VALENCIA
Sento gli occhi addosso
di chi sente le nostre parole.
Di chi sente che posso
farmi male ogni volta che giocano sporco.
Ogni volta che crollo.
E non è detto che sia così facile,
rimanere con l'immagine
di te
in lacrime
che non c'è pace.
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||MARC||, GP di Valencia, gara 18/18
Sulla gara di Valencia sono state dette tante cose.
Che ho rovinato lo sport, che ho falsato la gara, che se avessi sorpassato Lorenzo anziché accompagnarlo fino alla linea della vittoria, della gara e del mondiale, Valentino avrebbe vinto.
E che io non volevo che Valentino vincesse. Che poi è anche vero, solo non come l'hanno descritto tutti.
Fingevo di non sentire ciò che gli altri avevano da dire, ciò che speculavano sul mio comportamento, ma alla fine dei conti nella solitudine nella quale mi sono rinchiuso tutto il weekend di Valencia mi sono riscoperto più fragile che forte. Più umano che altro.
Ma umani lo sono stati anche gli altri, forse era solo da me che ci si aspettava un comportamento diverso.
Con il seme del male, il pensiero che io fossi il cattivo, che volessi rovinare le cose per Rossi, impiantato nella testa di giornalisti, commentatori e tifosi dalle dichiarazioni del mio rivale, tutti hanno iniziato a interpretare a modo loro ciò che facevo.
E' più facile credere alla storiella del malvagio di turno che cercare giustificazioni, come i bambini davanti ai cartoni animati che chiedono sempre il lieto fine e la gogna per l'impersonificazione del male.
Io ero il cattivo.
Nessuno, ad esempio, ha detto una sola volta di quanto fosse difficile superare Jorge a Valencia, o di come il T2 e il T3 del circuito mi distruggessero le gomme, lasciandomi su una moto che ne aveva di più solo nell'ultima parte di ogni giro e di come questo non bastasse per impedire al quasi campione del mondo di vincere la gara. Avrei potuto provarci di più forse, avrei potuto combattere e dare spettacolo, ma ero stanco.
Fosse stato per me, non sarei neanche salito sulla moto la mattina della gara.
Volevo solo che l'uragano che si era abbattuto su di me finisse il suo corso e fuggisse via, togliendomi dai riflettori, dai giudizi e dalle critiche.
Lasciandomi a me stesso, al mio giudizio. Più crudele persino di quello degli altri.
Tramontato il sole sulla pista di Valencia il giorno della gara, seduto nel mio box, osservando i meccanici mentre preparano la moto per i test di domani e dopodomani, sono riuscito a fare un riassunto della giornata. Suddiviso in punti, perché il mio cervello ha bisogno di ordine in questo momento.
Punto uno: per la prima volta in vita mia, questa mattina non avevo voglia di gareggiare, di salire in moto. Neanche di vincere.
Punto due: a quanto pare, sono diventato la feccia del motosport. Sono bastate due parole di Valentino, un po' del suo famoso carisma, e quella che poteva essere una situazione volendo fare i buonisti a colpe miste, uno scontro tra l'estremo vittimismo di Rossi e forse rancore per non essere stato pari a Lorenzo e la mia estrema permalosità e competitività, è diventata una tragedia consumata minuto dopo minuto in gara, un complotto degno di grandi menti.
A questo punto, almeno so che mi ritiene estremamente intelligente.
Punto terzo: giuro, pensavo di averlo formulato, ma mi è già sfuggito di mente.
«Marc, reagisci» mi mormora ogni tanto Santi, gettandomi occhiate premurose con la schiena piegata verso la moto.
La verità è semplice, non riesco a reagire.
Mi sento apatico e stanco e con così tanta rabbia, così tanto rancore dentro che non so come lasciar andare lentamente, senza dover necessariamente implodere.
Lascio la mia postazione solo quando le gambe iniziano a risentire della totale immobilità dopo una giornata che è stata tutto l'opposto, cominciando a girare per il box senza una meta.
«Giornata pesante oggi» sento dire dalla voce familiare di Dani Pedrosa, il mio compagno di squadra. Non pensavo neanche che si riferisse a me, finché lanciando un'occhiata nel suo box non lo trovo poggiato contro il muro al confine tra le due stanze, intento ad osservarmi.
Non è mai stato un grande chiacchierone.
«Vorrei che niente di tutto ciò fosse successo» rispondo con la voce bassa, sincero.
Dani è una persona così discreta che quelle poche volte che parla sento sempre di dover essere diretto. O forse ho solo bisogno di non fingere, almeno davanti a lui.
«Senza offesa Marc, ma sei un ragazzino» continua lui senza giudizio nello sguardo, tant'è che se il suo intento era quello di offendere non me ne sono decisamente accorto «Non per prendere le parti del mio compagno di squadra, ma Valentino si sarebbe dovuto immaginare che dopo averti stuzzicato non glie l'avresti fatta passare liscia»
Resta a guardarmi per qualche attimo, cercando di capire se abbia o meno afferrato il concetto «e poi siete due permalosi di prima categoria, anche in questo momento stai pensando se arrabbiarti o meno per le mie parole» aggiunge.
Scoppio a ridere perché nonostante abbia colto perfettamente il senso del suo chiamarmi ragazzino, solitamente è qualcosa che farei.
«Sei tu quello saggio del box, non io» gli rispondo, passandomi una mano sulle guance che ora quasi mi fanno male per la risata imprevista. Dopo aver tenuto il muso per i passati quattro giorni i muscoli sembrano atrofizzati.
«Vatti a rilassare un po' Marc, fatevi un giro» sento dire da Santi dopo poco, forse sorpreso quanto me che qualcuno sia riuscito a smettere per un attimo di farmi sentire un mostro.
Solo un ragazzino.
«Andiamoci a prendere qualcosa in hospitality, così magari ti fai sfuggire per caso come fai a guidare la Honda così» continua Dani, facendomi un occhiolino mentre senza attendere risposta comincia a far strada verso l'uscita dal box.
Lancio un'ulteriore occhiata verso Santi il quale semplicemente annuisce in approvazione.
Dani ce la mette tutta a non farmi pensare a ciò che mi sta succedendo attorno. L'hospitality della Honda è un po' una casa sicura, un luogo dove nessuno si azzarda a dire cattiverie sul mio conto o persino a venirmi a parlare. Credo che Emilio abbia dato istruzioni precise a tutti, tirando un po' di orecchie.
Davanti ad uno Spritz servito segretamente dal ragazzo del bar che, a quanto pare, Dani è riuscito a convincere, chiacchieriamo del più e del meno. Non è difficile parlare con lui, certo è meno coinvolgente di Valentino, meno divertente di Iannone e neanche lontanamente stravagante quanto Cal, miei soliti compagni di paddock, sopratutto meno eccentrico di tutti e tre, ma ha un suo perché.
E così, nel giorno in cui il mondo mi voltava le spalle, Dani Pedrosa si riscopriva mio amico.
Decisamente l'ultima persona con la quale mi aspettavo di condividere questo momento.
«Cosa pensi di fare dopo i test?» mi domanda, sorseggiando il bicchiere dello stesso colore della sua, nostra, tuta.
Neanche io ho ancora avuto il tempo di toglierla, quindi immagino che nessuno si avvicini a noi anche per l'odore che sicuramente emaneremo.
«Sparire dalla faccia della terra?» gli rispondo con un mezzo sorriso, osservandolo mentre scuote la testa. Non aggiunge altro però, restando in attesa, così le parole iniziano a venir fuori da sole «Davvero, vorrei solo sparire per un po'. Mio fratello però vuole restare in Spagna per continuare ad allenarsi e non posso chiedere al team di partire con me visto che hanno delle famiglie alle quali già li sottraggo per metà dell'anno»
Mi fermo un attimo per bere un sorso di spritz e vedendo che Dani continua a non parlare continuo a ruota libera.
«Perché non solo mi odiano tutti, e la moto fa schifo, e la stagione è andata male, ma ho anche un'ex fidanzata, Reina, con la quale sto facendo un casino dopo l'altro e restiamo in questo tira e molla che fa più male di quando ci mandavamo gridando a quel paese, ma non abbiamo il coraggio di ricominciare. Poi c'è la mia manager, Camilla, che se potesse mi porterebbe all'altare anche ora nonostante le abbia detto che è solo sesso ed io odio l'idea di spezzarle il cuore. E' come se si aspettassero tutti qualcosa da me, qualcosa che non sono in grado di dar loro. E sono solo stanco»
«Vieni con me» è la risposta di Dani, arrivata dopo minuti di logorante silenzio nei quali mi lascia ad affogare nel mare magnum che sono ora i miei pensieri.
Alzo un sopracciglio, chiedendomi se la cosa sembri improbabile solo per me o se magari non ho afferrato qualche parte del suo discorso.
«Vengo dove?» gli domando.
«Ogni anno dopo la stagione passo un mese in giro per il Giappone, per ritrovare la tranquillità. Credo che potrebbe farti bene, e a me non dispiacerebbe un po' di compagnia»
Resto a guardarlo in silenzio, cercando di immagazzinare le informazioni.
Io e Dani. In giro per il Giappone. E già questo basta a mandarmi lasciarmi incredulo.
«Nel 2012 ci sono andato con Casey, anche lui era un compagno di squadra...complicato. Forse sto cercando di farla diventare una tradizione, il viaggio assieme al compagno di squadra»
«Ci sto» mormoro. Poi dentro di me sento come una vocina che urla cosa?
Dani si mette a ridere, probabilmente per l'espressione contrariata che avrò assunto dubito dopo aver parlato. E mentre mi dico che non esiste né in cielo né in terra che io lasci tutto allo stato attuale per andare con Pedrosa, Pedrosa, un mese in giro per il Giappone, l'estrema irrealtà del tutto comincia quasi a convincermi.
Sopratutto nella parte di scappare via da tutti per un po'.
«Facciamo così, pensaci meglio» risponde Dani, alzandosi dalla sedia e continuando a guardarmi divertito «Parto martedì sera, scrivimi e ti mando gli estremi del volo, credo tu possa ancora trovare un posto. Non ho nessun albergo prenotato, sarà qualcosa piuttosto all'avventura. Fammi sapere Marc»
Osservo il retro della sua tuta mentre va via, lasciandomi al tavolo dell'Hosptitality solo con un mezzo Spritz da finire.
Il pensiero della sua proposta si aggiunge al caos della mia testa, eppure sembra l'unica cosa che anziché buttarmi giù mi lascia un briciolo di speranza.
Potrà farmi solo bene, mi ripeto.
Finisco il drink in un sorso e lascio l'Hosptitality con molta calma, non troppo sicuro di voler abbandonare la mia zona sicura. In cielo però il sole è quasi tramontato tutto anche se sono solo le 18 e la pista buia, illuminata da grossi fari da stadio, mi lascia un senso di malinconia che mi pervade.
E di vulnerabilità.
Sono totalmente esposto al mondo.
Dovrei fare tante cose, risolvere questioni, parlare con gente, ma l'unica che mi preme veramente affrontare è anche quella che farà più male.
Reina, come d'accordo, mi aspetta con le spalle poggiate all'esterno del mio box e una valigia accanto. La Moto3 ha già sgomberato il Paddock, essendo i test dei prossimi giorni riservati alla MotoGp. Con un braccio attorno al petto e l'altra mano a mezz'aria a reggerle una sigaretta, mi osserva con gli occhi socchiusi, taglienti. Ma non siamo qui per discutere.
«Come stai?» le domando, fermandomi esattamente di fronte a lei e lasciando tra noi lo spazio sufficiente, è così che definisco la distanza che mi permette di continuare a ragionare anche se ce l'ho davanti, la distanza che non fa male. O meglio, che ne fa di meno.
Perché ad oggi il profumo di Reina, i suoi occhi da vicino, le sue mani sul mio corpo, sono qualcosa che mi ferisce come lame. Perché so che non siamo ancora pronti, so che non saranno ancora per sempre. Ed io non posso ri averla e ri perderla. Non lo reggerei, non ora.
«Abbastanza di merda, ma immagino che tu te la passi peggio» risponde, facendo un ultimo tiro alla sigaretta per poi gettarla via, facendola volare al mio fianco.
Faccio una smorfia, divertente come l'unica battaglia che io abbia mai vinto con lei sia quella di chi se la passa peggio.
«A che ora hai il treno?»
«Tra non molto, anzi presto dovrò andare» dice, e qualcosa nel suo tono mi fa venire un brivido. «Marc, chiedimi di restare»
Non mi faccio vedere sorpreso dalla sua richiesta, ho imparato da lei il sangue freddo, l'immobilità.
Però dentro, sono tutto fuorché immobile.
Eppure.
«Non posso» le rispondo, abbassando lo sguardo «Non ora. Non posso gestire te e la mia rabbia senza farci male»
Non vedo la sua espressione, ma fisso i suoi piedi mentre nervosa cambia il peso da un lato all'altro e si lascia andare ad una mezza risata sarcastica.
«Ora capisco cosa si prova a stare con me» mormora.
Faccio per rispondere, ma mi trattengo per non peggiorare la situazione.
Lei deve catturare questa mia incertezza perché la sua schiena lascia il muro del box e con la mano si aggiusta la tracolla che porta sulla spalla, l'altra va ad afferrare la valigia.
«Vabbè io me ne vado, non resterò qui ad umiliarmi»
Comincia a camminare con il suo solito passo deciso senza degnarmi di un'ultimo sguardo, lasciandomi con la vista della sua figura minuta che si immette sulla passeggiata principale del paddock.
«E non guardarmi il sedere, non hai più il permesso» grida dopo essersi allontanata un po', ma non abbastanza perché non riesca a sentirla.
Scoppio a ridere, ma ridere davvero, rendendomi conto che le stavo davvero fissando il fondoschiena. L'abitudine, immagino. O semplicemente la verità: che amo da pazzi qualsiasi cosa della ragazza che sto lasciando andare.
E bello almeno quanto il suo corpo c'è il biondo dei suoi capelli, che lentamente sta riemergendo sotto la tinta scura. Forse per quando sarò tornato sarà di nuovo la mia Reina.
Preso da un impeto rientro velocemente nel box, affianco Santi gettandogli una mano sulla spalla con così tanto impeto da spaventarlo.
«Dammi le chiavi della tua macchina» dico davanti alla sua faccia sorpresa.
Santi aggrotta la fronte, ma quando gli faccio segno di sbrigarsi si ficca una mano in tasca e ne esce un portachiavi di gomma con il numero novantatré.
«Grazie, grazie» grido tornando sui miei passi, fuori dal box e in giro per il paddock, correndo verso la ragazza con la valigia che si avvicenda tra le ormai poche persone rimaste.
«Lascia che ti accompagni in stazione» le dico prima che si accorga di me, allungando una mano per afferrare il manico della sua valigia.
Le nostre dita si sfiorano per un secondo, causandomi un pugno nello stomaco che incasso mostrando un mezzo sorriso.
«E prolungare l'agonia?» risponde lei regalandomi un mix del suo famoso sguardo omicida e del tono acido stronca-tutti. Poi però, vedendo che non aggiungo altro, mormora semplicemente un «almeno mi porti la valigia»
Come se avesse davvero bisogno di me.
Cerchiamo silenziosamente la macchina di Santi nel parcheggio e non ci rivolgiamo la parola neanche per tutto il viaggio fino alla stazione periferica di Valencia, dalla quale parte il treno per Cervera.
Sono indeciso tra cosa mi distrugga di più psicologicamente tra Reina e la faccenda con Valentino. E non trovo risposta finché davanti al cartellone delle partenze e degli arrivi lei si riprende la valigia e dice «il mio è il numero 8»
La domanda è sempre quella, sto facendo bene?
E il fatto che con lei me lo chieda costantemente mi manda in paranoia.
«Ti accompagno» dico, incamminandomi verso il binario. Lei però resta ferma a guardarmi, rispondendo al mio sguardo interrogativo con un'espressione abbastanza ferita.
«Se non vuoi venire via con me o se non vuoi che resti, va' via ora Marc»
Il suo tono è autoritario, è una diga dietro la quale sta cercando di trattenere tante emozioni che mi sembra quasi di riuscire a vedere, a percepire.
Ed io, come il mostro che mi sono rivelato, non dico niente.
Lei riprende a camminare ed io la seguo a distanza, quasi per inerzia, per averla davanti agli occhi ancora per un po'.
Passa un tornello mostrando il biglietto e so di non poterla più raggiungere, ma attraverso la parete vetrata che separa la stazione dai binari posso continuare a seguire i suoi passi.
Quasi non mi rendo conto di essere davanti alla parete finché il mio piede si ritrova a sbatterci contro, lei si accorge del rumore e si gira.
Non smette però di muoversi, continua a spostarsi in parallelo con il vetro ed io faccio lo stesso. Camminiamo, in realtà quasi corriamo, l'uno accanto all'altra con mezzo metro di vetro invalicabile.
Però poi la parete per me finisce mentre il suo binario è ancora più in fondo.
Sparisce per un attimo dove non posso vederla ma poi torna, torna e il mio cuore fa un salto.
Poggio una mano sul vetro, come se potessi sentirla nonostante tutto. Lei, d'altro canto, abbandona la valigia al suo fianco e si sporge fino a far aderire la sua fronte contro il vetro.
E mi accorgo che sta piangendo.
Ed io non mi sono mai sentito più incapace in vita mia.
Batto sul vetro in preda ad una valanga di disperazione mentre le lacrime riempiono i solchi della sua espressione di muto dolore.
Muto perché io non posso sentirla, sono dall'altra parte. E non posso farci niente.
Grido il suo nome ma la voce torna indietro rimbombano sul vetro, lascio che anche il mio viso si poggi sul vetro sporco della stazione e scivolo abbassandomi lentamente fino a che i miei occhi non sono davanti ai suoi.
Cerco di attirare la sua attenzione.
Quando il suo sguardo incrocia il mio divento consapevole di come questa scena non si cancellerà mai dalla mia testa, tormentandomi negli anni a venire come un fantasma, di notte, se non avrò lei al mio fianco.
E' questo maledetto giorno che ricorderò per sempre, come il giorno in cui ho distrutto e perso tutto ciò che avessi.
Però un po' di speranza ce l'ho.
«Ci vediamo a casa» le dico, lentamente, sperando che riesca a leggere il labiale.
A casa dove, quando, non lo so. Ma è una promessa.
«Ci vediamo a casa» ripeto, chiudendo gli occhi «ci vediamo a casa»
E quando li riapro, lei è andata via.
✖️✖️
«Marc, puoi impegnarti ancora per qualche giro?» Santi dice con tono più imperativo che interrogativo, fronteggiandomi all'interno dei box a mezz'ora dalla fine dell'ultima giornata di test. L'espressione con la quale gli rispondo deve rimandare la mia distruzione psico-fisica, nonostante il casco mi costringa abbastanza i muscoli facciali «Resisti. Senza dei buoni test faremo una stagione peggio di questa» continua lui.
Annuisco, senza però sapere se sarò davvero in grado di reggere altro tempo sulla moto in queste condizioni. Stanco e demotivato.
Giro la testa dall'altro lato del box, dove Dani affiancato dai tecnici studia i tempi sul monitor. Devo fissarlo per tanto tempo e in modo abbastanza inquietante perché non appena si libera ricambia il mio sguardo con un'occhiata piena di comprensione.
«Tra qualche ora si parte» mi dice, alzando il pollice verso di me.
Tra qualche ora saremo lontani migliaia di chilometri da qui.
E' bastato mettermi nel letto la notte della gara, dopo il gala al quale sono stato costretto a partecipare, per rendermi conto che partire forse era la cosa migliore che potevo fare. Per me e per tutti quelli che mi circondano.
Con la testa già altrove affronto il resto del test.
Le modifiche che ci hanno mandato per la moto non sono male, ci si può lavorare. Probabilmente quando sarò più tranquillo riuscirò a farci qualcosa di buono, se riuscirò a tornare in me.
Quando il tempo scade e sul box cala la serranda Santi ed Emilio, che vista la situazione ha deciso di tornare a prendere le redini come mio manager, indicono una breve riunione. C'è anche Camilla, che manterrà l'incarico al fianco del padre e che trovo più volte intenta a studiarmi.
Non mi esprimo troppo mentre stiliamo i futuri obiettivi. Si e no sono le mie parole più frequenti, nessuno sembra voler pretendere altro.
Credo che come sempre confidino in me, in quello che so e che posso fare anche se ora non sembro quasi presente. Hanno fiducia ceca e mi difendono a spada tratta, ma non è di questo che ho bisogno.
«Cami» attiro la sua attenzione mentre usciamo in blocco dal box, accompagnati dal vociare allegro dei meccanici. Per loro non è stata poi una stagione così disastrosa, anzi hanno cercato di trarre il meglio da quelli che erano i difetti della Honda 2015. Li ammiro per la loro dedizione, la loro passione, come ammiro Camilla che anche ora con un bel sorriso blocca la sua marcia e aspetta che la raggiunga. Eppure credo sappia cosa sto per dirle.
«Lo so» mi dice, allungando una mano per aggiustarmi un ciuffo di capelli ribelle caduto sulla fronte. Lo fa con un'estrema dolcezza che però ormai non mi spiazza più, so che è capace di darmi affetto anche nei momenti più inaspettati.
«Cami io ti voglio bene, tanto» comincio, sentendo quella freddezza che credevo di aver imparato a gestire scomparire lentamente per lasciar spazio ad una voce quasi rotta. Con lei non è come con Reina, non è una sfida alla supremazia, Camilla è tenera e dolce, sincera. Probabilmente, anche la scelta migliore per me. Non quella per il mio cuore però. «Ed è per questo che voglio parlare. Avrei voluto trattarti meglio, darti ciò che ti saresti meritata, ma non potevo. E non posso. Io non posso avere nella mia vita nessuno che non sia lei»
Sussurro quell'ultima parola, senza riuscire neanche a pronunciare il suo nome. Dietro le palpebre ho ancora l'immagine delle sue lacrime dietro il vetro, la sensazione di non poterla raggiungere.
«Marc, lo so» ripete «E l'ho sempre saputo, ma almeno c'ho provato»
Le sorrido leggermente, e anche se so che non è così facile per lei come vuole farlo sembrare, e me lo suggeriscono i suoi occhi lucidi, sono sollevato dalla parvenza di tranquillità con la quale mi lascia.
«Vuoi dirmi dove andrai almeno?»
Scuoto la testa, riprendendo a camminare con Camilla al mio fianco verso i motorhome.
«Ricorda di prendere Argo dalla dogsitter e portarlo dai miei, per favore. Avranno il loro bel da fare con Argo e Alex per casa» le dico, ridendo tra me.
E tieni d'occhio Reina, vorrei aggiungere ma credo sarebbe troppo. Anche perché qualcosa mi dice che si terranno comunque d'occhio a vicenda visto lo strano rapporto che hanno instaurato.
Camilla mi lascia da solo per raggiungere il padre e il resto del team con i quali tornerà a casa, ma non prima di essersi sporta in un veloce abbraccio.
Il motorhome è incredibilmente vuoto e silenzioso, tanto che sento il bisogno di chiamare Alex su FaceTime che tra conclusioni sulla stagione e racconti degli strafalcioni dei suoi compagni di categoria riempie lo spazio, tenendomi compagnia mentre chiudo la valigia.
Se avessi saputo che la mia meta dopo la gara non sarebbe stata casa ma il Giappone mi sarei portato altro oltre un paio di Tshirt della Honda, una felpa e un pantalone. Non sarà questo a fermarmi però.
«Questo viaggio tuo e di Dani ancora mi lascia un po' perplesso» commenta Alex prima che chiuda la chiamata, e lo schermo rimanda la sua espressione divertita.
Scrollo le spalle, tenendo il telefono alto davanti alla faccia.
«Forse è per questo che ho acconsentito» rispondo divertito «Dì a mamma e papà che li chiamo quando atterro a Kyoto, e che nelle prossime ore Cami porterà Argo a casa. Mi raccomando»
«Ciao fratellone buon viaggio»
La mano alzata a mo di saluto e il sorrisone di Alex restano bloccati mentre chiudo la chiamata e resto ad osservare l'immagine finché l'applicazione non si chiude.
Dopo di che è ora di andare.
Zaino in spalla e valigia alla mano lascio il motorhome che sgombreranno tra un po' e vado a bussare a quello di Dani che con una valigia molto più grande della mia mi raggiunge in pochi minuti, insieme ci incamminiamo verso l'uscita del circuito dove a detta di Dani ci attende una macchina per l'aeroporto.
Ad aspettare i propri mezzi c'è anche un gruppo di gente con la polo Yamaha, il team di Valentino. Cerco di far finta di niente ma i loro sguardi non passano inosservati, mi trapassano tutti, uno alla volta, mentre non molto distanti poggiamo le valige in attesa. Lui per fortuna non c'è, anche se avrei tante cose da dirgli.
Una maglietta blu si stacca dal gruppo e viene verso di me ed incredibilmente visto il colore della sua casacca non lo fa con aria minacciosa.
«Dove fuggi Marquez?» mi domanda Barbara non appena mi raggiunge e non prima di avermi studiato attentamente con lo sguardo.
«Chi ti dice che non sto tornando a casa?» le rispondo, stranamente felice di vederla.
«Non stai tornando a casa» afferma, lasciando poi un'occhiata a Dani e salutandolo con un cenno «Fuga romantica?»
«Fuga e basta» confermo ridacchiando. Da dietro le sue spalle non posso non notare il modo in cui ci fissa il resto del suo team «tu?»
«Valentino mi ha invitata al Ranch per un paio di settimane» risponde, aggrottando le sopracciglia «Ma ho rifiutato. Non mi sono piaciute certe cose che ha detto»
Annuisco in silenzio per paura di sbilanciarmi troppo. So quando Barbara tenga a Valentino.
«Reina lo sa?» domanda poi.
«No, ma quando tonerò sarà tutto diverso, è una promessa»
«Marc non fare cazzate» mi ammonisce «E tu e Reina dovreste smetterla con questa farsa e tornare insieme, siete solo degli stupidi»
«Lei di più» le faccio il verso, prima di essere incenerito da uno sguardo omicida che deve aver affinato da quando è amica di Reina.
Nel frattempo, una mercedes nera affianca il marciapiede e il guidatore scende per andare incontro a Dani che, durante la discussione, si è tenuto in disparte con lo sguardo sul telefono.
«Ci siamo» dice solamente quando il tassista afferra il suo bagaglio e fa per venire a prendere il mio.
Torno a guardare Barbara con uno strano affetto, in fondo ho imparato a volerle bene. E solo ora noto che si è ritagliata i capelli che con tanta fatica stava lasciando crescere, tornando ad un taglio mascolino.
Non credo che sia una coincidenza che l'abbia fatto proprio mentre Valentino la deludeva, esattamente come ero convinto che stesse cercando di fare colpo su di lui durante tutta la stagione.
«Non preoccuparti per noi, io e Reina potremo litigare per tutta la vita, ma se c'è qualcosa di certo è che la passeremo insieme» le rispondo solo ora, poggiando una mano sulla sua spalla e tirandola verso di me «Ora però vado a cercare il vecchio Marc. Quanto a te, sei fantastica»
Prima che possa replicare la stringo velocemente in un abbraccio dal quale cerca subito di liberarsi, e i suoi che schifo vengono coperti dalla mia risata.
«L'anno prossimo potrei trovarti un posto nella Honda, caso mai ti andasse di lasciare il tuo team»
Così la saluto, dandole poi le spalle per raggiungere Dani sui sedili posteriori della macchina.
Lui mi guarda con un mezzo sorriso che ricambio prima di poggiare la testa all'indietro e chiudere gli occhi.
Sono stanco.
Ma per la prima volta da giorni mi sento anche eccitato.
«All'aeroporto» dice Dani al tassista.
Domattina saremo dall'altra parte del mondo.
🙆🏼♀️🙆🏼♀️
Mi riservo il grande spazio autore per il prossimo capitolo, l'epilogo. So che non ho ancora risposto a tutti i vostri commenti allo scorso capitolo, purtroppo sono sotto sessione e anche scrivere questo capitolo mi è costato. Ma non vedevo l'ora che arrivassimo qui insieme.
Vi avevo spoilerato la canzone del capitolo su instagram e so che magari ve ne frega poco ma secondo me è perfetta per loro, ed è una delle mie canzoni preferite. Qualora voleste cercarla: Pace - Mecna.
Lascio che vi sbizzarriate con i commenti, questa sera mi riservo di rispondere a tutti. Sono un po' emotional.
A dopo <3.
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