si sciolse in un attimo, come se chi aveva parlato avesse avuto il potere di scrollarmi la sua presa di dosso con le sole parole.
O forse anche con i fatti.
Totalmente sconvolta e attonita asciugai i miei occhi appannati dalle lacrime per riuscire a vedere ciò che stesse accadendo, sgranandoli non appena me ne resi conto.
Mio fratello era steso al suolo, colto alla sprovvista...
Mentre a cavalcioni sul suo corpo vi era Zade che, rabbioso, aveva cominciato a riempire Jacob di pugni in pieno viso.
Mi mancò il fiato a quella vista, e dovetti reggermi a una panchina per non cadere a terra.
«Lurido bastardo, non hai mai saputo prendertela con qualcuno che possa spaccarti la faccia di merda che ti ritrovi!» La furia e la violenza con cui Zade pronunciò quelle parole furono tali da farmi rabbrividire, mentre i suoi pugni chiusi continuarono a colpire con brutalità il ragazzo steso sulla ghiaia.
Le nocche delle sue mani erano ormai sporche del sangue di mio fratello che, troppo sconvolto e rallentato dall'alcol per reagire, non era ancora riuscito a contrattaccare.
Ma d'un tratto qualcosa mutò in Jacob, perché notai gli angoli della sua bocca sollevarsi in un sorriso amaro, come se solamente in quel momento, gonfio di botte e inerme sul suolo, avesse riconosciuto Zade, e si fosse reso conto di cosa stava accadendo.
«Peterson» esclamò d'un tratto, e Zade ringhiò, «chi non muore si rivede!» Accadde così velocemente che faticai a realizzarlo: Jacob parò l'ennesimo pugno del ragazzo diretto verso il suo zigomo e, con un'abile mossa, ribaltò la situazione.
Mio fratello riuscì a bloccare le braccia dell'avversario al suolo con le ginocchia, prima di sferrargli un sinistro sulla mascella: sgranai nuovamente gli occhi quando notai del sangue colare dal naso di Zade.
Portai le mani tra i capelli, angosciata.
Nel momento in cui mio fratello gli assestò un forte calcio nello stomaco, facendogli mancare il respiro per un secondo, realizzai che se non fossi intervenuta, mio fratello avrebbe potuto avere la meglio su di lui.
Se solo fosse successo, non sapevo cosa sarebbe potuto accadere, in seguito.
Col cuore in gola mi guardai intorno, alla disperata ricerca di qualcosa con cui avrei potuto mettere fuori gioco Jacob, e quasi mi venne da ridere al pensiero che io, Amber Sullivan, una ragazza gracile e dannatamente debole, avrei potuto sovrastare il metro e ottanta di mio fratello.
Ma quando il mio sguardo cadde sulle molteplici bottiglie di alcolici vuote che lui stesso aveva abbandonato a terra, un pensiero malsano si insinuò nella mia mente.
In poco tempo, il ricordo dell'avvertimento di Louis sui combattimenti riaffiorò alla mia mente, colpendomi nel centro esatto del petto come un macigno troppo pesante da sopportare.
«Lo so, può sembrare strano, eppure non c'è niente a questo mondo, Ambs, che non possa essere utilizzato come arma, quando si viene messi alle strette. Tienilo a mente».
Tremai convulsivamente, rendendomi conto di aver afferrato una di quelle bottiglie solamente quando ne strinsi forte il collo tra le mie piccole mani ferite. Repressi le lacrime che minacciavano di continuare a bagnarmi il viso, dirigendomi lentamente nella loro direzione, e in quel preciso frangente Jacob scagliò un nuovo pugno nello stomaco del ragazzo.
Fu proprio vedere la sofferenza negli occhi di Zade che mi spinse ad agire.
«Adesso basta!» esclamai a gran voce: ero satura della situazione che si era creata, profondamente stanca di sottostare ai comandi del ragazzo che portava il mio stesso cognome, ma non i miei stessi valori.
Mi sembrò di essere in un sogno, a quel punto, quasi come se stessi osservando la scena dall'esterno.
Con tutta la forza che avevo in corpo sollevai l'arma improvvisata nell'aria e la scaraventai sulla testa di mio fratello, lasciando che la bottiglia di vetro si frantumasse in mille pezzi sul suo capo.
Percepii la mia pelle andare in fiamme e, sconvolta, non potei oppormi ai mille quesiti che invasero la mia mente,
Che cos'avevo fatto?
Ero stata davvero capace di fare del male a mio fratello?
... e adesso?
Il ragazzo rimase frastornato e Zade ne approfittò per toglierselo di dosso, facendolo cadere di faccia a terra.
La sua espressione era disgustata quando si rialzò, passandosi il braccio sotto il naso per pulirsi del liquido scarlatto che aveva perso. Quando sollevò ancora una volta il pugno per assestare l'ennesimo colpo, gli occhi furenti per la rabbia, mi ritrovai a gridargli di fermarsi, disperata.
«Zade, basta! Andiamo a casa, ti prego» singhiozzai.
Il corvino voltò lo sguardo verso di me, esaminando attentamente il mio viso. Rivoli di liquido scarlatto colavano dal suo naso e dalla sua bocca, ma lui sembrava non darvi importanza. Sembrava star bene, come se percuotere il suo peggior nemico gli avesse dato una scarica d'adrenalina tale da non fargli percepire alcun dolore.
Io però stavo morendo dentro, e osservare le pessime condizioni in cui fossi parve fargli capire che, suo malgrado, fosse arrivato il momento di andarsene: annuì solamente, avvicinandosi a me per posare con estrema delicatezza una mano dietro la mia schiena graffiata, conducendomi a passo svelto verso l'uscita del parco.
Ferita e con un peso sul petto lasciai che Zade mi portasse via da lì, girandomi un'ultima volta verso mio fratello che steso a terra, inerme, mi guardava andare via, scappare da lui per la seconda volta in pochi mesi.
Strinse forte tra le mani una manciata di ghiaia e, se la mia vista non fosse stata così offuscata da poterlo mettere in dubbio, avrei potuto giurare di aver visto una lacrima solcargli viso.
Quando volsi nuovamente lo sguardo verso la strada, però, sentii un urlo forzato alle mie spalle.
«Lurido pezzo di merda!» rantolò mio fratello, facendomi sussultare, «non lascerò che portiate via mia sorella un'altra volta!»
E subito dopo uno sparo riecheggiò per tutto il silenzioso giardino, facendomi accapponare la pelle e voltare indietro, spossata e con gli occhi strabuzzati.
Jacob era sdraiato sulla ghiaia, e tra le mani stringeva una pistola.
Troppo frastornata per reagire rimasi lì, immobile, a osservare mio fratello che sembrava lentamente perdere conoscenza, chiedendomi se avrebbe mai avuto il coraggio di spararmi.
Poi, un grido al mio fianco mi riportò alla tragica realtà.
«Diamine Amber, corri!» Zade prese con forza la mia mano e, incastrandola alla sua, mi trascinò con sé, costringendomi a fuggire via.
Il vento primaverile colpì con prepotenza il mio corpo durante la corsa, punendomi per ciò che avevo fatto, per ciò che non avevo mai osato fare.
Non avevo mai fatto del male a mio fratello.
Ma soprattutto, non avrei mai creduto di poter provare piacere nel farlo.
Stavo diventando pazza.
A impedirmi di continuare a pensare fu un secondo sparo che sferzò nell'aria, e il grido di dolore di Zade fu così agghiacciante che mi si mozzò il fiato.
Sentii il peso del mondo crollarmi addosso in un istante.
«Zade!» strillai il suo nome, bloccando subito i miei passi e raggiungendolo.
Era in ginocchio, l'espressione dolorante; teneva la mano premuta sul braccio da cui aveva cominciato a sgorgare un rivolo di sangue.
Quel momento di debolezza non durò però a lungo, perché improvvisamente il corvino si alzò di scatto, guardando agitato alle nostre spalle.
«Non c'è tempo Amber, corri, cazzo! corri!» ordinò nuovamente, costringendomi a riprendere la corsa insieme a lui.
Quella situazione mi metteva soggezione: da ubriaco, Jacob era mille volte più pericoloso di quanto non lo fosse da sobrio e, dopo tutto quello che aveva fatto quella sera, ormai non avevo idea di quanto in là avrebbe potuto spingersi.
Riuscimmo a raggiungere il parcheggio del luna park, in cui non vi era anima viva, lasciandoci mio fratello alle spalle.
«Entra!» mi urlò Zade aprendo la portiera dell'auto, tenendosi ancora una mano premuta sul braccio. Eseguii subito l'ordine, bloccandone la portiera come un robot che non sa quello che sta facendo, perché se solo l'avessi capito, se solo avessi compreso cos'era successo e da cosa stavo scappando, non avrei retto. Sarei crollata in mille pezzi.
In un nano secondo fummo fuori da lì, e Zade spinse l'acceleratore fino in fondo, imboccando la strada a tutta velocità.
«Se solo non avessi preso le chiavi di Louis sul tavolino...» lo sentii farfugliare tra sé col respiro corto, e un lungo sospiro fuoriuscì dalle mie labbra, mentre sprofondai nel sedile.
Osservai le mie gambe, completamente sfregiate dalla ghiaia e dai cocci di bottiglia contro cui avevo strisciato quando Jacob aveva cominciato a urlarmi contro, accorgendomi di quanto ancora stessi tremando.
Solo in quel momento, quando sentii il mio corpo rasserenarsi perché il peggio era passato, realizzai quello che era appena successo. Non stavo sognando...
Era tutto vero.
Dopo mesi avevo rivisto mio fratello, e se solo Zade non fosse intervenuto Jacob mi avrebbe portata via con sé, questa volta assicurandosi che non sarei più scappata.
Non potei frenarlo quando arrivò. Non ne ero mai stata in grado.
Cominciò con una lacrima, triste e leggera che, troppo disperata per rimanere sola, ne chiamò altre a scorrere libere sul mio viso, compiendo quasi una gara per scoprire quale tra loro si sarebbe infranta per prima sulle mie gambe ferite, bruciando la mia pelle come una una lesione a contatto con l'acqua del mare.
Non mi accorsi quando successe, eppure scoppiai in un pianto disperato e isterico, ignorando che Zade fosse a due centimetri di distanza da me.
La verità era che non me ne importava, non mi importava più di nulla.
Portai le mie mani al viso, accasciandomi sulle ginocchia, pensando a ciò che mio fratello sarebbe stato capace di farmi se solo fosse riuscito nel suo intento.
Il modo in cui Jacob ancora riusciva a terrorizzarmi mi destabilizzava, mi faceva sentire una nullità.
Voleva colpirmi, ma non l'aveva fatto. Poi, però, aveva sparato due colpi nel tentativo di fermarmi, ferendo Zade.
Per interminabili minuti, il silenzio dell'abitacolo venne spezzato dai miei incontenibili singhiozzi e da null'altro, come se persino il rimbombante motore dell'auto avesse deciso di tacere di fronte alla mia crisi, comprendendo il mio dolore.
Fu quando i miei occhi smisero di avere lacrime da versare e la mia gola bruciò a tal punto da rendermi incapace di emettere alcun suono che, al mio fianco, una voce profonda parlò, ricordandomi che non fossi sola.
«Va meglio?» domandò il ragazzo dai capelli corvini, volgendo per un breve frangente la vista verso di me.
Tirai su col naso, distrutta, scuotendo piano la testa in senso di negazione.
Zade fece un lungo sospiro, tornando a concentrarsi sulla guida.
Dopo svariati momenti di silenzio, come se avesse ricordato solo in quell'istante qualcosa di fondamentale, lo sentii imprecare e muovere il braccio verso la tasca dei pantaloni, da cui afferrò il suo cellulare.
«Merda!» emise un gemito di dolore nel momento in cui si mosse troppo velocemente, poi strizzò gli occhi, e infine digitò il numero di qualcuno, che rispose al secondo squillo.
«Calmati, Louis, l'ho trovata» pronunciò Zade in risposta a qualcosa che non udii, e abbassai lo sguardo al suolo al pensiero di Louis in pensiero per me, sentendomi una stupida.
Non avrei mai dovuto allontanarmi.
Avrei dovuto essere più prudente.
«È qui con me, stiamo tornando a casa. Lei sta...» voltò il viso verso di me, e immaginai di essere ridotta in condizioni davvero pietose, perché il corvino si morse il labbro inferiore prima di tornare a fatica a fissare la strada, «discretamente. È successo un casino, Louis, ho dovuto prendere la macchina. Ti spiegherò tutto quando ci vedremo» disse il moro poco dopo, concentrandosi sulla guida.
In una mano stringeva il telefono poggiato all'orecchio, mentre con l'altra reggeva il volante dell'auto, e nel momento in cui chiuse la chiamata poggiando il telefono sul cruscotto, non potei fare a meno di osservare la sua ferita, coperta dallo spesso giubbotto di pelle che portava.
«Fa... fa molto male?» mi ritrovai a chiedergli, indicando la sua spalla.
Il ragazzo rimase sorpreso dalla mia domanda, ma sembrò sincero nel rispondermi.
«Solo un po'» disse, «ma sono convinto che la pallottola mi abbia solo sfiorato. Altrimenti, non so se sarei stato in grado di arrivare fino a qui» ammise, e quando si voltò per guardarmi, notai che neanche lui avesse una bella cera: il labbro inferiore era gonfio e spaccato, gli occhi sembravano profondamente stanchi.
Non osai pensare a quali sorta di lesioni riportasse in tutto il resto del corpo.
«Ho subito danni decisamente peggiori di questo, in corsa, cose che nemmeno potresti immaginare» concluse, probabilmente accorgendosi che stessi fissando le sue ferite come fossero le più dolorose al mondo.
Il suo sguardo cadde poi sulle mie gambe lasciate scoperte dalla gonna di jeans che indossavo: la sua espressione mutò quando vide i graffi sulla mia pelle.
«Sei ferita». Affermò duro, contraendo la mascella per la rabbia, come se fosse stato troppo preso da quanto accaduto per rendersene conto prima.
«È stato lui?» proseguì, severo, «ti ha... ti ha toccata?» domandò, incerto. Notai la sua stretta sul volante farsi più forte nell'istante in cui pronunciò quelle parole.
«No» risposi immediatamente, volendo porre fine a quella conversazione.
Avevo bisogno di tempo per metabolizzare l'accaduto, e Zade sembrò capirlo, perché distolse lo sguardo da me, tornando a concentrarsi sulla strada.
Decisi di rimanere in silenzio per tutta la durata del tragitto, lasciando che fossero i miei opprimenti pensieri a tenermi compagnia.
Mi chiesi come ci saremmo comportati io e Zade, una volta arrivati a casa.
Spazio autrice
Ehilà! Cosa ne pensate di questo capitolo, e di questo Zade "apprensivo"?
Secondo voi cosa succederà a casa?👀
Se nessuno era pronto per questo capitolo, il prossimo vi farà letteralmente impazzire.
Ed è proprio per questo che cercherò di aggiornare il più presto possibile!
Alla prossima💗
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