Capitolo 88. Bomba.
Lancio uno sguardo all'orologio al mio polso e mi rendo conto che sono passate quasi due ore da quando Elia è uscito dalla sala operatoria.
Prima sono stata nella sua stanza, ci sono rimasta praticamente mezz'ora, poi il dottore mi ha fatta uscire per far entrare Giovanni.
Inutile dire che il padre del moro ha il morale veramente a terra e, anche se non mi ha detto nulla, so che sta soffrendo anche perché la donna di cui è innamorato non si è presentata qua neanche una volta.
Però c'è da dire che da mia madre c'era da immaginarselo. È abbastanza prevedibile, ormai.
Sento delle urla provenire dal reparto, e sgrano gli occhi incredula. Chi è che urlerebbe in questo modo in un ospedale?
Tendo le orecchie per sentire meglio, presa dalla curiosità, ma non riesco a capire molto.
Improvvisamente la porta davanti a me si apre e mi compaiono davanti un giovane dottore e Marcello, intenti a litigare. Come ho fatto a non pensarci prima? Poteva essere solo lui.
Il moro ha i pugni chiusi e sta sbraitando contro il medico, con rabbia.
-La colpa è solo vostra. Vi giuro che se Elia morirà, tutti voi, in questo reparto di merda, farete la stessa fine- trasalisco sentendo le sue parole e il dottore gli lancia uno sguardo malefico.
-Siamo passati alle minacce?- anche lui sta urlando, anche se in modo più pacato -Ti conviene calmarti, se non vuoi beccarti una denuncia-.
Scatto in piedi e mi avvicino a loro, per impedire a Marcello di fare qualsiasi cosa di cui potrebbe pentirsi.
-Sa dove può mettersela la denuncia?- urla irritato.
Mi metto tra i due e spingo leggermente Marcello, così che il dottore possa tornare nel reparto e chiudere la porta.
Non ho mai conosciuto, prima d'ora, una persona così aggressiva e impulsiva come Marcello.
-Lasciami- si divincola facilmente dalla mia presa -il fatto che io prima mi sia scusato con te per il mio comportamento, non ti dà il diritto di intrometterti nella mia vita.-.
Il primo istinto, sentendo le sue parole, è quello di mollargli uno schiaffo, ma mi contengo. Mi contengo perché:
a) sono una brava ragazza
b) non so come reagirebbe al mio gesto.
Non smanio dalla voglia di conoscere la sua furia, proprio per nulla.
-Vai al diavolo- sbotto -l'ho fatto per salvarti il culo- almeno il fatto di risponderlo a tono me lo concedo, perché se lo merita.
-Non ho bisogno di una baby-sitter- il suo tono è tornato basso, ma il suo respiro è accelerato dalla rabbia -fatti gli affari tuoi.- mi lancia un'ultima occhiata ed esce dalla sala d'attesa velocemente.
Vorrei inseguirlo e urlargli contro le peggior cose ma, non so perché, non lo faccio.
La porta del reparto si apre nuovamente e mi giro di scatto, lasciando perdere la discussione appena avuta.
-Kristen, vai a casa. Se ci sono notizie ti chiamo, i dottori sono convinti che non si sveglierà per ora... Sei qua dalla quattro del mattino, hai un'aria veramente stanca, vai e riposa. Per favore- sento gli occhi pizzicarmi, senza sapere bene il motivo, e annuisco, incapace di andare contro la sua supplica.
-Mi chiami subito... Per qualsiasi cosa. Vorrei essere qua quando si sveglia- lui annuisce debolmente e io esco dalla sala d'attesa prima di scoppiare a piangere.
Detesto non poter fare nulla per aiutare Elia. Detesto sapere che c'è una piccola percentuale che dice che lui potrebbe non farcela. Detesto sapere che potrei non parlarci più, litigarci più...
Esco dall'ospedale, respiro l'aria a pieni polmoni e alzo gli occhi al cielo per ricacciare dentro le lacrime che minacciano di scendere.
-Ehi...- trasalisco sentendo la sua voce e la prima cosa vorrei fare è correre tra le sue braccia ma, appena mi viene in mente che magari potrebbe non volere, decido di stare ferma dove sono.
-Ciao Federico...- qualche gocciolina di pioggia inizia a scendere dal cielo, ma restiamo immobili, senza cercare riparo.
-Ho pensato tanto a quello che è successo prima... A quello che ci siamo detti e ho deciso che dobbiamo parlare- il suo tono così serio mi spaventa e dentro me spero che non sia nulla che metterà in crisi la nostra relazione.
Non chiedetemi perché, ma mi sento come se dovesse sganciare una
bomba che ci farà tremare tutti quanti.
Forse è il comportamento sfuggente che ha avuto nei miei confronti in questi giorni a farmelo credere. Non so.
-Va bene. Hai aspettato qua per tutto il tempo, Federico?- lui annuisce e mi fa gesto di seguirlo.
-Sono rimasto in macchina a pensare- spiega - all'inizio stavo per andarmene... Ma poi mi sono fermato un attimo e mi sono perso nei miei pensieri- è la prima volta, da quando stiamo insieme, che mi parla in questo modo.
Sembra un bambino smarrito. E, per quanto io mi sforzi, non riesco a trovare una sola ragione per cui sia così.
-Ok... Capisco- e non è da me non sapere che dire, soprattutto a lui.
Mi succede solo quando sono in imbarazzo o quando mi sento a disagio.
Saliamo in macchina e lui accende immediatamente il riscaldamento, così mi tolgo il giubbotto e cerco di rilassarmi.
Inizia a guidare e io mi perdo ad osservare il paesaggio fuori dal mio finestrino, visto che non so proprio che dire, ripeto.
Ogni tanto lo sento sbuffare o imprecare contro gli altri automobilisti, ma non gli rivolgo neanche uno sguardo.
Ho paura che la mia presenza possa infastidirlo, anche se non ha molto senso visto che è stato lui a propormi di parlare.
-Puoi parlarmi eh...- biascica -non ti mordo mica...- non so cosa di preciso mi fa stringere il cuore sentendo queste parole, forse il suo tono di voce maledettamente triste o forse perché sono giorni che non ci comportiamo come facciamo solitamente.
-Non so che dire- confesso -scusami...- .
Sono terribilmente dispiaciuta per questa situazione, ripeto. Terribilmente.
Improvvisamente imbocca una strada di campagna e, questa volta, gli rivolgo il mio sguardo, non capendo dove siamo diretti.
-Fede, dove stiamo andando?- lo scruto attenta e lui sospira.
-Dobbiamo parlare! Dobbiamo farlo lontano da casa. Dobbiamo farlo in un posto dove io non posso scappare perché non posso lasciarti sola lì, tu non puoi scappare perché senza di me, o almeno senza la mia macchina, non puoi andare via- mi mordo il labbro inferiore e annuisco comprensiva.
Il suo ragionamento non fa una piega, visto che, spesso e volentieri, quando litighiamo uno dei due scappa per evitare di continuare, per evitare il confronto.
*
Parcheggia davanti a una piccola casetta in legno e scende dalla macchina, così lo seguo.
Siamo in un posto completamente isolato, non potrei andarmene neanche volendo, non ricordo già più la strada.
-Vieni, entriamo- mi risveglio dai miei pensieri e lo seguo all'interno.
Un forte odore di legno mi invade le narici e mi guardo intorno ammirata. È una casa veramente carina. Una casa intima e accogliente.
-È di una mia zia- mi spiega vedendomi assorta - ho pensato che fosse ideale... Volevo dirti questa cosa lontano da casa- sospiro a fondo, sentendo l'ansia inondarmi e mi porto i capelli all'indietro.
-Che devi dirmi, Fede?- lo esorto a parlare, visto che tra qualche minuto rischio di svenire. Ho il cuore che va velocissimo.
-Mi dispiace, Kristen- fa per prendermi le mani, ma poi ci ripensa e infila le mani nella tasca del giubbotto in pelle.
-Dimmi Federico, non sopporto più questa attesa... Seriamente- sto seriamente avendo paura... E so che non è normale.
-Mery è tornata- sgancia la bomba e capisco immediatamente perché mi ha portata qua, se fossimo a casa scapperei a gambe levate.
Nota: ehilà! Ecco a voi svelato il mistero di Federico. Mery, la sua ex, quella che l'ha fatto soffrire, è tornata in città! Ditemi cosa ne pensate, al prossimo capitolo😘😘😘
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