Capitolo 69
Dopo undici interminabili ore di volo, finalmente sono arrivata a Seattle e ora sono in un taxi, diretta a casa. Mi ritrovo a guardare dei panorami familiari e anche se sono passati solo sei giorni lontana da qui, mi è mancato tutto questo. Durante il viaggio non ho fatto altro che pensare a tutto ciò che è accaduto, lui non ha lasciato per un'istante la mia testa, ho dormito solo un paio d'ore e mi sento davvero uno straccio. Non vedo l'ora di essere a casa e stendermi sul mio letto. Spero che Cindy e Bryan siano andati al lavoro, in questo preciso istante non ho proprio voglia di porgere spiegazioni, voglio solo andare a dormire.
«Signorina, siamo arrivati.» il tassista mi risveglia dalla trance in cui ero entrata.
Guardo attraverso il vetro, sono a casa, finalmente. Scendo dalla macchina e osservo il tassista che tira fuori la valigia dal bagagliaio.
«Grazie.»
La afferro e mi dirigo verso la porta. Infilo la chiave nella serratura e la apro, varcando la soglia contenta, sembra non esserci nessuno. Il braccio sta cominciando a farmi male, devo ricordarmi di prendere un antidolorifico.
Dopo averlo preso, mi rifugio nella mia stanza e accendo il cellulare, poggiandolo sul comodino. Nel mentre, mi spoglio e indosso un pigiama e poi sento un bip dal mio cellulare, è appena arrivato un messaggio. Lo afferro e guardo lo schermo sbigottita. Lo apro con il cuore in gola.
Messaggio da Mark: Ciao... Sei arrivata a casa?
Quello che non riesco a capire è, perché mi ha scritto un messaggio? Non ha fatto nulla per impedirmi di partire e adesso vuole sapere se sono arrivata? Sono tentata nel rispondergli, ma non lo farò. Chiudo la sezione messaggi e ripongo il cellulare sul comodino. In questo momento ho solo bisogno di abbandonarmi fra le braccia di Morfeo, basta pensieri, basta tutto, soprattutto, basta Mark. Mi sdraio sul letto e chiudo gli occhi, aspettando che il sonno mi raggiunga.
«Emy...» qualcuno mi sta chiamando, disturbando il mio sonno. Non voglio aprire gli occhi e dormire fino a dimenticare ogni cosa. «Emy, tesoro?»
Ma io questa voce la conosco... Apro gli occhi di scatto.
«Cindy...»
«Tesoro, cosa ci fai qui?»
Questa è una bella domanda, pensavo che avrei avuto più tempo per cercare delle spiegazioni. Ho praticamente perso la cognizione del tempo.
«Ma che ore sono?» chiedo, ignorando la sua domanda.
«Le due.»
Mi alzo sui gomiti, dopodiché le do un abbraccio. «Mi mancavi così tanto che sono voluta tornare prima.» mento.
Spero che il mio tono di voce sia stato abbastanza convincente, so per certo che se incrociassi il suo sguardo, scoprirebbe che sto mentendo e non posso dirle la verità.
Cindy mi stringe a sé. «Oh, tesoro, ma perché non mi hai avvisata?» Cavolo, fa mille domande, manco fosse un poliziotto. Comincio a boccheggiare, quando il suo sguardo si posa sul mio braccio fasciato. «Emy, cos'hai qui?» chiede con voce tremante.
«Io... mi sono ferita... ho urtato una roccia.»
«Oh mio Dio... quando è successo? Hai un livido anche sul collo.»
Cacchio, il succhiotto, avrei dovuto coprirlo con del fondotinta. Poggio una mano su di esso, meglio se non lo fissa a lungo, potrebbe capire che non si tratta di un livido.
«Ehm... ieri mattina.»
Posa una mano sul suo petto e sembra che le manchi il respiro. Oh, no, ti prego, non svenire.
«Ora ti vesti e andiamo all'ospedale.»
«Ma no, ci sono già stata, sta tranquilla, tra nove giorni dovrò togliere i punti»
Sgrana gli occhi. «I punti?»
«Sì.»
«Quanti?»
«Otto... ma sto bene, credimi.»
«Otto?» respira in modo irregolare.
«Mamma, ti senti bene? Vado a prenderti un bicchiere di succo?»
Non mi risponde, così decido di alzarmi dal letto e raggiungere la porta.
«Ferma dove sei!» Mi blocco all'istante. «Rimettiti a letto, non sforzarti.»
La guardo in modo strano, sta esagerando, come sempre. Ricordo che quando avevo quindici anni mi ferii un pollice con un coltello, un piccolo taglio, nulla di grave, ovviamente alla vista del sangue mi sentii male e Cindy mi portò all'ospedale, da allora, ogni volta che sto male, anche se si tratta solo di un leggero mal di testa, ne fa una tragedia.
«Mamma, non ho nulla di grave.»
«Non mi importa, ritorna a letto!» dice categorica. Faccio come mi ha ordinato, senza dire nessun'altra parola, mai contraddirla quando è così preoccupata, è già tanto che non sia svenuta nel sapere che mi hanno messo dei punti. Si alza dal letto e raggiunge la porta, dopodiché si volta nella mia direzione. «Cosa vuoi che ti prepari?»
Ora vuole farmi mangiare? Incredibile.
«Non ho molta fame.»
«Non dire sciocchezze, devi mangiare, affinché la ferita guarisca.»
La solita testarda, è proprio come suo figlio.
«E va bene, gradirei i maccheroni al formaggio.»
«Bene, come secondo?»
Sono finita in un ristorante?
«Solo i maccheroni andranno benissimo, grazie.»
«Va bene, come vuoi.» mi sorride in modo molto dolce ed esce dalla mia camera.
È sempre stata molto gentile con me, l'adoro anche per questo, è la miglior mamma che si possa desiderare. A proposito, sono le due passate e a quest'ora Sam starà facendo la pausa pranzo, devo telefonargli. Afferro il cellulare e mi rendo conto di avere un altro messaggio da parte di Mark. Ho quasi paura ad aprirlo. Forza e coraggio!
Messaggio da Mark: Emy, puoi dirmi dove cazzo sei?
Brutto stronzo, maleducato. Ignoro il messaggio e compongo il numero di Sam.
«Ehi, piccola.»
Fortunatamente ha risposto e dal tono di voce sembra contento nel sentirmi, però trovo molto strano il fatto che non mi abbia richiamato dopo aver visto la chiamata persa.
«Sam, finalmente ti sento.»
«Aspettavo un tuo messaggio, oppure una telefonata, non ti ho più sentita.»
Gli ho telefonato più di una volta! Cos'è questa storia?
«L'ho fatto.
«Strano, non ho ricevuto nessuna chiamata.»
«Molto strano, ti ho telefonato ieri sera.»
«Credimi, non ho nessuna chiamata da parte tua.»
«Ti credo, non preoccuparti.» Che sia stata quella strana ragazza ad eliminare le chiamate dal suo telefono? «Posso farti una domanda?»
«Certo!»
«Due giorni fa, mi hanno detto che eri insieme ad una ragazza. Posso sapere chi era?» vado subito al dunque.
«Oh, no!» Che cosa gli prende, adesso? «È una mia collega di lavoro... le ho detto mille volte che non mi interessa, le ho persino confessato di essere gay, ma non molla.» Ora mi è tutto chiaro. Poverino. «Mi dispiace, Emy, probabilmente avrà preso il mio telefono di nascosto, ecco perché non ho visto le tue chiamate.»
«L'ho pensato anche io.» Sono sollevata, pensavo che nascondesse qualche segreto, invece mi sbagliavo. Non bisogna mai dar peso ai pettegolezzi. «Non preoccuparti, è tutto a posto.»
«Domani finalmente tornerai a casa, non vedo l'ora.»
«Oh... no, io sono già a casa.»
«No!», «quando sei tornata? Perché non mi hai detto nulla?»
Ecco un altro che fa mille domande.
«Ti spiegherò più tardi, ho bisogno di vederti, devo parlarti.»
«C'è qualcosa che non va?»
«Diciamo. Mi invii l'indirizzo del posto in cui lavori? Passo da te tra un'ora.»
«Va bene, ti invio un messaggio con la posizione.»
«Grazie, ci vediamo tra poco.» riattacco e pochi minuti dopo arriva il suo messaggio.
Aggiungo subito l'indirizzo su google maps e poi scendo dal letto. Mi vesto velocemente e lego un foulard intorno al collo, per evitare spiacevoli inconvenienti. Non ho molto tempo, devo partire prima che ritorni Mark e spero di trovare un volo disponibile, anche in turistica, non mi importa.
«Emy, è pronto.» Cindy entra in camera mia e mi porge il braccio. «Ti accompagno in cucina, non vorrei che un capogiro possa farti cadere per le scale.»
Oddio, è matta!
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