Parte 2

Nel frattempo non era più rimasto granché di me, delle mie agghiaccianti battute, dei pomeriggi a leggere Wilde, Orwell, Bradburry e Svevo – non perché ce li imponesse la scuola, ma perché, prima di incontrare te, ero in pieno periodo di adulazione per i Classici.

Prima, appunto.

Perché prima non uscivo di casa se non per recarmi a scuola e men che mai mi sarebbe venuto in mente di farlo per passare del tempo anche con Ludovico e Vittorio.

Perché prima fumavo, ma non bevevo, ma a te dava fastidio il fumo – rischiava di distruggerti la voce, dicevi, ma ogni tanto un cocktail e una birretta, quelli sì, te li concedevi.

E quindi avevo smesso di fumare, avevo iniziato a bere, a frequentare persone che detestavo, a fare cose che non mi piacevano, ma a te sì, a te piacevano e quindi me le facevo piacere pure io.

Non ricordo bene quando è successo, quando ho capito che i tuoi sorrisi erano privi di empatia, che la mia compagnia era piacevole solo fino a un certo punto, che le mie battute caustiche non sempre erano divertenti e a volte non le capivi nemmeno tu.

-Allora, ci vieni stasera a sentire Davide e gli altri?- e quel giorno, chissà perché, a Valentina, mia compagna di classe e vostra grande fan, una delle poche persone con cui fossi in grado di scambiare più di due battute consecutive, alla fine risposi scuotendo la testa, rendendomi conto che era arrivato il momento di smetterla.

Avevo nutrito speranze su di noi, su di me e te, per mesi. Anni. Ebbene sì, perché ti avevo conosciuto che stava prendendo il via il mio terzo anno di liceo, ma quel giorno stavamo lì, nelle scale antincendio, mentre tenevo compagnia a Valentina, intenta a fumare una sigaretta, ed eravamo usciti dall'aula soltanto noi due, perché eravamo stati gli unici a consegnare di già il nostro tema di italiano, durante quelle che erano le prove in vista degli Esami di Stato.

E tu, beh, tu eri in un'aula allo stesso piano, impegnato nella prova. Non sapevo bene dove e no, non avrei voluto saperlo.

-Dai, Gabry, perché non vuoi venire?-
-Perché devo metterci una pietra sopra. Perché sono sempre stato pieno di difetti, ma almeno erano miei e poi a Davide non piaccio, l'ho capito- fu la risposta che le diedi e Vale si limitò a farmi una carezza, senza smentire quello che avevo detto. Ma poi arrivasti proprio tu, soddisfatto di avere concluso la tua prova, e io mi sentii come se mi fossi scoperto troppo, come se le parole che avevo rivolto alla mia amica le avessi rivolte direttamente a te.

Fuggii, letteralmente, correndo a nascondermi in aula, in silenzio, per non disturbare i miei compagni ancora impegnati nella prova.

Poi tornò Vale, si sedette al mio fianco e ricordo ancora il dolore che mi scaturì la gomitata che mi diede: doveva avermi colpito un qualche nervo nel gomito e l'urto mi aveva provocato un brivido lungo tutto il braccio e la schiena.

-Che c'è?- avevo bisbigliato, avvicinandomi a un suo orecchio, stando attento a non finire per trovarmi con i suoi vaporosi capelli rossi in bocca, come spesso mi era già successo in passato.
-Perché sei scappato? Davide c'è rimasto male. L'ha detto lui, eh! "Perché Gabriele è andato via? Mi piace parlare con lui" e dice che ha fatto il tema libero, la traccia A, ma si è ispirato a te e l'ha fatto sulla dittatura e il lavaggio del cervello, si è ispirato a Orwell... cioè non c'ho capito un cazzo, ma va beh. Ha detto pure che hai un sorriso davvero dolce-

Ovviamente, in quel momento avrei anche potuto scalare le montagne, fare il giro del mondo di corsa che... Phileas Fogg, spostati, a piedi arrivo prima di te!

Mi dichiarai?
Non a Fogg, intendo a te.

No.

Vigliaccheria? Il terrore che un sogno potesse tramutarsi in realtà e rivelarsi meno... sognoso? Non lo so.

Poi il liceo terminò, altri anni passarono, tu smettessi di essere mio amico, ti trasferisti a Bologna, intraprendendo una relazione con un ragazzo di lì – per ben cinque anni. Quando tornasti a Palermo, a casa, e ti incontrai per caso a Piazza Indipendenza, intento a sorseggiare un caffè al bar, in attesa di un'amica... il mio cuore parve dimenticare di colpo la distanza, il tempo trascorso.

E sì, capii che ti amavo ancora e, come uno stupido, il coraggio che a diciotto era venuto a mancarmi, a ventiquattro abbatté tutte le mie difese in un colpo solo e, prima che me ne rendessi conto, tra una cosa e l'altra, finii per dichiararmi e non solo per assicurarti che no, il tempo non aveva svilito il mio sentimento, ma ti dissi pure che da adolescente ero stato pazzo di te, che conoscendoti mi ero innamorato e che nonostante il tempo fosse stato poco clemente con te e ti aveva fatto un po' stempiato e la tua barba era diventata più folta e scura, io sapevo che non avrei mai potuto amare nessun altro come amavo te.

-Sai, Ga', mi sembra assurdo... dopo tutto questo tempo. Ma tu sei sicuro? Se me lo avessi detto allora... Cioè, sai che ti avrei potuto anche dire di sì? Non è colpa tua, ma esco da una relazione con un altro, siamo stati insieme cinque anni, devo ancora riprendermi e poi, sul serio, dopo tutto questo tempo mi sembra un po' ridicolo-

Me le sarei dovute tatuare quelle parole, ma non ne ho avuto bisogno: non le ho mai dimenticate.

Qualche mese dopo seppi che ti vedevi con un altro. Evidentemente, il problema ero io.

Sul serio?

Sono passati altri sei anni d'allora e, caro Davide, ho la risposta per te, quella che il giorno in cui mi hai rifiutato non ho avuto il coraggio di darti, perché avevo il cuore a pezzi, l'anima sotto i tuoi piedi, calpestata senza dignità da quel tuo "ridicolo".

Ebbene, Davide, sei anni dopo sono ancora qui.
Ho smesso di bere e prima ancora di frequentare Ludo e Vitto.
Ho smesso di passare i sabato sera nelle bettole puzzolenti dove ti esibivi.
Ho incominciato a dividere dentro la mia testa l'idea che avevo di te, il sogno dalla realtà.
Ho conosciuto persone che capiscono sempre le mie battute.
Ho conosciuto persone che mi accettano e mi trovano divertente anche se stanno sobrie.

E ti amo ancora. E forse non smetterò mai di farlo, ma non mi sento più ridicolo.

Un sopravvissuto alla tua indifferenza e alla tua superficialità, quello sì.
Sono riuscito persino a scendere a patti con la mia vigliaccheria di adolescente, con tutte le illusioni che mi ero creato su di noi.

Fa male ancora, ma chissà... Forse, un giorno... .

Oggi, intanto sono qui e mi sono reso conto di quanto siano divertenti le mie battute caustiche; che il mio sorriso è davvero bellissimo – anche se non lo dici tu.
Ho imparato a riconoscere che ho più stile di te, anche se le mie magliette a quadri continuano a non essere di tuo gradimento.
Ho ripreso a citare Wilde e me ne vanto.
Ho collezionato centinaia di romanzi classici e non esco più il sabato sera.

E sì, dannazione! Preferisco le note crude, dure e affilate del punk-rock alle tue esotiche melodie reggaeton!

Sono uno sfigato?
Va beh, ma almeno ho gusto e ti dico che preferisco il caffè macchiato che fanno nel bar dietro il nostro vecchio liceo.

C'ho messo "solo" quattordici anni, ma fa niente.

Ti ho voluto veramente bene, ma adesso ne voglio di più a me.

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