.16. Part One.
Mi nascosi dietro un albero, non capendo come potesse essere possibile una cosa del genere.
Mille domande riempirono la mia mente: mi chiedevo perché diavolo fosse proprio dinanzi alla corteccia dove da piccoli ci eravamo giurati eterna protezione, e perché fosse in lacrime.
In quel momento mi dava le spalle, aveva un braccio appoggiato al tronco dell'albero, mentre l'altro era disteso lungo il fianco. Notai i capelli corvini, che curava maniacalmente sin da quando ne avevo memoria, essergli cresciuti.
Il mio sguardo si spostò verso tre bottiglie di alcolici a terra, di cui una ormai rotta per metà, sicuramente bevute tutte da lui, e capii nell'immediato che non avrei assolutamente dovuto farmi vedere: da ubriaco, Jacob era peggio di una bestia affamata alla ricerca della sua preda.
Eppure, in quel momento sembrava così... triste.
«Mi dispiace, mi dispiace così tanto» sussurrò il bruno, rivolgendo lo sguardo al cielo stellato. Una folata di vento improvvisa raggelò il sangue nelle mie vene: le sue parole mi confusero le idee più di quanto non lo fossero state poco prima.
Sicuramente non poteva riferirsi a quello che mi aveva fatto: lui ormai mi odiava, non c'era nulla che avrebbe potuto cambiarlo.
Rabbrividii e portai le mani sulle mie braccia, d'un tratto terribilmente intorpidite.
«Sono un tale vigliacco. Ormai venire qui ogni giorno è l'unica cosa che mi fa sentire vicino a te... probabilmente te ne sei andata, forse per sempre. E io me lo merito. Me lo merito...»
Quasi sussultai quando sentii quel flebile mormorio. Sì, stava parlando proprio di me.
Ma com'era possibile?
Distolse lo sguardo dal cielo, scostandosi dalla corteccia e voltandosi, prendendo a fissare il vuoto in mia direzione: d'impulso sussultai e feci un piccolo passo indietro, azione che non gli passò inosservata.
Le foglie secche scricchiolarono sotto le mie scarpe nel momento in cui mi bloccai sul posto, impietrita, e Jacob aggrottò la fronte, passandosi una mano tra i capelli.
«C'è nessuno?» domandò, avanzando di poco in mia direzione.
Oh, no.
Jacob non doveva, non poteva vedermi lì: sarebbe andata a finire molto male per me, altrimenti.
Percorsi alcuni passi all'indietro lentamente, terrorizzata.
«C'è nessuno?» ripeté alzando il tono della voce, e tremai quando lo sentii tremendamente vicino all'albero dietro cui ero nascosta.
Vi si appoggiò contro per un secondo, quasi come avesse avuto un capogiro, e io capii che avrei dovuto cogliere l'occasione per fuggire a gambe levate da lì: presi un respiro profondo, per poi muovermi velocemente, correndo via da lì.
L'adrenalina in corpo mi fece scattare come una saetta, e scappai: ordinai ai miei piedi di trascinarmi il più lontano possibile da quel luogo maledetto, mentre l'aria gelida schiaffeggiava la mia pelle pallida e sensibile, graffiandola come se avesse voluto punirmi per essermi allontanata dagli altri, per non essere riuscita a tenere testa a Zade e, soprattutto, per essere finita proprio in quel giardino. Corsi il più in fretta che potei, ma la mia fuga non durò molto.
Infatti, una presa ferrea sul mio braccio mi fece fermare di colpo: gridai a perdifiato per la sorpresa e il terrore, e per ammutolirmi una mano cominciò a premere forte sulla mia bocca, portandomi a scontrare la schiena contro un forte petto.
Ero in trappola...
Ero spacciata.
«Ti ho presa, stronza! Chi diavolo sei, e perché mi spiavi?» domandò un Jacob furente per la rabbia, girandomi velocemente e premendo con violenza il mio corpo contro l'albero alle mie spalle, così da guardarmi in faccia.
Sussultai per la brutalità del suo gesto, percependo la mia schiena coperta solamente da una leggera t-shirt graffiarsi all'impatto con la corteccia ruvida alle mie spalle. Le mie palpebre tremarono quando, intimorita, sollevai il volto per incontrare gli occhi scuri e penetranti di mio fratello.
Era da troppo tempo che non vedevo Jacob, ormai: erano trascorsi mesi dal giorno in cui aveva minacciato Louis al centro commerciale, quando c'era mancato veramente poco perché mi scoprisse.
Non ero affatto preparata a incontrarlo, non adesso, non in quel parco isolato...
Non mentre era ubriaco.
Non appena mi vide, però, il maggiore spalancò gli occhi, come se si aspettasse di tutto, meno che incontrare me.
Rallentò di poco la stretta sulle mie braccia, prendendo a fissarmi incredulo.
Amber?" pronunciò il mio nome, sconvolto, e il suo fiato caldo che sapeva di alcol mischiato a tabacco inondò le mie narici.
La sua collera sembrava essere del tutto sparita mentre mi fissava con occhi sorpresi.
«J-Jacob...» sussurrai, fissandolo col cuore in gola senza muovere un singolo muscolo.
Non sapevo come comportarmi con lui: in quei mesi passati in sua assenza avevo acquistato una forza che neppure credevo di poter possedere; eppure, rivedere mio fratello in quel momento mi aveva paralizzata.
«Dove diavolo sei stata per tutto sto tempo? Dio mio» sospirò con grande sollievo, liberandomi del tutto dalla sua ferrea presa.
Osservai la sua figura imponente dinanzi a me, notando che avesse fatto crescere la barba più del solito; l'espressione sul suo volto sembrava profondamente stanca, logorata.
Jacob si portò le mani al viso, sospirando nuovamente, e subito dopo riportò l'attenzione su di me. Questa volta, però, un barlume di rabbia aveva preso il possesso delle sue iridi.
«Hai intenzione di rispondermi entro stasera?» chiese, ricominciando ad alterarsi.
Rimasi in silenzio, non sapendo cos'avrei potuto inventarmi: se gli avessi raccontato la verità, avevo paura che mi avrebbe fatto del male e, dato che era ubriaco...
Non ero del tutto sicura che sarebbe andata a finire bene.
«Senti» cominciò, prendendomi i polsi e sbattendomi nuovamente contro la corteccia dell'albero.
Spalancai gli occhi e non dissi niente, osservando mio fratello dal basso della mia statura chiedendomi, a quel punto, che intenzioni avesse con me.
«Ci sto provando, ci sto provando davvero, ma non so fino a che punto riuscirò a controllarmi» ammise strizzando gli occhi, ma non compresi di cosa stesse parlando, «sei sparita per mesi, non ci vediamo dal fottuto giorno in cui ti ho lasciata su quella dannatissima strada, e ora che finalmente ti ho trovata, hai il coraggio di non dirmi dove diamine sei stata?» Le vene sul suo collo cominciarono a gonfiarsi mentre, furioso, mio fratello mi urlò contro.
«Hai una bella faccia tosta!» continuò imperterrito, «cos'è, andare a letto con Parker ti ha montato la testa a tal punto da scappare via da me, per provare la vita di strada?» urlò, e a quel punto non potei più trattenermi.
«Non parlare di me come se fossi una puttana!» riuscii a gridare, percependo una lacrima scendere lungo il mio viso, incapace di esser trattenuta ancora a lungo.
Sapevo che, trattandosi di un Jacob ubriaco, non avrei mai dovuto arrivare a quel punto: non avrei mai dovuto urlargli in pieno viso.
Ma ero profondamente stanca; stanca di mostrarmi debole ai suoi occhi, stanca di farmi trattare come se non valessi nulla, di farmi trattare come se fossi la persona che non sono.
Il mio cuore perse un battito nel momento in cui Jacob sollevò una mano in alto, e distolsi lo sguardo, chiudendo gli occhi, mentre una nuova lacrima amara solcò il mio viso in attesa di ricevere l'ennesima violenza di mio fratello nei miei confronti...
Che non arrivò.
La tremante mano di Jacob rimase sospesa in aria per secondi che parvero infiniti, i nostri respiri agitati erano gli unici suoni a farci compagnia in quegli attimi di silenzio.
Poco dopo il ragazzo abbassò il braccio, distendendolo lungo il suo fianco, sconvolgendomi.
Non era mai accaduto che un Jacob in procinto di farmi del male non avesse finito l'opera, soprattutto in momenti in cui era l'alcol a decidere per lui cosa fare.
Il ragazzo si allontanò di poco da me, prendendosi la testa tra le mani e osservandomi con un'espressione indecifrabile dipinta in volto, mentre lacrime salate continuarono a sgorgare copiose dai miei occhi.
«Maledizione! Lo stavo facendo di nuovo. Lo stavo facendo di nuovo!» gridò, facendomi tremare l'anima, «sono disgustoso, non riesco a controllarmi...» bisbigliò tra sé e sé voltandomi le spalle. Incapace di reggere il peso del mio corpo sulle mie traballanti gambe ancora per molto, scivolai lungo la corteccia dell'albero, accasciandomi al suolo: solo allora mi resi conto di aver appoggiato le ginocchia nude sopra dei cocci di bottiglia. Mi trattenni dall'urlare per il bruciore che mi ero appena provocata, mordendomi l'interno della guancia.
Poggiai le mani sul terreno, ignorando i piccoli pezzi di vetro che si conficcarono nella mia carne: facevano meno male della consapevolezza di trovarmi lì, sotto l'albero in cui io e mio fratello ci eravamo promessi di amarci e proteggerci per sempre, paralizzata dalla paura che, di lì a poco, quest'ultimo avrebbe potuto farmi del male.
Mi domandai cos'avesse spinto Jacob a fermarsi, mentre con le poche forze che possedevo in corpo cercai di alzarmi, per tentare ancora una volta la fuga da mio fratello.
«Andiamo a casa» ordinò il bruno dopo qualche istante, spiazzandomi totalmente e inducendomi a voltare il capo in sua direzione.
I suoi occhi scuri non sarebbero potuti essere più determinati di così mentre, con un solo sguardo, mi intimò di fare ciò che diceva.
Mi prese quindi per un braccio, sollevandomi da terra, e in quel momento il panico si impossessò del mio corpo, mentre una scarica di rabbia mi permise di ribellarmi.
«No!» strillai, dimenandomi nel tentativo di liberarmi dalla sua ferrea presa, «non verrò da nessuna parte con te! Mai più!» mi opposi, agitandomi e urlando.
Il ragazzo prese a stringermi ancor di più il braccio e si fermò, voltandosi verso di me.
Per un solo istante, scorsi nella sua espressione qualcosa di diverso dalla solita rabbia e aggressività.
Per un solo istante, lessi nei suoi occhi qualcosa che assomigliò molto a un barlume di pentimento.
«Ci sono tante cose che non sai, Amber» confessò, serio come non lo era mai stato, «ho bisogno che tu ne venga a conoscenza prima di giudicarmi» concluse tutto d'un fiato, fissandomi intensamente.
Ma le sue parole non mi dissuasero dallo scuotere la testa in segno di protesta e dal tornare a ribellarmi alla sua stretta: era troppo tardi, per me.
Non ne volevo sapere più niente di lui, della sua malavita e dei suoi modi contorti e quasi inesistenti di volermi bene.
Se poco prima il ragazzo si era mostrato calmo, il ragazzo parve andare su tutte le furie a causa del mio comportamento, poiché mi voltò le spalle, cominciando a trascinarmi via con sé ignorando le mie grida di dissenso.
«Ho detto che verrai a casa con me, che ti piaccia o meno!» mi strattonò il braccio, conducendomi a forza lontana da quell'albero che, in quel momento, avrei voluto solamente incendiare.
«Lasciami andare, Jacob!» strillai nuovamente, ma il ragazzo continuò a ignorarmi.
Le ferite sulle gambe e alle mani che mi ero provocata inginocchiandomi al suolo cominciavano a bruciare ancor di più e, per un istante, credetti che sarebbe finita così.
Non avrei più rivisto Louis, non avrei mai avuto l'occasione di dirgli addio.
Jacob era furioso e, una volta arrivati a casa, sapevo che avrebbe scatenato ancor di più la sua ira su di me. Sarebbe finita così. Non avevo più scampo...
Era ciò che fermamente credevo, finché una voce alle nostre spalle non mi fece paralizzare.
«Ti consiglio di lasciar andare la ragazza e di allontanarti subito da lei, Sullivan, se intendi uscire di qui tutto intero».
Spazio Autrice
Okay, mi rendo conto che forse questa volta ho esagerato con la suspense, ma... NON UCCIDETEMI! Non ancora almeno, o non scoprirete mai chi è che ha parlato alla fine del capitolo... E a proposito, chi credete che sia?😏
Prometto che aggiornerò mooooolto presto, anche perché questo capitolo è molto più corto rispetto agli altri...
Ma vi assicuro che il prossimo sarà molto più lungo e non riuscirete a staccarvene finché non lo avrete finito! Promesso❤️ alla prossima!😘
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