Ti Aspetto Sotto il Vischio
«Eva, mi passi il mestolo?». Adelaide allunga un braccio senza distogliere lo sguardo dal libro di ricette. Apro il cassetto del mobile e glielo passo.
Sono stata invitata dalla mia migliore amica a passare le vacanze con lei e sua figlia Sophie nel Oxfordshire. È abbastanza lontano da Londra da poter respirare senza che il peso delle mie scelte di vita mi schiacci.
«Avremmo potuto ordinare una pizza...». Le faccio notare, riprendendo a tagliuzzare le patate che accompagneranno il tacchino che vuole farcire. «È la Vigilia di Natale!» dice Ade arricciando le labbra stizzita. «Non mangeremo pizza durante il Cenone».
La guardo di sottecchi, perché so che potrebbe mandare a fuoco la cucina da un momento all'altro pur non avendo in mano un accendino. Come quella volta che ha fatta saltare in aria il mio tostapane lasciando l'involucro del formaggio a fette nel toast.
Sophie è seduta a debita distanza dal piano di lavoro. Da dove sono la vedo china sul piccolo tavolo sommersa da fogli e pennarelli di ogni colore. Non sembra stia badando a noi.
La suoneria del mio iPhone richiama sia la mia attenzione che quella di Ade, facendoci sporgere, per guardare la notifica sullo schermo illuminato.
«Oh, cielo! Oliver? Ancora?». Mi punta il mestolo sotto il naso strabuzzando gli occhi. Ora sono io che dovrei tenermi a debita distanza.
«Sì, no...non lo so». Cerco di spiegarmi sotto il suo sguardo severo. Il cuore mi batte all' impazzata e inizio a sudare freddo.
Ho paura.
Paura di quello che potrebbe esserci scritto. Mi trema la mano.
La trepidazione mi stringe la gola, mentre apro la mail: "Sei troppo importante per me. Devi esserci" e come allegato la partecipazione al suo matrimonio. Gli occhi mi si riempiono di lacrime. Mi sento cadere in una voragine fatta di buia solitudine. Sarebbe il caso di sedersi. Tremo a tal punto che Adelaide mi scorta verso la sedia più vicina sorreggendomi per un braccio. Una volta certa che io non cada si volta e torna al bancone nella cucina.
«Fai pena, sai? Dopo quattro anni, lo aspetti ancora». Rinsalda la presa sul mestolo. Inizio a temere che voglia picchiarmi con quel pezzo di legno. «Non si rimane in contatto con l'uomo che ti ha tradita, al massimo gli si lanciano oggetti e lo si blocca su tutti i social».
Sto per controbattere che non è semplice, che disinnamorarsi non è come premere il pulsante della corrente e tutte le lampadine si spengono. «Te l'ho già detto e te lo ripeto: volta pagina Evangeline Smith, esci con qualcun altro!». Riprende ad accanirsi sul tacchino. È chiaramente irritata.
Vorrei difendermi, ma non ho scusanti. I coriandoli animati, apparsi quando ho aperto l'allegato, mi ipnotizzano da togliermi la capacità oratoria. Sono atterrita.
Dopo essergli rimasta amica avrebbe almeno potuto farmelo sapere di persona, in fondo lavoriamo nella stessa redazione.
Vorrei piangere ogni lacrima che ho in corpo.
Quattro anni fa me ne innamorai come si sbattono le palpebre. Quando controllavo i messaggi o le mail ne trovavo almeno una da parte sua. Dopo solo pochi giorni era tutto un "Non mi sono mai sentito così...", oppure un "Potrei morire per quanto sei bella".
Quando mi accorsi che la nostra coppia era un trio, ero tanto farcita di belle parole da accettare di essere la terza incomodo. Dunque, non potendo aver tutto, mi sono accontentata di questo rapporto d'amicizia malsano. Non riesco immaginare una quotidianità senza la sua presenza, ma al contempo non posso immaginare una vita nella sua ombra.
«Perché piangi zia?». Sophie è in piedi al mio fianco e poggia la manina sul mio ginocchio. Lo sguardo più curioso che preoccupato. Mi guarda indagatrice.
L'arrivo della mail mi ha scombussolata così tanto che non sono stata in grado di mascherare le mie emozioni.
Una bambina non dovrebbe assistere a spettacoli pietosi come quello che le sto proponendo.
Ade risponde per me. «L'ex fidanzato della zia ha fatto una cosa che l'ha resa molto triste».
«I fidanzati non dovrebbero far piangere» sentenzia Sophie risoluta alzando il mento e guardandomi negli occhi. «Loro dovrebbero far ridere. Come lo zio Noah».
Lo zio Noah, aka la mia cotta dell'università, è il fratello maggiore di Adelaide.
«Hai proprio ragione Sophie» rispondo asciugandomi gli occhi con il dorso delle mani. Sono sconfitta: una bambina di sette anni ha capito quello che io cerco di farmi entrare nella testa da quattro.
Adelaide si avvicina a noi. «Ascolta...». La voce ferma che non ammette repliche e i pugni sui fianchi. «Quello che provi per Oliver non è amore, ma una dipendenza che non riesci a guarire. Sono certa che, se permetti a qualcun altro di avvicinarsi, potresti rimanere sorpresa» dice allusiva. Uno strano luccichio le illumina lo sguardo. Ha in mente qualcosa.
«Se solo me lo permettesse! Sai bene che ogni volta che sono sul punto di staccarmi, lui mi fa credere di aver capito di amarmi».
«E tu smetti di credergli! Tanto sai che non è vero...» replica esasperata.
«Vado a preparami». Chiudo la discussione sbuffando. Non sono in grado di continuare. Sono stanca e inizio a sentirmi a disagio.
«Ma sono le 16...» dice Adelaide spalancando gli occhi. Lascia cadere le braccia lungo il corpo.
«Ci vuole tempo a quelle come me».
Non so perché l'ho detto ad alta voce, ma è esattamente come mi sento o come lui mi ha fatta sentire per quattro lunghi anni: incapace, inutile e impresentabile.
«Giusto, vai pure! Non si sa mai chi potrebbe bussare alla porta».
Manca poco all'inizio della cena; l'enorme tavolo nella sala da pranzo è già apparecchiato, l'albero di Natale è addobbato e il fuoco scoppietta nel camino. Ma c'è qualcosa di strano.
Ricalcolo il numero degli invitati: io, Adelaide e Sophie. Allora perché c'è un quarto piatto?
Non può essere la compagna di Ade, lei è un medico e questo Natale gli è toccato il doppio turno in pronto soccorso.
Il campanello suona.
«Vado io!» urlo.
Adelaide si sta prendendo cura di Sophie che ha iniziato a sentirsi poco bene.
Mi liscio l'abito mentre mi dirigo alla porta a disagio. Non so chi ci sia dall'altra parte.
Secondo Oliver le maniche lunghe e la gonna corta non facevano per me, aveva detto che avrei dovuto coprirmi di più perché agghindata a quel modo ero ridicola. Invece, io avevo sempre pensato mi donasse, ma non volevo contrariarlo. E se avesse ragione? E se chi sta al di là della porta ridesse di me?
Quando apro il battente, la prima cosa che mi si para davanti è un petto ampio coperto da un pesante cappotto nero. Devo piegare indietro la testa per vedere il viso della persona che regge dello champagne nella mano guantata.
«Ciao Evangeline!». Lo zio Noah mi sorride come se l'ultima volta che ci siamo visti non avessimo discusso e non ci fossimo mai chiariti.
Sono sulla soglia a bocca aperta. Sono in imbarazzo, non so come comportarmi. E indosso questo stramaledetto vestito...
«Ti senti bene?» domanda fissandomi il viso «sei impallidita».
Boccheggio. Ottimo inizio.
«Zio!!». Sophie mi salva da quel momento di disagio dandomi la possibilità di tornare al mio colorito naturale e non quello esangue dei cadaveri.
La piccola gli salta al collo e io affianco Ade che sta inseguendo la figlia. «Sophie, non ti sforzare che hai qualche linea di febbre...».
«Perché lo hai invitato?» le bisbiglio nell'orecchio seccata, incrociando le braccia al petto. Non posso credere a questo colpo basso.
«Quando ha saputo che ci saresti stata ha insistito per essere presente». Lo dice come se fosse la cosa più naturale del mondo. Questo mi irrita ancora di più.
«Perché l'avrebbe fatto?». Tra tutte le cose che posso chiedere, perché proprio questa? Mi interessa?
«Lo sai che ha sempre avuto un debole per te. Forse vuole chiarire...» dice mentre suo fratello si volta a guardarci, riservando a me un'occhiata che percorre tutta la mia altezza. Mi sento nuda...
«Infatti si è accorto di me solo dopo che ho iniziato a frequentare Oliver» dico sarcastica. «E l'ultima volta che ci siamo visti, proprio perché ha un debole per me, non si è fatto problemi a dirmi quanto fossi stupida a farmi trattare così».
«Sai che può essere impetuoso quando tiene a qualcuno...».
Lo so bene. È proprio questo che mi manda in bestia.
Quando si tiene a una persona non bisognerebbe avere un po' di tatto quando le si fa notare un errore?
Durante il cenone credo di avere esagerato un po' con il vino frizzante, perché un piacevole formicolio mi pervade il cervello facendomi dimenticare chi è seduto di fronte a me. Quasi.
Mi alzo per osservare il fuoco scoppiettante nel camino. Noah mi si avvicina. «Eva, volevo scusarmi per quello che ho detto l'ultima volta».
Mi volto per guardarlo.
Lui incespica nelle parole. «S-sei bellissima».
Per colpa del vino o forse per la sincerità che leggo nei suoi occhi gli credo. Sono passati mesi dalla discussione, eppure si è scusato. Oliver non lo aveva mai fatto: solitamente mi regalava qualcosa, ma dalle sue labbra le parole "mi dispiace" non sono mai uscite.
Vedo Ade, seduta al tavolo, che bisbiglia qualcosa nell'orecchio di Sophie. Quest'ultima annuisce decisa e come un soldatino si dirige verse di noi con una missione nello sguardo.
«Zia». Mi chiama Sophie prendendomi per mano. «Zio». Prende per mano anche Noah e ci trascina sotto l'ingresso della sala da pranzo.
«Devi baciarla» sussurra, ma sono certa l'abbiano sentita fino in Francia. «Siete sotto il vischio».
Alzo gli occhi e vedo il ramoscello. Ho una sola parola per descrivere Ade in questo momento, ma ho un minore davanti e mi trattengo.
«Tesoro...» incomincio «magari lo zio ha una fidanzata che non ci ha ancora presentato...».
Lo guardo sperando mi regga il gioco...
«In realtà sono single» ammette con un'alzata di spalle.
«Ma tu da che parte stai?».
«Dalla mia». Mi cinge con un braccio la vita e mi bacia. Un bacio casto che sa di vino bianco, mandorle e canditi. Lo stupore lascia spazio al piacere e lo ricambio beandomi di quel contatto. Realizzo di non essere arrabbiata con Noah perché mi ha insultata, ma perché aveva ragione. Quel bacio scaccia per un breve istante Oliver dalla mia mente. Con lui, un bacio era sempre un turbinio di sensazioni che sfociavano nel sesso, a volte solo per accontentarlo.
I risolini di Sophie mi riportano alla realtà come una secchiata di acqua gelata. I dubbi mi assaltano i pensieri ponendomi davanti a un bivio. Mi allontano dal suo abbraccio e mi riempio di nuovo il bicchiere di vino. Ade osserva i miei movimenti fiera di me. Lo trangugio.
Ho paura, perché forse c'è un modo per disintossicarmi da lui ed è proprio di fronte a me.
È possibile che un bacio ti renda diversa? Che ti faccia sentire vuota e piena allo stesso tempo?
Allo scoccare della mezzanotte Adelaide propone un brindisi. Mi rifiuto di chiederle se per il bacio o come augurio per il Natale. Facciamo tintinnare i bicchieri, ma io non riesco a coprire il sapore di Noah nemmeno con l'alcol.
Poco dopo decido che è il momento di andare in camera per riposare. Noah mi segue. Quando arriviamo davanti alla porta della stanza mi blocco sulla soglia.
Un pensiero intrusivo comincia a farsi più insistente degli altri. Così prendo il coraggio che avevo messo da parte e incastro i nostri occhi.
«Potresti rifarlo?». Spero abbia capito perché dire ad alta voce quello che voglio non fa parte del patto tra me e la mia audacia.
Quello che fa mi disorienta: invece di baciarmi apre la porta e mi fa entrare in camera prima di lui. Una volta dentro chiude il battente senza fare rumore. Siamo solo io, lui e le mie ombre.
Passo i palmi umidi sul tessuto nero del vestito.
Senza aggiungere nulla, porta una mano sulla mia nuca, mi tira a sé e mi bacia.
Come prima, Oliver scompare, se fosse stato possibile mi sarei sciolta, ma...
«Così?».
«No».
Mi guarda incuriosito.
«Proviamo così...». Gli lego le braccia al collo e mi sollevo sulle punte per raggiungere meglio le sue labbra. Sanno ancora di mandorle e canditi.
Il bacio si fa più profondo e mi stringe forte a sé. Qualcosa cambia in quella danza e il letto si fa sempre più vicino. Inizio a sbottonargli la camicia. Voglio sentire la sua pelle sotto i polpastrelli. Mentre mi fa stendere sul materasso, mettendosi su di me, mi guarda per assicurarsi che fossi pronta. Lo lascio fare. Sorprendendo soprattutto me stessa, è quello che voglio!
«Dovrei avvisarti» gli dico mentre mi passa la mano nei capelli. «Oliver dice che non sono molto brava».
Ma perché ho nominato il mio ex in un momento come questo? Vorrei picchiami da sola...
«Non mi piace l'idea che tu stia pensando a lui in questo momento». Si attorciglia una ciocca dei miei capelli sull'indice. «Farò finta di non aver sentito». Mi bacia di nuovo mentre riprende a trafficare con la zip del mio vestito.
E per la prima volta, dopo quattro anni, faccio l'amore come l'ho sempre desiderato: dolce, gentile e sensuale.
La mattina di Natale, Noah è ancora nel mio letto.
Il lenzuolo lo copre fino alle natiche, lasciandogli la schiena scoperta. Non ricordo l'ultima volta che Oliver si sia fermato a dormire dopo il sesso. Scaccio quel pensiero quando allunga una mano e mi prende per la vita tirandomi a sé. Mi bacia sulla testa e io arrossisco. Non faccio il cucchiaio piccolo da una vita.
Siamo ancora nudi. Ogni singolo istante trascorso è stata una stilettata di piacere che non ha acceso nulla se non pace, passione e tenerezza. Mi viene voglia di abbandonarmi a lui un'altra volta.
«Buongiorno». Il tono roco mi porta alla mente la voce sensuale che sussurrava il mio nome, mentre si preoccupava per la mia soddisfazione prima della sua.
Mi sento in colpa per il pensiero su Oliver. Mi arriva davanti agli occhi come un muro insuperabile. Io, Evangeline Smith, devo smetterla di fare paragoni. Oliver non deve essere il mio metro di giudizio.
Adelaide, forse aveva ragione. Mi sono data una possibilità e le conseguenze sono state deliziose. Mi faccio più piccola e mi stingo ancora di più al suo petto caldo. Non so ancora cosa significhi, ma finché ci sto bene, non ho la minima intenzione di allontanarmi.
Il telefono squilla.
Allungo un braccio per afferrarlo dal comodino. Mi tiro a sedere di scatto quando leggo il mittente: è Oliver.
"Buon Natale Eva! Avrei voluto passare questo giorno con te, ma tu non ci sei... Spero tornerai presto".
Mi sento elettrizzata e tesa. Nascondo lo schermo con il busto, non voglio che Noah veda quel messaggio. Aspettavo questo giorno da quattro anni.
Oliver vuole che io torni presto? Ha finalmente capito! Devo sbrigarmi e tornare a Londra. Oggi è fuori discussione. Ma domani è fattibile.
Lo sento sollevarsi e lasciarmi una scia di baci che vanno dal collo alla spalla. Nascondo il cellulare sotto le coperte e mi irrigidisco al contatto con le sue labbra. Mi senso una traditrice. Oliver vuole stare con me e io sono stata con Noah. Cos'ho che non va?
«Quando torni a Londra?».
«Domani, il mio capo mi ha appena chiesto di rientrare per scrivere un articolo» rispondo troppo velocemente.
Noah si irrigidisce alle mie spalle.
«Era Oliver?». C'è una nota stonata nella sua voce.
Il panico mi impedisce di deglutire.
«Certo che no» mento spudorata.
Noah si allontana dal letto. Si allontana da me. I suoi movimenti sono carichi di rabbia. La vena sulla tempia pulsa a occhio nudo.
«Non posso credere che dopo stanotte tu stia tornando da lui» mi biasima mentre prende i suoi vestiti dal pavimento.
Non so cosa dire. Non mi aspettavo quella reazione.
«Credevo l'avessi superata...». Si ferma sulla soglia.
Non voglio che creda l'abbia usato.
«Fa come ti pare, Eva!». Esce sbattendo la porta quando non rispondo.
Il rumore mi fa sobbalzare, ha lo stesso effetto di uno schiaffo in piano viso.
No, non mi interessa. L'unica cosa che conta è che Oliver voglia me!
Allora perché mi fa male il petto? Perché sento un vuoto dove prima c'era Noah?
Mi distraggo comprando un biglietto del treno e schiaccio nella valigia le poche cosa che avevo sistemato sulla cassettiera.
Durante il pranzo di Natale l'atmosfera è tesa rispetto a quella gioviale di ieri sera.
Adelaide si sposta dalla sala da pranzo alla camera dei Sophie, le poche linee di febbre si sono tramutate in influenza.
Mangiamo per lo più in silenzio.
Non mi sento di avere parole per giustificare il mio rientro prematuro. Adelaide ne è dispiaciuta, ma non me lo fa pesare. È troppo presa da Sophie per indagare su una mia possibile menzogna.
Io non cambio versione.
Noah, invece, mi scruta con aria corrucciata. Sembra voglia dar voce a ciò che gli passa per la testa, ma non lo fa. Mi manda in pappa il cervello e ogni sua occhiata allarga quella voragine che sento nel petto.
Nel pomeriggio, decido di uscire per cercare un regalo di Natale per Oliver, perché non posso presentarmi da lui a mani vuote, non dopo quello che mi ha scritto.
I mercatini a tema si estendono per tutta la via principale di Chinnor a est di Oxford.
Non mi ci vuole molto per trovare una palla di neve in vetro. Scuotendola i pezzettini bianchi turbinano al suo interno placidi. Osservarli depositarsi sul fondo mi stringe lo stomaco. Mi ricorda la stessa sensazione che ho percepito quando Noah ha fatto l'amore con me. Posandosi sul fondo, seppur irregolari riescono a incastrarsi perfettamente. Come era stato per noi questa stessa notte.
Un incastro perfetto per una persona rotta come me.
Scaccio quel pensiero e rientro a casa. Riscaldo gli avanzi del pranzo. Adelaide è impegnata a calmare Sophie che non vuole stare a letto.
Noah non si è fatto vedere, mi ha evitata per tutto il giorno.
Lascio anche per loro i piatti nel forno pronti per essere riscaldati.
Il ventisei dicembre sono all'ingresso mentre mi sistemo la cuffia e i guanti. Ho fretta voglio uscire da quella casa prima che le pareti mi schiaccino come l'ansia che mi preme sui polmoni.
Noah fa capolino dal salotto. Mi fissa. «Lascia almeno che ti porti in stazione» mi prega.
«Non serve, ho chiamato un taxi» gli sorrido a disagio. Perché dovrebbe farlo?
Lui si avvicina e mi sistema il bavero del cappotto. «Eva, quando sarà il momento, sai dove trovarvi...». Mi da un bacio sulla fronte.
Credo di aver appena sentito il mio petto sgretolarsi. Il vuoto si tramuta in un buco nero che sembra risucchiare ogni barlume di gioia che provo.
L'autista mi avvisa di essere arrivato.
Noah rimane sulla soglia guardandomi mentre me ne vado. In attesa di qualcosa.
Mentre siedo sui sedili posteriori, prendo il telefono e invio un messaggio a Oliver: "Sto tornando da te". È assurdo come quella frase mi abbia lasciato l'amaro in bocca non appena ho premuto invio. Lo sguardo implorante di Noah mi perseguita facendomi girare la testa.
Guardo attraverso il lunotto posteriore. Vedo solo il tetto spiovente del cottage che diventa sempre più piccolo. È a questo punto che una lacrima mi solca la guancia. Oliver risponde: "Sono con lei, non DEVI venire".
Qualcosa si rompe. Il filo, già logoro che mi univa a lui, si spezza quando realizzo cosa implica quella lacrima. Io non me ne voglio andare. Mi sto obbligando a tornare da lui solo perché so cosa mi aspetta. Lui vuole qualcuno da usare non da amare. Sono furiosa con me stessa perché fino a quel momento non ho trovato il coraggio di lasciarlo andare.
«Fermi l'auto» ordino all'autista. Quello inchioda.
«Tutto bene signorina?». Gli rispondo aprendo lo sportello e iniziando a corre nella direzione da cui ci stavamo allontanando. Il fiatone mi brucia i polmoni, ma non mi importa perché a ogni falcata verso il cottage di Adelaide, sento qualcosa di simile alla gioia riempire la crepa che mi si è aperta nel petto. Avrei dovuto capire prima che quello che mi teneva ancorata a lui non era amore, ma paura.
Corro. Corro per tornare da Noah. Quando apro la porta del cottage, è ancora a pochi passi dal portone poggiato al muro. Fissa il pavimento.
«Noah». Mi guarda. Ha gli occhi lucidi. «Hai impegni per Capodanno?».
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top