Capitolo 1
Mi sono sempre chiesta, "come sarebbe stata la mia vita se non avessi conosciuto Mark?", molto probabilmente migliore! Mi ha sempre odiata e trattata male, dalla prima volta che ho messo piede in casa sua. Ricordo molto bene il giorno dell'adozione, ero così felice, dopo anni passati in orfanotrofio finalmente anche io avrei avuto una famiglia, ignorando che sarebbe andata a finire in quel modo; un fratellastro arrogante e irascibile mi aspettava, pronto a rovinare la mia esistenza ancora di più.
Cominciamo dall'inizio; i miei genitori biologici morirono a causa di un incidente stradale, mentre venivano in ospedale a riprendermi. Dato che ero di salute cagionevole, furono costretti a lasciarmi dieci giorni in osservazione, almeno così mi fu raccontato. Sono cresciuta con mio nonno, o meglio, quello che credevo mio nonno, poi un brutto giorno gli riscontrarono un tumore ai polmoni, inoperabile, e all'età di cinque anni mi lasciò sola. Non riuscivo ad immaginare la mia vita senza di lui e quando morì non mi permisero di vederlo, dato la mia piccola età, non sono riuscita mai a perdonarmelo. Mi aveva lasciata orfana, sola al mondo e in un certo senso ce l'avevo con lui, come se quella brutta malattia se la fosse procurata da sola, ma solo anni dopo ho capito che non ne avevo alcun diritto, poi fui affidata ad una struttura per bambini abbandonati e il mondo mi crollò addosso, peggio di come aveva già fatto. Non potevo crederci, sembrava tutto così surreale, ero solo una bambina ma mi sentivo già un'adulta. Dopo la sua scomparsa, mi chiusi in me stessa, diventando la bambina più sola e diffidente dell'istituto, non lasciavo che qualcuno mi avvicinasse. Ogni bambino, nonostante il luogo in cui si trovata, era spensierato e allegro, io non avevo mai provato quella sensazione, ma ho sempre pensato che un giorno le cose sarebbero cambiate, ne ero quasi certa. Com'è che si dice, "la speranza è l'ultima a morire", e la mia non era mai morta. Questo era l'unico pensiero che mi spronava ad andare avanti, l'unico a darmi forza per non crollare di nuovo.
Era il 10 aprile del 2012, quando la signora Anderson mi informò che c'era una famiglia interessata ad adottarmi. Non ci potevo credere, erano passati nove anni e mai nessuno aveva voluto adottarmi, anche perché ero grande e di solito cercano bambini non più grandi di due anni. Ho visto andare via tantissimi bambini e mi chiedevo quando sarebbe accaduta la stessa cosa per me, fino a quel giorno, il più bello della mia vita. Ero felice e triste allo stesso tempo, perché in quei nove anni avevo trovato un'amica della mia stessa età. Chloe aveva avuto un passato burrascoso come il mio, ma non era mai entrata nei dettagli, diceva solo che la sua storia era orribile e non voleva turbare le mie piccole e innocenti orecchie. Solo un bambino di nome John ne era al corrente, sembrava la sua ombra e indossava sempre delle maschere buffe per farci ridere.
Stavo per compiere quattordici anni quando andai via dall'orfanotrofio, una vita nuova e piena di felicità mi attendeva. Almeno così credevo.
Bryan e Cindy Johnson, entrambi di bella presenza; lui, alto, carnagione scura, occhi azzurro ghiaccio e capelli neri, un uomo bello e affascinante. Lei, poco più bassa di suo marito, capelli biondo cenere, pelle chiara e occhi castani, molto simili ai miei, per non parlare dello splendido sorriso di cui disponeva e ancora dispone. Mi sentii immediatamente a mio agio, erano perfetti. Appena entrai in macchina, Cindy iniziò a raccontarmi della terribile esperienza di cui era stata vittima due anni prima; un aborto spontaneo, dopo il sesto mese di gravidanza. Era una bambina. Da allora non ha più potuto avere figli e la cosa mi colpì dritto al cuore. I suoi occhi trasparivano tristezza e malinconia, mentre si accingeva a raccontarmi. Non ero molto loquace, ma volevo assolutamente porgere una domanda ad entrambi: «Perché avete adottato me? Insomma, ho già quattordici anni.»
La risposta di Cindy mi lasciò senza parole: «Ci ha colpito il tuo sguardo, la tua innocenza, eri proprio la ragazza adatta e non importa se hai già quattordici anni, noi ti ameremo come se fossi nostra figlia!»
Nel sentire quelle parole piene di amore, dovetti trattenere una lacrima. Sono sempre stata molto sensibile.
Finalmente arrivammo in quella che sarebbe diventata la mia casa e ricordo che mentre Bryan parcheggiava nel vialetto, osservavo la struttura esterna, affascinata.
«Mark sarà contento di avere una sorella.» ridacchiò Bryan.
Ma la sua risata mi sembrò un pochino' amara, però non gli diedi peso, forse era semplicemente stanco per il viaggio.
"Allora hanno un figlio", pensai. Ero molto entusiasta mentre Cindy mi informava della cosa. Un fratello della mia età! Iniziai già con i miei soliti filmini mentali; come sarebbe stato felice di conoscermi, come mi avrebbe trattata in modo amorevole, come mi avrebbe difesa dai bulletti della scuola... e invece, il bulletto era lui ed io dovevo difendermi da sola.
Appena entrammo in casa, notai immediatamente il lusso, era grande e pensai, "devono essere ricchi sfondati", e infatti ci avevo visto giusto. L'enorme soggiorno in stile moderno, presentava un divano in pelle bianco, con due poltrone abbinate ai lati, di fronte l'enorme televisore piatto di cinquanta pollici. Le finestre enormi bianche, in stile inglese, mi mettevano a mio agio, dandomi un senso di serenità. Il parquet chiaro acero, altrettanto. Le pareti verde menta glitterate, molto chiare, mi facevano impazzire, nonostante non mi piacesse quel colore. La parete dietro al divano era dipinta con lo stesso colore, solo che presentava dei disegni floreali con delle farfalle bianche, lasciandomi affascinata. In fondo a sinistra si aveva accesso alla cucina, anch'essa di bianco e in stile moderno. Fuori dalla cucina, sulla destra, c'era un piccolo corridoio e delle scale, con poggia mano bianco, in legno rintagliato, che portava al piano di sopra.
«Esplora pure la casa, tesoro.» mi spronò Cindy.
Non me lo feci ripetere due volte, correndo su per le scale. Volevo conoscere mio fratello e poi avrei dovuto scegliere una camera. In fondo, c'era la camera da letto di Bryan e Cindy, quella di Mark era sulla mia destra, di fronte altre due camere vuote e un bagno. Scelsi la camera più soleggiata della casa, volevo un po' di sole nella mia vita buia. Era bellissima, la moquette color grigio chiaro e le pareti glicine, mi piacevano molto, quell'abbinamento di colori sembrava fatto apposta per me; la parte grigia rispecchiava la mia triste vita, mentre quella glicine, era la luce che vi stava entrando, stravolgendola completamente. La grande vetrata che affacciava sulla città, dava ancora più luce alla stanza e alla mia anima. Com'ero felice, euforica, ancora non potevo credere che stava accadendo realmente, era come un sogno ad occhi aperti, essere lì mi riempiva il cuore di gioia. Ma non avevo ancora conosciuto il mio bel fratellino. Uscii dalla mia camera e mi diressi in quella di fronte, ovvero, la camera di Mark. Non era in casa, a quanto pareva. Rimasi affascinata dal modo in cui si presentava la stanza, anche se era un po' cupa, non c'era nemmeno un poster attaccato alle pareti grigie. Ma la mia attenzione fu catturata da una cornice sulla scrivania. La presi tra le mani e la osservai; ritraeva il signore e la signora Johnson con un ragazzino dai capelli castani e un viso sorridente. Quegli occhi celesti mi procurarono un brivido, doveva essere Mark. Mi piaceva già tantissimo e pensai che sarebbe stato un fratello perfetto. Ovviamente non potevo immaginare che quel ragazzino, dall'apparenza così dolce e il viso di un angelo, era un demonio.
«Chi diavolo sei tu?» una voce alle mie spalle mi fece sussultare. La cornice mi scivolò dalle mani, finendo sulla moquette. Per mia fortuna non si ruppe. Mi girai lentamente e lo vidi. Era Mark, ma i suoi occhi non erano dolci come nella foto, non sembrava per niente amichevole e il suo sguardo era cupo, come la sua stanza. «Allora, chi sei?» ripeté la domanda, ma stavolta con più insistenza.
Non riuscivo a parlare, ero paralizzata dai suoi occhi e poi non capivo perché me lo stesse chiedendo, come se non sapesse nulla del mio arrivo.
«I-io, sono... Emy.» riuscii a presentarmi con molta difficoltà.
Ma lui mi guardava accigliato. «Emy, chi?»
Continuava a fissarmi, il suo sguardo magnetico mi metteva in soggezione, ma mi piaceva pure.
Stavo per rispondergli, quando sulla soglia apparve Bryan con sua moglie Cindy. «Mark, figliolo, lei è Emily, tua sorella!» disse Bryan con un sorriso più falso di un asino che vola.
Mark rimase in silenzio, sembrava trattenere la rabbia.
Fu in quel momento che capii come stavano le cose; Bryan e Cindy non avevano accennato al figlio che avrebbero adottato una ragazza.
Mark continuava a fissarmi con quegli occhi pieni di rancore, quando finalmente parlò, rivolto ai suoi genitori: «È uno scherzo, vero?»
«No, Mark, ne avevamo già parlato, ricordi?» disse Cindy con voce tremante.
«Sapevate che non ero d'accordo!» Continuavano a parlarsi come se io non fossi nella stanza con loro. «E che cazzo ci fa in camera mia?» urlò Mark, ancora più furioso.
«Tesoro, calmati.» rispose Cindy, cercando di posare una mano sulla spalla di suo figlio, ma lui si ritrasse.
«Non toccarmi!»
Voltò il suo sguardo gelido su di me e con fare veloce, afferrò il mio braccio, fino a sbattermi fuori dalla stanza, poi fece lo stesso con i suoi genitori. La porta ebbe un tonfo assordante e mi parve di sentirlo imprecare. Rimasi senza parole e il mio entusiasmo si spense di colpo.
«Ti prego, scusalo.» mi disse Cindy. «Deve solo accettare la cosa.»
Annuii lentamente, ma dentro di me sapevo che non sarebbe mai accaduto. Perché non avevano parlato a loro figlio del mio arrivo? Non riuscivo a capirlo. Avevano paura della sua reazione? Be', inutile dire che fu molto violenta ed eccessiva.
Pensavo che la mia vita sarebbe cambiata in modo semplice e lo sarebbe stata, se Mark non avesse reagito in quel modo, e negli anni a venire non avesse provato a rendermi ogni giorno impossibile.
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