Capitolo 6
Apro gli occhi lentamente e una luce abbagliante mi costringe a richiuderli. Ho mal di testa e un dolore orribile al naso, come se fosse stato spezzato. Riapro gli occhi, coprendoli un po' con la mano e posso notare di trovarmi in infermeria. Il mio sguardo viene attirato immediatamente dalla persona seduta al lato del mio letto. Sam Watson è qui. Mi alzo sui gomiti e lo fisso quasi stupita.
«Ehi, come ti senti?» mi domanda preoccupato.
«Come se avessi appena smaltito una sbornia.» dico, senza sapere di cosa parlo, dato che non mi sono mai ubriacata in vita mia.
«Hai beccato una palla in pieno viso.» mi informa, notando la mia confusione.
«Cosa?» chiedo incredula.
«Forse eri distratta.» mostra il suo sorriso perfetto.
Sprofondo dalla vergogna, che razza di figura, perché devo sempre cacciarmi in queste situazioni brutte? Be', è tutta colpa di Mark, stavo guardando lui. La verità è che sei sempre distratta e una gran ficcanaso. Perché il mio cervello infierisce sempre contro di me?
«Cosa...» mi schiarisco la voce. «cosa ci fai qui?»
Non è ovvio? No!
«Sei svenuta dopo la pallonata, mi sono avvicinato a te per farti riprendere i sensi, ma eri inerme sul pavimento. Così, il professor Russell mi ha chiesto di portarti in infermeria.» Mi copro il viso con le mani, sono di nuovo in imbarazzo. «Non sentirti in imbarazzo.» mi dice sorridendo.
Sembra leggermi nel pensiero, fa quasi paura. Lo osservo a lungo, meravigliandomi ogni volta della sua bellezza. Improvvisamente qualcuno fa irruzione nella stanza e come una furia scosta la tenda davanti al mio letto. Resto allibita e senza parole. Mark, accidenti!
«Watson, sparisci!» gli ordina con tono duro.
Come si permette? E perché Sam non controbatte?
«Non voglio che Sam se ne vada!» esclamo convinta, meravigliando entrambi.
«Io, invece, voglio che si levi dalle palle.» sbotta Mark con aria di sfida.
«Ragazzi, tranquilli, me ne vado.» Sam si alza dalla sedia e si volta verso il mio fratellastro. «Non tormentarla.»
«Non ti riguarda quello che faccio con lei. Adesso vattene, sono già incazzato.» Come osa cacciarlo in questo modo? E poi è sempre incazzato col mondo, soprattutto con me. Che razza di problemi ha? Sam va fuori dall'infermeria, senza dibattere oltre. Io resto a fissare il mio fratellastro, incrociando le braccia al petto. «Cosa voleva quel tipo?» Davvero crede che gli risponda? Non mi piace affatto questo suo tono da dittatore, crede di essere Hitler? «Rispondi, Emy!» insiste.
È la prima volta, da quando vivo con lui, che mi chiama per nome. Questo è l'anno delle prime volte, a quanto pare.
«Emily!» preciso. «Per te Emily, hai capito?»
Non voglio che mi chiami Emy, lui non è mio amico, né un conoscente, non è niente.
«Sei solo una povera scema.» mi prende in giro, irritato. Ecco, mi mancavano i suoi insulti, ed io che pensavo fosse preoccupato per me, invece è venuto qui solo per insultarmi. Lo ignoro completamente, voltando lo sguardo dall'altra parte. Non mi va di vedere la sua stupida faccia da egocentrico. D'un tratto afferra il mio viso tra le mani, voltandolo lentamente nella sua direzione. I nostri occhi si incontrano, i suoi sono così celesti, ma non celano nulla di buono. Si avvicina così tanto a me, che temo la sua reazione. Cosa diavolo sta facendo? La pelle del mio viso, a contatto con quella delle sue mani, si infiamma e ho il cuore in gola, batte fortissimo. «Quella palla ti ha conciata proprio male, hai il naso gonfio.» borbotta calmo.
Poi si allontana da me ed io ritorno a respirare. Non mi ero accorta che stavo trattenendo il respiro, ho temuto davvero che stesse per baciarmi. Ma dai, è assurdo, come posso pensare una cosa del genere? Sono davvero ridicola. Lo vedo deglutire e non vorrei sbagliarmi, ma sembra a disagio. Poi smette di fissarmi e va via dalla stanza, lasciandomi con mille dubbi. Cos'è venuto a fare? Per tormentarmi, ovviamente, non c'è bisogno che me lo chieda.
Quando sono tornata a casa ci ho impiegato mezz'ora per convincere Cindy che non era stato Mark a conciarmi in quel modo, non voleva crederci. Per quanto odi lui e i suoi scherzi cattivi, sono del tutto convinta che non alzerebbe mai un dito su di me, posso metterci la mano sul fuoco. È un demonio ma non è violento con le ragazze. L'ho rassicurata, era molto preoccupata, infatti mi ha sfinita con le sue parole, voleva che prendessi a forza qualcosa per il dolore, ma le ho spiegato mille volte che in infermeria hanno saputo curarmi. Ora ho solo voglia di mettermi a studiare, non voglio altre distrazioni. Subito dopo aver aperto il libro di storia, sento il mio cellulare emettere un bip. Come non detto, non riuscirò a stare tranquilla oggi. Lo afferro e leggo il nome di Tiffany sullo schermo. Be', tanto vale leggerlo.
Messaggio da Tiffany: Ragazza spericolata, sei sparita dopo la pallonata, come ti senti?
Mi viene da ridere, solo per la sua rima improvvisa.
Messaggio a Tiffany: Ho un cerchio alla testa ma sto bene.
Messaggio da Tiffany: Ho saputo che Mark è venuto in infermeria, cos'è successo?
Come ha fatto a saperlo? E poi perché la sua frase mi è parsa maliziosa? Non crederà davvero ai pettegolezzi del liceo?
Messaggio a Tiffany: Cosa vuoi che sia successo?
Messaggio da Tiffany: Eheheh.
Non mi piace per niente quella risata, è sospetta. No, ti prego, fa che non si stia facendo strane idee, sarebbe davvero troppo.
Messaggio da Tiffany: Dai, stavo scherzando! Che ne dici se passo da te tra poche ore?
Certo, come no, qualcosa mi dice che non stava affatto scherzando. Devo stare attenta, non posso permettere un pettegolezzo del genere, finirebbe per rovinare quel poco di reputazione che ho. Quale reputazione? Ignoro il mio cervello e rileggo il messaggio. Non credo sia il caso che passi da me, ho da studiare e so già che in sua compagnia non sarà per niente possibile.
Messaggio a Tiffany: Scusa, Tiff, ma sono molto stanca, ho bisogno di dormire, ci vediamo domani. Baci.
Ho mentito perché se avessi parlato dello studio, mi avrebbe convinta a rimandare a domani.
Messaggio da Tiffany: Oh, va bene, non preoccuparti, ci sentiamo più tardi.
Un po' mi dispiace aver rifiutato il suo autoinvito, ma davvero non posso rimandare lo studio, non voglio trovarmi indietro. Domani mi farò perdonare. Ora basta perdersi in pensieri inutili, a differenza di qualcun altro, odio prendere brutti voti, anche se non mi è mai capitato in tutta la vita.
Dopo tre ore di studio intenso e un mal di testa atroce, noto che sono le sette di sera. Credo che per oggi possa bastare e poi ho anche fame. Strano che Cindy non abbia chiamato per la cena, forse non è ancora tornata a casa. Aveva detto che sarebbe andata dal medico, starà bene? Ma certo che sta bene, doveva solo fare un controllo, niente di preoccupate. Ma allora perché tarda ad arrivare? Prendo il cellulare e compongo il suo numero. Il cliente da lei chiamato non è al momento raggiungibile, la preghiamo di riprovare più tardi, grazie. C'è la segreteria. Ora inizio a preoccuparmi sul serio, non è affatto da lei. Forse Mark saprà qualcosa a riguardo. Senza pensarci oltre, esco dalla mia stanza e mi dirigo alla sua. La porta è ovviamente chiusa e sono costretta a bussare. Come volevasi dimostrare, la porta resta chiusa, nonostante lui sia in camera. Quanto mi da sui nervi questo suo comportamento infantile. Busso nuovamente, ma niente, allora mi armo di tutto il mio coraggio ed apro la porta senza il suo permesso. Lo trovo seduto alla scrivania, con indosso soltanto dei boxer neri.
Oddio.
«Non ti hanno insegnato le buone maniere?» chiede irritato, mentre si volta verso di me.
Qui ci vuole una risposta ad effetto che lo zittisca all'istante.
«Sai, è difficile usarle con uno come te!»
Resta in silenzio, esattamente come volevo. Colpito e affondato, beccati questo!
«Cosa vuoi, sfigata?»
Ma non conosce altri insulti al di fuori di quello? Ma quanto è antipatico, non lo reggo.
«Volevo sapere se hai notizie della mamma, non la sento da oggi pomeriggio.»
Si alza di scatto dalla sedia, spaventandomi. Il mio sguardo si posa sui suoi pettorali e non posso fare a meno di pensare che sia in forma e anche molto bello. Cacchio, ma cosa vado a pensare? Si avvicina pericolosamente a me, con uno sguardo cupo.
«Non chiamarla mai più mamma, lei non è tua madre!» ringhia a denti stretti.
Che bambino, ho ferito il suo ego.
«Vedi, caro fratellino...»
Sto per esprimere il mio pensiero, ma lui mi posa una mano sulla bocca per zittirmi. «Non azzardarti a chiamarmi in quel modo.»
Ma che problemi ha? È una domanda che mi pongo spesso, ma non riesco a trovare mai una risposta esaustiva. Improvvisamente mi da una spinta, facendomi ritrovare fuori dalla sua stanza e la porta sbatte dritta davanti a me.
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