THE ONE WHO WINS AND THE ONE WHO LOSE
- 82
||REINA||
"Si parte tra dieci minuti, ci sei?"
Eric mi batte un pugno sul casco ed annuisco semplicemente, già a cavalcioni della moto.
La mia piccola, un tempo con i colori ufficiali KTM, ora è integralmente nera.
Nera come questa notte, come questa strada, illuminata solo da fari approssimativi montati sulle moto dei partecipanti, accese e rombanti, pronte a rischiare tutto.
Barbara, inginocchiata davanti alla mia ruota posteriore, stringe l'ultimo bullone e ci siamo.
Quando torna al mio fianco mi allunga una mano che colpisco con forza.
Il suoi occhi brillano davanti a questa nuova
competizione e il suo sguardo è sicuro.
"Ce la facciamo" mi dice semplicemente, stando dritta accanto a me. Non avrei mai immaginato che Barbara sarebbe diventato uno dei pilastri della mia vita. Eppure qui, ora, sento il suo sostegno ed è bello condividere il peso di tutto ciò con le spalle forti e solide di qualcun altro.
"Le regole sono simili a quelle dell'Americana. Siete in sette, quindi sette turni a eliminazione diretta. Non c'è griglia di partenza, si parte come ci si trova al momento del via" inizia Eric, scrutandomi con i suoi occhioni nella penombra. La voce è decisa, il pugno fermo mentre mi spiega le regole, ma c'è qualcosa in lui che sprigiona elettricità.
Eric non ha l'aspetto del bravo ragazzo, al tempo stesso non dà l'impressione di essere uno capace di organizzare corse clandestine e giri di scommesse. Non ci credevo nemmeno io, prima di finirci assieme. Oggi sono addirittura qui a correre per lui.
"Nessuno scommetterà su di te all'inizio, e forse anche se dovessi arrivare in finale. Il che è un bene, perché io scommetterò su di te, e ci faremo tanti bei soldini"
Annuisco.
Sono sempre stata d'accordo con chi dice che i soldi non fanno la felicità, ma sta volta i soldi mi permetteranno di creare un team, il mio team, nel campionato di motocross, ed il solo pensiero mi fa sentire bene.
"SIGNORI SI PARTE" grida un ragazzo da quella che deve essere la striscia di partenza, delimitata da due fiaccole.
Signori eh, se solo sapessero.
Con una maschera nera sulla faccia, in tinta con il suo giubbotto di pelle e i suoi pantaloni stretti, alza con il braccio una bandiera rossa.
Il suo fluttuare lento e inesorabile al vento grida paura, ma anche adrenalina e tutte quelle sensazioni di cui vivo e che quasi avevo dimenticato.
Quasi.
"Vinci" mormora Eric, allungando il viso fino quasi a poggiarlo sulla visiera del mio casco.
I suoi occhi castani penetrano attraverso il vetro. Non ci vedo più ciò che ci vedevo una volta, Eric non è più la mia ancora, ma la sua bellezza resta disarmante.
Poi accendo la moto e qualsiasi altro rumore a parte quello del motore si annulla, diventando insignificante.
Tutto, al di fuori di questa gara, che già di per se non ha senso, sembra così inutile.
Insieme alla mia si accendono anche le altre moto, creando una sinfonia di rombi mentre ci affianchiamo sulla strada in una linea mal fatta.
Già i primi iniziano a darsi spallate a vicenda.
Sento il cuore pompare una forza nuova, quasi cattiva. Sono pronta a farmi male e sono pronta a far male.
Il ragazzo con la maschera nera lascia il centro della strada dissestata per mettersi al riparo, ma non è lo sventolio della sua bandiera a dare il via alla prima gara.
Un boato, poi una fiammata illumina il cielo e sette persone che non hanno niente da parerete inseriscono la marcia e iniziano a correre.
Nella testa risuona la voce familiare di quando rivedo le gare della MotoGp e il commentatore annuncia al mio tre, scatenate l'inferno.
Ma è questo il vero inferno.
Quella, una semplice passeggiata di piacere.
Poi stacco il cervello e quasi dimentico chi sono.
||MARC||
"Sei arrivato a casa?" mi domanda Alex, la sua voce leggermente distorta del telefono.
Infilo le chiavi nella toppa dell'appartamento a Barcellona in quel preciso istante, cercando di non far caso al tremolio nelle mani.
"Si Alex, devi stare tranquillo, sto bene" rispondo, cercando di sembrare convinto.
Non ho neanche il tempo di chiudere la porta che da lontano sento le zampette di Argo correre sul parquet per venire a saltare attorno alle mie gambe con il muso felice.
Mi piego per lasciare una carezza sulla testa del piccolo Labrador, che mi segue poi mentre raggiungo il bancone della cucina per lasciare le chiavi.
"Marc ascolta, so che è un brutto momento..."
"Alex" lo riprendo, impedendogli di finire il discorso "non ti devi preoccupare per me, me la cavo. Tu stai bene?"
"Si certo, tutto apposto"
"Va bene, allora ci sentiamo domani, sono distrutto. Buonanotte"
"Notte Marc"
Allontano il telefono dell'orecchio e chiudo la chiamata, lasciandolo poi scivolare nella tasca posteriore del jeans.
Finalmente solo, dopo un lunedì infernale, mi prendo un attimo per tirare un respiro profondo.
Dopodiché, urlo.
Ho gridato poche volte in vita mia per cose che non fossero esultanze o festeggiamenti e a dir la verità, a farlo da solo qui, nella penombra di questa casa vuota, non mi fa sentire più libero, solo più idiota.
Argo fa un salto all'indietro, spaventato.
Non riesco a star fermo. Afferro la prima cosa che mi trovo davanti -un blocco di riviste - e le butto giù dal bancone, ma neanche questo gesto mi fa sentire meglio. Forse dovrei rompere qualche piatto.
Oggi è stato il lunedì più brutto della storia ed io sono qui, in questo cazzo di appartamento, solo se non per il cane, che è qui quando al suo posto ci sarebbe dovuta essere un'altra persona.
Ma il suo lamento mi stringe comunque il cuore e dopo qualche attimo sono inginocchiato davanti a lui, con la mano tesa verso il suo muso, in attesa di riconquistare la sua fiducia. E Argo, piccolo e ingenuo e solo quanto me, non esista a correre subito tra le mie braccia.
"Scusami" sussurro mentre passo le dita sul dorso, accarezzando il pelo chiaro e morbido.
Argo mi lecca il braccio e si mette seduto, pronto a giocare, ma il campanello della porta attira la mia attenzione.
Sbuffo.
"Apri, tanto le chiavi le hai" grido, sapendo perfettamente chi c'è dietro la porta e chi molto probabilmente le ha chiesto di passare.
Alex.
Camilla gira la chiave nella toppa e si intrufola in casa, portando con se un odore simile ala brezza marina.
"Noto con piacere che sei ancora vivo, Alex è stato piuttosto tragico"
Appunto.
Come se fosse a casa sua, Camilla accende le luci del salone e della cucina, apre il frigo e afferra due birre, poi va a sedersi sulla sgabello davanti al bancone.
"Hai pagato la dog sitter?" le chiedo, raggiungendola.
Camilla annuisce dopo avermi allungato una lattina di birra.
"Hai ricordato all'Alpinestar di fare quella modifica sulle saponette che avevamo pattuito?"
Annuisce nuovamente mentre porta una mano tra i capelli e li scioglie, lasciando che la chioma di fili rossi le ricada sulle spalle scoperte.
Butta giù un sorso di birra, poi inizia a guardarmi con fare inquisitorio.
"So che non vuoi parlare della riunione di oggi, ma con me ti tocca. Sono il tuo manager"
Ho sentito questa scusa fin troppe volte nell'ultimo periodo, però sotto un certo aspetto mi piace, mi assolve. E' come se parlassi con lei non perché ho bisogno di parlare con qualcuno, ma perché devo.
Io non voglio avere bisogno di nessuno.
"Ce l'hanno con me ai quartieri alti, non sono contenti. Hanno investito tanto e stanno vedendo i loro soldi spargersi al vento"
"Non succede niente se ogni tanto arrivi secondo, o terzo, o ultimo. Nessuno te ne fa una colpa"
"Io si però. Io mi colpevolizzo abbastanza. E a quanto pare anche la Honda. "
Camilla sembra pensare attentamente alla risposta, studiandomi da dietro le ciglia folte che contornano i suoi occhietti da cerbiatto. Le dita cambiano costantemente la pressione sulla lattina, creando un rumore metallico costante che fa da sottofondo al silenzio.
"Non è solo per la Honda o per il campionato che ti ritrovi in questa situazione, e lo sappiamo entrambi" mormora.
Mi chiedo di che situazione parli, ma pensandoci negli ultimi tempi non è stato facile nascondere il mio malessere interiore. Forse non ci ho neanche provato più di tanto. Il volto stanco, il tremolio alle mani, la mia irritabilità, tutti segni intellegibili della lenta dipartita del Marc che sono sempre stato e che non riesco più ad essere.
Lentamente se ne stanno accorgendo tutti.
Bevo un altro sorso di birra.
"Ho perso già lei, non posso perdere anche il titolo" rispondo, riassumendo incredibilmente in una frase quelli che sono stati i miei pensieri ultimamente.
Dirlo ad alta voce fa ancora più male di quanto già mi stia corrodendo dentro.
Sbatto la lattina sul bancone, poi mi piego in avanti fino a poggiare la testa sulla lastra fredda, chiudendo per un attimo gli occhi.
Sento che sto perdendo lentamente il contatto con la realtà, ogni giorno che non sono con lei, ogni giorno che non sono più io.
Allora succede qualcosa di strano, di inaspettato. Sul dorso della mia mano, poco distante dal viso, si poggia la mano morbida e delicata di Camilla.
Trattengo gli occhi chiusi, non preparato alla situazione, ma quando poi lei la stringe leggermente apro le palpebre per guardarla.
Con il busto allungato verso di me, sorride leggermente.
"Potresti avere una vita normale, Marc" sussurra, facendosi più vicina. I suoi capelli ora sfiorano la mia spalla "Potresti star bene anche senza lei, se riuscissi a guardarti attorno"
Se riuscissi a guardare me, è come se dicesse senza aver bisogno di parole esplicite.
Resto immobile a guardarla, sentendo l'imponente bisogno di respirare aria fresca, aria che non abbia il profumo di Camilla.
Lei non cattura il mio panico e anzi porta anche l'altra mano su di me, infilando le dita tra i miei capelli.
Sento il cuore scoppiarmi nel petto, ma non è quell'eccitazione di quando una bella ragazza ti sfiora, quella sensazione che conosco bene. E' puro panico. Non voglio questo contatto.
Cerco di smuovermi, alzando la testa dal bancone e aprendo la bocca per dirle che forse è il caso di andare a dormire. Camilla però è già davanti al mio viso quando mi tiro su e si fa avanti ad occhi chiusi verso le mie labbra.
Mi scosto in tempo e le nostre guance si sfiorano.
Una morsa mi chiude lo stomaco mentre lascio scivolare la testa accanto al suo volto fino a finire con la fronte sulla sua spalla. Lì inizio ad andare in iperventialazione, aggrappandomi con le mani alla schiena di Camilla e iniziando a respirare velocemente, cercando di assecondare il battito del cuore.
"Ehi, ehi, tranquillo" sento la voce di Camilla distante mentre mi stringe a lei, cercando di aiutarmi credo. "Ci sono io con te"
E' questo il problema, penso.
C'è Camilla.
Ci sono tante altre ragazze.
Ma non c'è Reina.
E non me ne farò mai una ragione, per quanto possa fingere che vada tutto bene.
Appena sento la testa meno leggera e il cuore meno propenso a sfondarmi la gabbia toracica mi allontano dalla spalla di Camilla, che magari in un'altra vita avrei trovato calda e profumata e confortevole.
Ma non oggi.
Chiamo Argo mentre Camilla scende dallo sgabello e racimola le sue cose, in palese imbarazzo.
Quando il cagnolino arriva a scodinzolare attorno alle mie gambe mi abbasso per prenderlo tra le braccia. Abbassando lo sguardo sull'orologio al polso mi rendo conto che sono già le undici e per Argo, che ha gli stessi orari di un bambino, è tardi. Come è tardi per me.
Ed è tardi per far tornare Camilla a casa da sola.
"Resta a dormire qui" le dico, mordendomi la lingua subito dopo al pensiero delle varie interpretazioni che il mio invito potrebbe generare nella sua testa "nella camera degli ospiti, ovviamente. Il letto è già fatto e questa casa è sempre così vuota" parlo veloce, cercando di rimediare e giustificare la mia proposta.
Non voglio che Camilla mi accarezzi la mano, o i capelli, né tanto meno che provi a baciarmi, ma in questo momento anche se odio ammetterlo è ciò che ho di più vicino ad un'amica.
Camilla sembra accigliarsi, ferma con le sue cose tra le braccia vicino alla porta d'ingresso.
Sussurra il mio nome con timidezza.
"Facciamo finta di niente" dico, rispondendo ai suoi dubbi impliciti.
Scuoto leggermente la testa, poi le dò le spalle e con Argo tra le braccia lascio il salone per raggiungere la mia stanza. Argo ha una cuccetta vicino alla porta della camera dove sto cercando di insegnargli a dormire, ma come tutte le notti non appena lo poggio lì lui corre verso il letto e salta sul materasso. La scena mi strappa un sorriso.
Sfilo la maglietta e i jeans per entrare in dei comodi pantaloni del pigiama e quando mi getto sul letto sento dei passi nel corridoio, poi una porta che si apre e si chiude.
Camilla ha deciso di restare.
Rotolo sul letto fino ad arrivare al comodino per afferrare una Tshirt che decido saggiamente di indossare.
Poi chiudo gli occhi, mentre tutto lo stress, l'ansia, la rabbia di questa giornata - di questi ultimi mesi - si trasformano in stanchezza. Crollo tra le braccia di Morfeo nel giro di pochi attimi, sperando come sempre che questo sia solo un sogno e che presto, prestissimo, tutto tonerà come è sempre stato.
Io, campione.
Reina, al mio fianco.
|| REINA ||
Spingo la moto a mano, verso il furgoncino parcheggiato non troppo lontano da dove abbiamo gareggiato, in compagnia di Eric e Barbara. La moto non ne vuole più sapere di accendersi, il che significa che Barbara avrà il suo bel da fare per la prossima gara.
Però ne è valsa la pena.
Eric non la smette di gongolarsi al mio fianco, gettandomi ora un braccio attorno al collo, ora battendomi sul casco che porto ancora sulla testa come precauzione. Lo lascio fare, non percependo minimamente il peso della sua presenza.
E' come un insetto che mi ronza attorno, neanche troppo fastidioso.
Ed io sono troppo presa da me stessa per farci davvero caso.
Dalla parte di me che amo, quella vincente, quella cazzuta, quella che non crolla.
Credo di avere una contusione al piede per colpa della quasi caduta durante il quarto turno e un qualche ematoma tra le costole dovuto alla gomitata di quello che è stato il mio avversario fino alla fine.
Ma non è bastato giocare sporco.
Sulla mia moto sono imbattibile.
Arrivati al furgone Eric mi dà una mano a mettere la moto dentro, facendola salire sulla rampa.
Mi guardo intorno nella strada desolata, parzialmente buia, e quando mi rendo conto che gli unici esseri umani presenti siamo noi tre mi decido a sfilare il casco.
La treccia finalmente può cadere libera sulla mia schiena e creare la sorpresa che immaginavo avrebbe riscosso.
"Che cazzo hai fatto?" quasi grida Barbara, appendendosi allo sportello del furgone e portando l'atra mano sul petto. Il suo viso sconvolto mi fa sorridere.
"Bella e letale" commenta invece Eric, allungando le labbra fino a disegnare un ghigno malizioso sul suo viso. Il suo sguardo è da brividi, mi piace però la sua descrizione.
Mi ci rivedo.
Poi Eric mi dà le spalle e va ad aprire la portiera del furgone dalla parte del guidatore, arrampicandosi sul sedile. Io raggiungo Barbara per salire a mia volta, al centro tra i due.
Prima di salire sul mezzo però la mano di Barbara afferra il mio avambraccio.
"A Marc non piacerà" constata, studiandomi con uno sguardo fermo.
Io però sono troppo su di giri, con troppa adrenalina nelle vene, per subirmi una ramanzina.
"Marc chi ?" rispondo, guardandola con sfida.
Scrollo le spalle liberandomi della sua presa e prendo posto sul sedile a tre, catturando il mio riflesso nello specchietto retrovisore.
I capelli biondi erano bellissimi, ma così innocenti.
La nuova Reina è più scura, più profonda, come i suoi nuovi capelli castani.
"Questi sono vostri" annuncia Eric prima di mettere in moto, lasciando tra le mie gambe una mazzetta di soldi.
Mi viene da ridere.
Chi l'avrebbe mai detto che fare cose illegali sarebbe stato così divertente?
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Lo so, mi odiate. Io invece vi voglio bene
Non ho neanche il tempo di scrivere uno spazio autore decente (il capitolo l'ho finito sta notte, ringraziate che ho almeno avuto la decenza di rileggerlo) però niente sono contenta di essere almeno riuscita a chiudere questo capitolo.
Se volete dirmi tante brutte parole o avere aggiornamenti potete seguirmi su donna_wattpad su Instagram.
Ciao a presto ❤️❤️❤️
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