Capitolo 66
La luce del sole mi disturba e il calore del corpo di Mark mi sta facendo sudare, allora apro gli occhi e mi rendo conto di essere avvinghiata al suo busto. Imbarazzata, mi tiro su di scatto, svegliandolo. Sbadiglia e mi guarda in modo strano.
«Che stai facendo?» chiede con voce roca.
«Niente. Andiamo via, okay?»
Annuisce e si tira su, non staccando gli occhi da me. Chissà se ha rimosso quello che è accaduto ieri notte. Be', ovvio che se ne ricorda, non era ubriaco, quindi devo smetterla di fare pensieri idioti.
«Ce la fai a scendere?» mi chiede.
«Sì.»
Questo punto di caverna è illuminato solo dallo spiraglio di luce che entra dal buco, durante il tragitto dovremmo accendere le torce del cellulare, sperando che siano carichi, ieri notte, presi dal momento, abbiamo dimenticato di spegnerli per risparmiare batteria.
Siamo quasi arrivati a terra, Mark scende l'ultima porzione di roccia e si volta verso di me, intento ad aiutarmi. Il suo sguardo mi distrae, facendomi inciampare e cadendogli addosso. Mi tiene stretta tra le sue braccia e i suoi occhi mi fanno venire i brividi.
«Sei davvero distratta.» mi prende in giro.
Rovina sempre i bei momenti. Be', stavi per romperti il collo, non era esattamente un bel momento. Va bene, ma questo è un dettaglio insignificante. Mi mette giù e attiva la torcia sul suo cellulare.
«Cazzo, la batteria è quasi arrivata al limite, la tua?»
Lo tiro fuori dalla tasca e guardo lo schermo. «Anche il mio, venticinque per cento.»
«Spegnilo, in questo modo non sprecheremo anche la tua di batteria.»
Annuisco e faccio come mi ha detto.
Il tragitto che conduce fuori dalla caverna è lungo e non ricordavo che lo fosse ieri sera. Iniziamo a camminare e mi rendo conto di avere delle fitte per tutto il corpo, nonostante abbia dormito su di lui, usandolo come materasso.
«Dammi il tuo telefono.» la voce di Mark interrompe i miei pensieri.
«Eh?»
«Il tuo cellulare!» ripete scocciato. «Mi chiedo a cosa pensi in continuazione, non ti sei resa conto nemmeno che eravamo al buio.» In effetti, avevo la testa altrove, ma a lui cosa importa? Spesso sa essere così irritante e maleducato. Gli porgo il cellulare, lo accende ed attiva la torcia. «Prega che la batteria residua non ci abbandoni qui dentro, altrimenti ci toccherà brancolare nel buio.» Speriamo di no. «In che cazzo di situazione mi hai cacciato.»
Adesso la colpa è mia? Non sopporto più i suoi lamenti, è pesante.
«Non ti ho cacciato in nessuna situazione, smettila di incolparmi!» mi difendo.
«Chi è che è uscita da sola come una stupida e con un temporale in arrivo?»
Be', messa così è un'altra cosa, ma non vuol dire nulla.
«Anche tu sei uscito.»
«Sì, ma non da solo.» ghigna.
Che stronzo, mi fa una rabbia, odio il fatto che mi spiattelli in faccia le sue conquiste, non riesco a sopportarlo.
«Sta zitto, idiota!»
«Che c'è, ti infastidisce?» chiede beffardo.
«Ho detto, smettila!» allungo una mano verso il suo viso per schiaffeggiarlo, ma non me lo permette, ha i riflessi pronti anche al buio, incredibile.
«Provaci un'altra volta e ti lascio qui.» mi minaccia.
«E tu smettila di provocarmi, stronzo.»
«Ora basta parlare, dobbiamo sbrigarci!» cambia argomento.
Riprendiamo a camminare, sperando che il cellulare non si spenga, non oso neppure immaginare come faremo ad uscirne se dovessimo rimanere senza luce, e poi restare al buio con questo maniaco pervertito, non è una bella cosa. Prima ci fai sesso e poi lo chiami in questo modo? Devo ammettere che non hai tutti i torti, insomma, prima lo amo, poi lo odio, poi lo difendo, ora lo chiamo maniaco, sto diventando pazza. Lo eri già da tempo, cara Emy. Come non detto!
«Cazzo, cazzo!» urla Mark.
«Cosa ti prende?»
Mi mostra il cellulare, guardo lo schermo ed è al cinque per cento. La torcia ci ha abbandonati, cavolo.
«Oh, no.»
«Lo sapevo, moriremo qui dentro. Fortuna che hai fatto sesso, altrimenti saresti morta vergine.» ironizza.
«Brutto stronzo!» gli do un pugno su quello che credo sia il braccio. «Attendiamo un paio di minuti, i nostri occhi si abitueranno al buio.»
Non so se funzionerà, qui è buio pesto.
«Davvero pensi di vederci qualcosa qui dentro?»
«Sta un po' zitto, sei davvero petulante.»
«E tu sei una deficiente che esce da sola, senza guardare le previsioni.»
«E questo cosa c'entra?»
«Adesso non ci troveremmo in questa situazione del cazzo.»
Quant'è lamentoso, mio Dio, non immaginavo che fosse così, idiota, superficiale, senza pudore, manesco e fifone allo stesso tempo.
«Hai paura?» chiedo beffarda.
Comincia a ridere. «Sai, dovevi fare comicità, sei troppo divertente e soprattutto ridicola.»
Sto perdendo la pazienza.
«Basta, non ti sopporto più!»
Sto per scaraventarmi su di lui, ma si sposta prontamente e così vado a sbattere contro la roccia, urlando per la botta. Avverto qualcosa di caldo scorrere lungo il mio braccio e capisco immediatamente di cosa si tratta. Sento l'odore del sangue ed un dolore atroce al braccio e ciò mi fa sentire male.
«Emy...» pronuncia il mio nome e allunga una mano verso il mio braccio, mentre io rimango immobile e col cuore in gola. «Ma questo è sangue...» Lo sapevo... Sto per perdere l'equilibrio e Mark mi afferra. «Cazzo... devo portarti fuori da qui, subito!»
Non riesco più a tenere gli occhi aperti e mi lascio andare ad un sonno profondo.
Apro lentamente gli occhi, mi guardo intorno e mi rendo conto di non essere nella mia camera d'hotel. Mi alzo sui gomiti e avverto una fitta al braccio sinistro, che mi costringe a cedere. Volto il mio sguardo su di esso ed è fasciato. Deglutisco e finalmente mi rendo conto in che posto mi trovo; questa è una camera d'ospedale. Ricordo che stavo discutendo con Mark, volevo prenderlo a pugni ma ho urtato contro la roccia e ora sono qui, devo essermi fatta molto male. Il cuore comincia a battere in modo violento, ho paura. Mi avranno messo dei punti? Oddio, Cindy lo avrà già saputo? Dove cacchio è il mio cellulare? Mi guardo intorno, noto la mia borsa sulla sedia vicino alla finestra. Sto per alzarmi, quando la porta si apre.
«Sei sveglia, finalmente.» Mark entra in camera.
«Cosa...» mi schiarisco al voce. «cosa mi è successo?»
«Quello che ti succede sempre, sei imbranata.» Lo guardo male e vorrei solo strozzarlo. Inizia a ridere e poi va verso la sedia, l'avvicina al mio letto e si siede. «Niente di grave, ti hanno messo otto punti di sutura sul braccio.»
«Otto punti?» chiedo scioccata.
«Sì.»
«Cindy e Bryan lo sanno?»
«No, non l'ho ancora detto a nessuno.»
«Non farlo, non voglio che si preoccupino. Tra due giorni saremo a casa.»
«Come vuoi, non dirò nulla.»
«Grazie.» D'un tratto lo sorprendo a fissarmi il seno, abbasso lo sguardo e mi rendo conto di essere in intimo. Afferro le lenzuola e mi copro, imbarazzata. Che pervertito malato. «Che cavolo guardi?» chiedo irritata.
«Ancora con questa storia? Non c'è bisogno di intimidirsi, ho già visto tutto e sinceramente, non hai granché.»
Come osa criticare il mio corpo? Prima lo sfrutta per farci sesso e poi lo denigra in questo modo?
«Stronzo!» sbotto e lui ride di gusto.
La porta della stanza si apre e un'infermiera fa il suo ingresso.
«Salve, come si sente?» mi chiede.
«Bene, credo.»
«Avverte molto dolore?»
«No, per il momento.»
«Perfetto, tra poco potrà tornare a casa.»
L'infermiera va via ed io scendo dal letto, afferrando velocemente il vestito poggiato sull'altra sedia. Lo indosso e ritorno a guardare Mark in cagnesco, dopodiché vado alla finestra. Riesco a vedere il mare, che bello. Guardo il mio riflesso sul vetro e noto qualcosa di strano sul mio collo. Corro al bagno e mi guardo allo specchio. Non ci posso credere, mi ha fatto un succhiotto. Ritorno in camera come una furia e mi punto il dito contro il collo, facendoglielo notare.
«E questo?» chiedo irritata.
Lui assume un'espressione divertita e di trionfo.
«Oh, guarda un po', Mark lascia il segno.» ridacchia.
«Ora te lo lascio io un segno, ma in faccia!» Lo raggiungo, pronta a sferrargli un pugno, ma ovviamente non me lo lascia fare, afferrando i miei polsi. I nostri occhi si incontrano e la situazione diventa di nuovo ambigua e sembra riscaldarsi. D'improvviso mi spinge all'indietro e ci ritroviamo sdraiati sul letto. Si mette a cavalcioni su di me, facendo attenzione a non farmi male al braccio e mi fissa insistentemente. Mi manca il respiro, è così dannatamente bello. Si morde le labbra e quel gesto mi fa rabbrividire. Mark Johnson mi farà morire. Per quanto mi piaccia averlo addosso, devo levarmelo, potrebbe entrare qualcuno e che figura ci faremmo? Osservo il suo viso, ogni dettaglio, il suo piercing, il modo in cui si morde il labbro, quel respiro, il suo profumo, è così buono, così eccitante. Basta pensieri sconci su Mark! Lo spingo via, avvertendo un po' di dolore al braccio. «È colpa tua se sono finita qui.» lo accuso.
«La colpa è unicamente tua, perché sei imbranata.»
«Non vedo l'ora di tornare a casa, questa vacanza è davvero una cosa assurda!» sbraito.
«A chi lo dici, sei così menomata che non resisto più di un minuto con te.»
Ma cos'ha che non va? Non gli ho fatto nulla per meritare anni di tormenti da lui. Le lacrime minacciano di scendere, ma le ricaccio indietro.
«Sei un animale!» dico con voce tremante, mentre esco fuori dalla stanza, chiudendo la porta alle mie spalle.
È così privo di sensibilità, non si rende conto che le sue parole mi feriscono enormemente? Mi asciugo gli occhi umidi e cammino per il corridoio dell'ospedale, fino a che non incontro un uomo cicciottello, di bassa statura, con i capelli e i baffi brizzolati. Dev'essere un medico.
«Signorina Johnson, cosa ci fa fuori dalla sua stanza?» mi chiede accigliato.
«Cercavo l'infermiera, mi aveva detto che potevo tornare a casa.»
«Giusto, ma per quello c'è bisogno di me. Sono il Dottor Gordon, specializzato in chirurgia.» mi porge la mano.
«Piacere. Dottore, il taglio sul braccio era molto profondo?»
Certo che era profondo, altrimenti non avrebbero messo dei punti.
«Sì, abbastanza, ma nulla di grave, stia tranquilla. Tra dieci giorni potrà toglierli.», «Venga pure con me, le farò firmare delle carte per le dimissioni.»
Lo seguo fin dentro il suo ufficio.
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