SPARKS




Where there is desire there is gonna be a flame

Where there is a flame someone's bound to get burned


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||MARC||, Phillip Island - Gara 16/18

«Marc Marquez» grida la voce dall'altoparlante, mentre consegnano nelle mie mani il trofeo del circuito. Lo afferro come se avessi la mia stessa vita tra le dita e porto la superficie splendente contro le labbra, pieno di gioia.

Finalmente.

Punto un dito verso il cielo, poi guardo in su dal gradino più alto del podio mentre la marcia reale comincia a riempire con le sue note familiari le mie orecchie. Che tutti la sentano, che tutti sappiano che ho vinto. Che ho fatto una gara meravigliosa. La gara più divertente dell'anno.

Salto giù dal gradino non appena l'inno finisce, afferrando la bottiglia di champagne prima che lo facciano gli altri. La agito e subito investo prima Iannone, poi Lorenzo, con il getto della bottiglia.

Sono felice di condividere questo podio con loro, non avrei potuto chiedere di meglio.

Andrea imita il mio gesto, facendomi una mezza doccia, mentre Jorge fa sbattere la sua bottiglia contro le nostre e comincia a bere. So che non si aspettava la mia presenza durante l'ultimo giro, aveva già la vittoria in tasca e non mi ha sentito arrivare, ma per quanto possa esserci rimasto male per un mancato primo posto scompiglia i capelli di Iannone che ha combattuto per guadagnarsi l'ultimo gradino del podio lasciando giù a guardare Valentino.

Credo che regalo migliore a Jorge non potesse farlo, sopratutto a tre gare dalla fine del campionato che ormai si gioca solo in casa Yamaha tra Jorge e Valentino.

Butto giù un sorso abbondante di champagne anche io, prima di far volare il resto del contenuto della bottiglia verso il team che applaude giù dal palco. So che la moto non era perfetta neanche sta volta, ma ne siamo usciti insieme. Ce l'abbiamo fatta.

Ce l'ho fatta.

E mai come oggi avevo bisogno di questo. Di questo calore nel sangue, nelle ossa. La sensazione di essere invincibile almeno per qualche minuto.

Devono quasi cacciarci dalla zona podio per farci sgomberare, e mentre scendo le scale vado a dare una spallata ad Andrea. Lui ricambia con forse troppa forza, facendomi sbattere contro la ringhiera delle scale, ma non importa.

«Ad un certo punto mi sono girato e ho visto che c'era Rossi dietro di me, poi in una sola curva hai preso sia me che lui e ti sei messo avanti. Avrei voluto essere uno spettatore in quel momento, un sorpasso folle» gli dico ridendo.

Andrea, felice come poche volte l'ho visto in vita mia e leggermente stordito dalla gara, dallo champagne, e dal gabbiano sul quale si è schiantato durante i primi giri, scuote la testa quasi incredulo.

«La Ducati era incredibile oggi, mi sentivo un dio, e sai quante volte mi sono trattenuto dal sorpassarvi per non buttarvi giù. Ero pronto a cannonarvi tutti»

Me la rido di gusto, contento di come sia andata a finire nella realtà e non nella mente di Andrea. Do' una pacca sulla sua tuta rossa, poi sento le sue mani afferrarmi le spalle e spingermi nuovamente, questa volta costringendomi a scendere gli ultimi gradini con un salto per non cadere.

«Tu sei di un altro pianeta Marc, ti odio» mi grida contro dopo avermi lanciato scherzosamente via. 

«Piano bambini» ci riprende poi Jorge, girando leggermente la testa verso di noi mentre continua a camminare con nonchalance verso la zona interviste. Il suo modo di scherzare è spesso nascosto dalla sua espressione seriosa, come in questo momento. Infatti Andrea, che viene chiamato cavallo pazzo per un motivo, non coglie la nota scherzosa nel suo tono e prima mi lancia uno sguardo acceso, poi mormorando un «a lui però una cannonata posso ancora darla» gonfia le spalle e fa per avvicinarsi minacciosamente a Jorge.

Riesco a mettermi in mezzo tra il suo petto e la schiena di Lorenzo, che cammina ignaro di tutto, giusto in tempo per fargli capire che stava scherzando.

Decisamente non ha ancora sbollito l'adrenalina della gara.

«Certo che sembra stronzo anche quando scherza» commenta, facendo una smorfia. Ed io, che per fortuna la prima cosa che ho imparato dell'italiano sono le parolacce, semplicemente scrollo le spalle ridendo e gli faccio segno di continuare a camminare.

Le interviste sono solitamente una scocciatura per tutti, a me però non sono mai dispiaciute e sopratutto in gare come oggi non mi risparmio dal regalare sorrisi a destra e a sinistra. Io sono il primo in quasi tutte le emittenti, e nonostante le domande sempre uguali dei giornalisti cerco di mostrare con tutti lo stesso entusiasmo.

«Dopo aver preso la pole sabato, sapevo di poter vincere. Poi in realtà durante la gara non si è capito niente, ci scambiavamo posizioni con Valentino, Andrea e Jorge due, tre volte al giro ogni giro, però Jorge è stato furbo quando ha preso margine ed è andato via mentre io sono rimasto a combattere. Ad un certo punto pensavo di non averne più, la gomma si è surriscaldata e non riuscivo più a girare la moto come volevo, così ho cercato di non esagerare. Ho iniziato a pianificare l'ultimo giro a cinque giri dalla fine, e poi è andato tutto come previsto. Quando sono arrivato al traguardo primo quasi non ci credevo di essere riuscito a superare Jorge nelle ultime curve» è più o meno la mia risposta a chi chiede di commentare la gara.

A qualcuno confesso persino che è stata la gara che più mi è piaciuta di questa disastrosa stagione. E che ne avevo bisogno.

Finite le interviste trovo Camilla ad aspettarmi poggiata all'ingresso del box, con la polo della Honda annodata in vita e i capelli legati in una coda bassa, intenta a sorridermi leggermente.

«Quanto sei felice in questo momento?» mi domanda quando le passo vicino, allungando una mano per afferrare il mio polso e fermarmi. Mi guarda incerta, poi avanza lentamente verso di me fino a circondarmi con le braccia e stringermi in un abbraccio per una frazione di secondo.

Mi lascia andare prima che la cosa possa infastidirmi, anche se oggi la soglia di sopportazione è molto più alta del solito.

«Abbastanza felice» le rispondo, sorridendole a mia volta.

La verità è che so che finito l'entusiasmo, finiti i festeggiamenti e svanita questa sensazione, tornerà ad essere tutto grigio. Anzi, grigio e nero, come gli ultimi mesi. Momenti di disinteresse alternati ad una rabbia crescente. Però mi prendo tutto ciò che c'è di buono. Nonostante gli eventi di pochi giorni fa sono arrivato qui e mi sono preso la pole, il giro veloce e la vittoria. Forse sto imparando davvero a tramutare la rabbia in forza qui in pista. Forse sto imparando a correre come corre Reina. Incazzato, furbo, a tratti crudele.

Oggi tutto ciò è servito a portarmi alla vittoria.

«Mi dai una mano a togliere la tuta?» chiedo, facendo cenno con la testa a Camilla verso lo stanzino privato all'interno del box.

Lei annuisce, incamminandosi mentre prima di seguirla mi affaccio all'interno del box per lanciare un ennesimo sorriso rivolto a Santi.

«Che stai facendo?» gli domando però, quando lo vedo con gli occhi incollati al pc.

«Niente di importante, la DORNA ci ha chiesto un prospetto delle telemetrie» risponde lui alzando un pollice a supporto delle sue parole «Va' a rilassarti che tra un po' c'è la conferenza»

Senza aggiungere altro, torno sui miei passi e raggiungo Camilla all'interno della stanza. Non appena chiudo la porta alle mie spalle, le sue braccia tornano nuovamente a stringersi attorno al mio collo.

«Il fatto che io sia felice non implica che ti abbia perdonato del tutto» la riprendo, lanciandole un semplice sguardo ammonitore.

Camilla scrolla le spalle e mi sorride, come se non l'avessi appena rifiutata. Le sue mani mi accarezzano le spalle, il petto, fino ad arrivare al gancetto della tuta sotto il mento. Lo allenta con maestria e tira giù la cerniera, aiutandomi a venir fuori dalla mia seconda pelle.

«Un giorno capirai che tutto ciò che faccio, lo faccio per te» mormora con leggerezza mentre sfilo l'ultimo braccio dalla tuta. Non vede il mio sguardo interrogativo perché non alza lo sguardo, ma continua comunque a parlare «Non importa ora però, ora sono solo felice che tu sia felice»

Non continuo il discorso, non è questa la sede né il momento giusto. Mi cambio davanti a lei, indossando la polo del team e dei pantaloncini, per poi gettarmi sul divanetto di pelle a sorseggiare una redbull finché Camilla non mi avvisa che è il momento di andare alla conferenza.

Passeggiamo spalla contro spalla per il paddock, lei stranamente silenziosa, io senza troppe parole.

«Vuoi che ti dia una notizia prima di entrare o preferisci che sia una sorpresa?» mi chiede lei ad un certo punto, quasi davanti all'entrata della conference room.

Mi giro a guardarla, cercando di leggere nella sua espressione il tipo di sorpresa che potrebbe attendermi. Non sono mai stato bravo a capire le persone però.

«Credo che andrò per la sorpresa» le rispondo, regalandole un occhiolino prima di entrare in sala.

Andrea e Valentino stanno parlando in maniera abbastanza accesa dietro il cartellone degli sponsor, lontani dalle telecamere. Li lascio stare e seguo invece Lorenzo, dandogli una pacca sulla spalla mentre prendiamo posto sulle sedie centrali del lungo bancone.

Il resto delle sedie è vuoto, così come di fronte a noi il gruppo dei giornalisti sta ancora prendendo posto.

«Sto ancora pensando a quell'ultimo giro, cabroncito» mormora Lorenzo dopo aver abbassato il microfono da davanti alla sua faccia, scuotendo la testa.

Rido sommessamente mentre scrollo le spalle, aggiustandomi poi sulla sedia pronto a cominciare quando vedo Andrea accasciarsi rumorosamente sulla sedia al mio fianco e Valentino prendere posto su quella accanto a Jorge.

L'ultima sulla sinistra viene riempita dal vincitore della gara di Moto2 di oggi, Alex Rins.

A destra invece, quando siamo ormai tutti seduti, compare improvvisamente Reina.

Cosa?

Spero che le telecamere non siano ancora accese e che nessuno mi abbia ripreso mentre la mia bocca si spalanca alla vista della ragazza che si mette comoda sulla sedia.

Lei non mi guarda subito, prima si prende un buffetto di Iannone che le fa cadere il cappellino con il numero 12 e ne ride, rispondendo subito scompigliando il perfetto mosso studiato dei capelli di Iannone.

Poi sposta lo sguardo più a destra, e trova me a fissarla.

Per un attimo vorrei poter fingere che niente di ciò che ci continua a farci male sia mai successo, che fossimo i Reina e Marc della scorsa stagione, i Reina e Marc di sempre, e alzarmi da questo tavolo e scansare tutto fino a poter condividere con lei questo traguardo che è finalmente riuscita a raggiungere. E' così che doveva andare.

E per quell'attimo la guardo e le dimostro la mia approvazione con un cenno della testa, esattamente come lei ha fatto con me per tutto il tempo, dopo tutte le gare. Infatti, Reina sorride e ricambia il gesto.

Dopo di che torno a guardare dritto davanti a me, sentendo l'odio che riaffiora, e la delusione, e il dolore. Tutte cose che lei ha portato dentro di me.

Oggi però sono troppo su di giri per lasciarmi scalfire troppo dai pensieri negativi, e non appena comincia la conferenza poter parlare della gara mi fa tornare il buon umore.

Le domande sono più o meno sempre quelle, come è stato arrivare primo dopo tutte quelle battaglie, che problemi ho avuto con la moto. Mi chiedono persino cosa ne pensi della vittoria di Reina.

«Non ho visto la gara, ma sono e sarò sempre fiero di lei» rispondo, lanciando uno sguardo di traverso alla ragazza che sorride con la testa bassa mentre la visiera del cappellino le copre gli occhi.

Parte un applauso dal pubblico e prima che si accorgano della nota triste nella mia espressione imito la posizione di Reina, spalmandomi leggermente sulla sedia e abbassando la testa.

Non so cosa si sappia della nostra relazione ora, ho smesso di dare un'occhiata ai gossip da quando non stiamo più insieme. Prima li leggevo solo per poterla proteggere davanti ad eventuali cose brutte che potessero dire su di lei, ma da un po' ho perso questa abitudine. Credo tuttavia che sia chiaro a tutti che il nostro rapporto non è più quello che c'era all'inizio della stagione, passando una vita davanti alle telecamere certe cose si notano subito.

Per fortuna, è il turno di intervistare gli altri così l'attenzione passa su Jorge, poi su Andrea.

Valentino è l'ultimo dei big a parlare, al quale chiedono se lui e la Yamaha saranno competitivi come oggi qui a Phillip Island.

«Una gara come oggi? Bisogna chiedere a Marc, lui ha giocato con noi, un bel po'» rido dell'affermazione di Vale, pronto a scherzarci su, quando lui continua con il discorso «il suo obbiettivo forse non era solo di vincere la gara, ma anche di aiutare Lorenzo ad andare lontano e fare più punti alle mie spalle»

Nella stanza cala il silenzio più assoluto. Persino nella mia testa diventa un attimo tutto fermo, tutto zitto.

«Cosa intendi?» domando ad alta voce, senza volerlo. Doveva essere un semplice pensiero.

E sinceramente credo di aver capito male, lo spero. 

«Da oggi è chiaro che Jorge ha un nuovo fan ed è Marc, e questo cambia un bel po' perché Marc ha il potenziale di andare davanti a tutti da solo e sicuramente ci saranno gare di altro tipo»

Se dentro di me era rimasta un po' di umanità, un po' di speranza che tutto sarebbe andato bene alla fine, che la felicità di oggi sarei riuscito a trattenerla il più a lungo possibile, in questo momento lascia il mio corpo come se avessi spalancato un cancello.

Valentino sta praticamente dicendo, in diretta mondiale, che secondo lui ho barato. Ho fatto gioco sporco.

La cosa mi fa rabbrividire.

«Marc mi ha aiutato? Si, soprattutto nell'ultimo giro e un bel pò...» dice Lorenzo, incrociando le braccia sul petto prima che io possa anche pensare a cosa rispondere. Sul viso di Jorge vedo di segnarsi un sorrisetto strafottente e nello stesso istante una risatina bassa si leva dal gruppo di giornalisti.

Non possono credere a Valentino, è una cosa totalmente fuori di testa. 

«Ma cosa sta blaterando?» sento Reina mormorare, ma la sua protesta credo arrivi solo alle mie orecchie e a quelle di Iannone.

Prendo la situazione in mano, avvicinandomi al microfono e facendo fuoriuscire dalle mie labbra una risata. Poi divento serio, trovando la forza di controllarmi da qualche parte dentro di me.

«Io ho fatto la mia gara, non ho giocato. Non ho preso dei rischi. La Honda sta spingendo molto. Io penso alla vittoria e non ad aiutare gli altri»

Nel momento in cui finisco di parlare, anziché sentirmi più leggero, sento come un peso sul petto, come se il mio cuore fosse appena diventato di ghiaccio.

Il resto della conferenza per me è come un brusio fastidioso, Iannone sostiene semplicemente che «Marc era il più veloce tra noi quattro, non so perché abbia aspettato l'ultimo giro per andare a prendere Jorge».

L'unica cosa che vorrei dire a Valentino, e che vorrei sentissero tutti, è che non è colpa mia se non ha fatto abbastanza da arrivare al podio. Perché dovrebbe essere colpa mia? Non credo né di averlo buttato fuori pista, né che decidere di sorpassare qualcuno all'ultimo giro anziché al penultimo sia un reato.

Parla Rins, parla Reina, e una volta annunciata la fine della conferenza non aspetto un momento di più, faccio indietro la sedia e mi alzo, lasciando il tavolo prima della foto di rito.

Sento i commenti di qualcuno in sottofondo, ma l'unica cosa che percepisco davvero è la mano di Reina che mi afferra il polso e mi segue dietro il pannello, verso l'uscita.

«Marc andrà tutto bene» mi dice, correndo cercando di stare al passo. Mi libero della sua stretta prima di uscire alla luce del sole, prima di affrontare i giornalisti nel paddock.

«Non mettertici anche tu o comincio a gridare» le dico, lanciandole uno sguardo gelido. E con la stessa espressione spalanco la porta e vengo investito dalla folla di giornalisti in attesa.

Cosa ne pensi Marc?

Stai aiutando Lorenzo?

Perché fai questo a Valentino?

Con la testa piena delle loro domande cerco di farmi strada nella folla scansando tutti i microfoni, coprendomi dalle telecamere.

Io non ho fatto niente. Niente.

«Toglietevi, avete rotto» sento dire da una voce che somiglia tanto a quella di Santi, che infatti appare in mezzo alla massa pronto ad afferrarmi le spalle e trascinarmi via da lì. Solo in quel momento arrivano dei marshal per cercare di dividere noi da giornalisti.

Mente la mia mente è offuscata, Santi mi dirige verso il nostro box facendomi da occhi e da guida. Al suo interno ordina a Gerard e Alex, che mi stava aspettando lì, di chiudere le serrande lasciando così fuori le telecamere.

«Tutto ciò è sbagliato» esclama mio fratello non appena si siede di fronte a me, che sono accasciato con la testa tra le mani sulla mia sedia. Mi sento a metà strada tra il volermi sotterrare e il desiderio irrefrenabile di prendere qualcuno a pugni. 

Qualcuno a caso.

«Ecco perché la DORNA voleva le telemetrie» afferma invece Santi, aprendo con forse troppa forza la cartellina con i dati della gara stampati. «Come possono anche solo insinuare una cosa del genere? Sopratutto da una persona che ha vinto tante gare all'ultimo giro, tutto ciò è inammissibile»

Resto in silenzio a lasciarli parlare, covando dentro di me tutto il risentimento, l'imbarazzo, la rabbia che ormai hanno deciso di non lasciarmi più. Anzi, si ancorano a me mentre rimango stranamente calmo davanti a tutti finché non sento il bisogno di andarmi a fare un giro da solo.

Di sparire per un po'.

«Questo è l'inizio di una guerra» annuncio, alzandomi dalla poltrona con fierezza. Non mi abbatterà, non così. «Se vuole che giochi con lui, iniziamo a giocare»

Non avrebbe dovuto azzardarsi, e lo imparerà a sue spese. Tengo questo pensiero per me mentre lascio il box alla volta di una camminata senza meta, la testa occupata da scenari per niente piacevoli e la rabbia concentrata nei pugni che tengo chiusi per tutto il tempo.

In qualche modo lo percepivo, sapevo che questo sarebbe stato l'inizio della fine.

||REINA||

«Non mi preoccuperei più di tanto, non può essere andato lontano»

Alex, poggiato sul muro esterno del box della Honda, cerca di rassicurarmi dopo il mio intero pomeriggio passato alla ricerca di Marc.

Perché lo sto cercando? Non lo so neanche io in realtà. Forse solo per stargli accanto anche se la mia presenza non è gradita, forse per chiedergli scusa per tutto, forse per fargli vincere una battaglia, oltre la gara, sperando che basti per non fargli pensare a ciò che è successo.

«Tu piuttosto, non avresti dovuto esposti così tanto» mi riprende lui cercando di sembrare serio, nascondendo però un ghigno.

«Parli di quando ho fatto nero Valentino in conferenza o dell'intervista che ho rilasciato dopo?» gli rispondo, sorridendogli con una certa malizia.

Alex scoppia a ridere, allungando le braccia fino a raggiungere le mie spalle per poi tirarmi contro il suo petto e stringermi in un abbraccio che faccio passare come forzato, ma del quale avevo dannatamente bisogno.

«Io non mi ci metterei mai contro di te, sopratutto pubblicamente» commenta, strapazzandomi tra le sue braccia «Anche se non credo che Marc sarà felice di vedere che hai preso le sue difese»

«Faccio così tante cose che non gli piacciono ormai, che forse questa è quella che meno potrebbe infastidirlo» commento, con una consapevolezza amara che mi fa spuntare un sorriso rassegnato «ora lasciami andare o mi farai intenerire troppo»

Alex non molla subito la presa, giocando ancora per qualche attimo con me, godendosi un momento del genere che da tanto non riuscivamo ad avere.

«Questa storia non mi piace» mormora poi, portandosi una mano ad aggiustare i capelli che gli ho con tanta soddisfazione scompigliato. 

«Neanche a me» rispondo, aggiustandomi la maglietta del team all'interno dei jeans. «E siccome sono un'esperta di cose che lo fanno incazzare, credo che lui abbia bisogno di me ora»

Mi allungo per lasciare un bacio sulla guancia morbida di Alex, che diventa più alto e più bello giorno dopo giorno.

«Anzi, magari continuare ad inveire contro di me gli farà dimenticare ciò che è successo» aggiungo, prima di dargli le spalle.

«Vacci piano con lui, ricordati che ti odia» mi grida mentre mi allontano.

Alzo un dito medio in risposta così, senza girarmi, poi riprendo la mia ricerca disperata del Marquez più stupido e più odioso. Che purtroppo però è quello che amo.

Giro per almeno la terza volta la maggior parte delle Hospitality dentro le quali riesco ad intrufolarmi, dò un'occhiata ai box non ancora chiusi dal lato della pit lane, cerco persino nel centro medico e nei bagni. Marc però sembra scomparso.

Decido di tornare in albergo che è quasi ora di cena, il sole è tramontato da un pezzo e anche se continua a far caldo un vento fastidioso rende inappropriato il mio outfit leggero.

Dopo cena andrò a festeggiare con il team questa prima vittoria, anche se le emozioni che ne sono derivate son state presto spazzate via dalla questione Marc. Pensavo che niente sarebbe riuscito a cacciare la sensazione di essere finalmente sul podio della Moto3, invece è bastato vedere lo sguardo affranto, offeso, sul viso di Marc che pochi attimi prima sprizzava di gioia.

Da festeggiare, anche se non lo sa nessun altro, c'è anche la scomparsa del mio nome dai registri della polizia. Non sono più una galeotta. Eric è stato certamente un codardo la scorsa sera e difficilmente dimenticherò la sensazione delle manette dietro la schiena, e l'atmosfera della centrale di polizia e la sparata di Marc, però è stato di parola. Eric aveva detto che non sarebbe neanche servito un avvocato e così è stato.

Non so come abbia fatto, non sono neanche così convinta di volerlo sapere, esattamente come penso che non vorrò mai più vederlo. Però sono libera, la mia fedina penale è pulita. 

I nostri sforzi tuttavia sono stati praticamente inutili perché metà dei guadagni delle gare sono stati spalmati tra soldi per la cauzione e soldi che Camilla ha usato per comprare informazioni dai giornalisti, e conseguentemente il loro silenzio.

Ovviamente il mio nome era uscito nel giro di poche ore, ma anche se non sono riuscita a far sì che Marc non ne venisse a conoscenza ho salvato la mia e sopratutto la sua reputazione impedendo che la questione venisse spiattellata a mezzo mondo.

Tanto meglio visto che ora Marc avrà altri problemi di reputazione da difendere.

La hall dell'albergo è in fermento, solitamente gran parte dei piloti soggiorna dei motorhome durante le settimane di gara, ma quest'anno nel circuito di Phillip Island non è stato possibile, quindi ci hanno sistemati tutti qui. Non che disprezzi il lusso.

Tuttavia, se avessimo avuto i motorhome, avrei saputo a che porta andare a bussare. Invece, sono ferma al centro della hall senza sapere cosa fare, indecisa tra l'arrendermi e in continuare a cercare. In più, dopo essermi sentita dire dalla receptionist che non possono darmi il numero della camera di Marc perché hanno avuto disposizione di non dare informazioni ai fan.

Io.

Fan.

«Reina» mi sento chiamare, non poco distante da me.

Gus, il mio capo tecnico, è intento a sbracciarsi dallo sgabello del bar nella stanza alla destra della reception. Lo raggiungo, decisamente affranta, e con poca grazia mi siedo sullo sgabello al suo fianco.

Lui è pronto per andare a mangiare e per i festeggiamenti di dopo, io sono un cencio.

«Prendi qualcosa?» mi domanda, felice come non l'avevo mai visto.

Oggi ha avuto il suo piccolo miracolo, mi ha messo sul gradino più alto del podio.

«Un Margarita» rispondo, divertita dall'idea di bere con il mio boss.

Lui non è particolarmente loquace, come sempre, ed io sono troppo impegnata a fissare l'ingresso per riuscire a intraprendere un discorso sensato. Però parlottiamo del più e del meno con il nostro inglese imperfetto, sorseggiando i cocktail con forse troppa voracità.

Non mi rendo neanche conto di aver finito il mio quando, attraverso il vetro del bicchiere che sgocciolo tra le labbra, intravedo la figura sfuocata della persona che stavo cercando.

Salto giù dallo sgabello, poggiando il calice sul bancone e afferrando la spalla di Gus interrompendo uno dei suoi discorsi.

«Ci vediamo dopo, scusami, scusami, scusami» esclamo, continuando a mormorare scuse mentre corro via dal bar per attraversare la hall e seguire Marc che si incammina agli ascensori.

Faccio per gridare il suo nome, poi però mi trattengo pensando al fatto che sapere che ci sono io ad inseguirlo potrebbe farlo scappare più di come non abbia già fatto per tutto il pomeriggio. Così lo raggiungo davanti agli ascensori mentre le porte di uno di questi si aprono e dopo che cinque o sei persone scendono, lui fa un passo per entrarci.

Si accorge di me solo quando entro anche io, incrociando il mio sguardo nello specchio davanti ai suoi occhi che ricopre l'intera parete frontale dell'ascensore.

Marc rimane un attimo interdetto, intento ad osservarmi silenziosamente, e in quest'attimo di défaillance la scatola metallica si riempie di persone che prenotano la loro fermata nei quindici piani dell'ascensore.

«A che piano vai?» mi chiede Marc dopo essersi reso conto di doversi dare una mossa, allungandosi verso la colonnina di numeri illuminati per premere il quattordici.

«Lo stesso» rispondo, anche se la mia camera è due piani sotto.

C'è un leggero chiacchiericcio tra la gente che sale, che scende, mentre io e Marc restiamo silenziosi a fingere di non guardarci, mentre entrambi stiamo palesemente cercando di studiarci.

E sperando di restare soli.

Eppure la scalata fino al penultimo piano è lunga e affollata e ad ogni persona che scende ne salgono altre creando un riciclo continuo. Quando le ultime due persone dell'ascensore scendono al 12esimo piano quasi penso di avercela fatta.

Così ne approfitto.

«Tu sei il migliore Marc e quelle di Rossi sono cazzate senza senso» mormoro, restando a guardare le porte aperte sul corridoio del 12esimo piano anziché guardare lui «Ha sganciato una bomba ma non lasciarti travolgere, non lasciarti ferire da quello che penserà la gente, da ciò che succederà. Falli parlare perché tu sei meglio di tutti loro, devi essere forte»

Alla fine non so neanche io cosa ho detto, se aveva un filo logico, se ho trasmesso ciò che volevo dire. Probabilmente sarà stato semplicemente un discorso sconclusionato. Sto cercando di essere forte anche io, ma mi tremano le mani.

Nel frattempo due piloti di Moto2 entrano in ascensore, si guardano attorno, salutano per rispetto, poi restano in silenzio. L'aria tesa tra noi deve essere palese.

Marc continua a non dire niente, restando fermo contro la parete specchiata dall'ascensore. Quando le porte si aprono al quattordicesimo piano chiede permesso ai ragazzi e mette piede nel corridoio, svoltando verso destra.

Faccio lo stesso, aspettando che le porte si chiudano nuovamente per gridare nel corridoio desolato un «parlami Marc».

Lui si ferma, ma non si gira.

Ci riprovo.

«Non chiudermi fuori» dico, avvicinandomi a lui «So che sono l'ultima persona al mondo con la quale vorresti passare del tempo, ma sono anche l'unica che può capire la rabbia, e l'odio, e aiutarti a gestirle. Magari tu ci riuscirai meglio di me, perché tu sei meglio anche di me»

«Non è vero» risponde, finalmente, quando ormai sono alle sue spalle. Mette il viso di taglio e mi guarda di traverso «Tu sei sincera, tu sei così. Io fuori sorrido, mentre dentro vorrei spaccare tutto. Non so come faccio ad essere qui senza aver ancora preso a pugni qualcuno»

«Ho una notizia per te» mormoro, poggiando la testa sulla sua schiena. E' stupido, ma sentire il suo odore, la sua pelle, mi fa venire voglia di piangere. «Sei un essere umano»

«Prima o poi non riuscirò più a sopportare tutto, e scoppierò»

Premendo il mio petto contro la sua schiena lascio che le mie mani abbraccino il suo corpo, la sua fragilità, e quando con le dita sfioro il suo petto la sua mano mi blocca, premendo il mio palmo contro il suo cuore.

Il battito del suo cuore arriva forte e chiaro contro la mia pelle, forte, veloce.

Poi mi lascia andare e di colpo si allontana.

«Buonanotte Reina» mormora, camminando verso la sua stanza.

Resto ferma al centro del corridoio, a guardarlo mentre va via da me.

Ma io ho ragione, lui è migliore di me, lui è più forte. Infatti, la mia debolezza mi porta a seguirlo, a bussare sulla porta dietro la quale è appena sparito.A sentire il cuore battermi forte nel petto nell'attesa che apra.

«Solo per sta notte» mormoro, già senza fiato, non appena appare sull'uscio della porta.

Marc non sembra afferrare subito, come potrebbe quando neanche io ho la minima idea di cosa sto facendo? Mi lascio andare però, facendo ciò che credo sia giusto. Sbagliato per chiunque altro, ma giusto per noi ora.

Lo bacio.

Sento Marc irrigidirsi, una mano afferra lo stipite della porta, il resto del corpo diventa marmoreo. Ma non mi stacco, non mi arrendo, anche perché non voglio allontanarmi da lui.

Muovo le labbra sulle sue mentre le mie braccia finiscono a stringersi attorno al suo collo, facendo aderire il mio corpo al suo.

Passano i secondi e lui ancora non si muove. Quando però faccio per allontanarmi la mano che stringeva lo stipite si stacca e corre dietro la mia nuova, spingendo il mio viso contro il suo così vicino che è persino difficile muovere la lingua con criterio.

Così lascio che sia tutto disordinato, disordinato come ciò che abbiamo in testa, come ciò che c'è tra noi.

E mentre ci spingiamo l'uno contro l'altra, con le sue mani che bruciano qualsiasi cosa tocchi, io mi sento di nuovo viva.

Fottutamente viva.

Buttiamo giù un paio di cose nella stanza d'albergo, arrancando contro il letto senza guardare dove mettiamo i piedi.

Mentre penso a tutte le cose che vorrei dirgli lascio che sia il mio corpo a parlare, stringendo e graffiando.

E con una scia di baci accompagno la mia discesa lungo il petto, l'addome, mentre con le dita gli slaccio i pantaloni prima ancora di inginocchiarmi davanti a lui. Quando le ginocchia toccano il pavimento faccio scivolare via in un colpo solo sia i pantaloni che le mutande.

Qualcuno qui è decisamente eccitato.

«Questo mi era mancato» mormora con lo sguardo fisso sul mio viso, una mano mi attorciglia i capelli dietro la nuca e l'altra cerca di imporre il ritmo trattenendomi dalla testa.

Con un piccolo giochino di lingua riesco a farlo gemere subito dopo la sua frase, guardando in alto con un sorrisino.

«Solo questo?» gli domando, lasciando perdere i preliminari per tornare in piedi davanti a lui.

«Non farmi rispondere, non vorrei rovinare il momento con del romanticismo»

Il fatto che questo non sia un incontro dolce e romantico è fatto palese non solo dalle sue parole, ma anche dal modo in cui mi tocca, in cui ci uniamo.

Marc fa volare i miei vestiti mentre con uno spintone finisco sul materasso, sovrastata subito dopo dal suo corpo imponente.

Mi era mancato tutto di lui, i lineamenti del suo viso visti da così vicino, le sue spalle larghe, la sua pelle.

Eppure lui è uguale al Marc che conosco, ma non sembra lui.

Quando entra dentro di me comincio a tremare, forse per l'emozione, forse perché era da tanto che tutto questo mancava nella mia vita. Lui però non se ne accorge, o finge di non accorgersene. Piuttosto afferra le mie mani e le porta contro la testiera del letto, stringendole tra le dita, tenendole ferme lì per tutto il tempo coperte dalle sue mani.

Come se una carezza sfuggita avesse potuto ucciderlo.

Non avevo mai fatto solo sesso con Marc, persino in quella strana prima volta c'era dell'amore alla base, anche se lui c'ha messo un anno per rendersene conto.

Questa volta è diverso però.

Marc continua a conoscere il mio corpo alla perfezione, sa cosa mi piace, sa quali sono i punti giusti, ma lui non è più lui.

Persino qui, ora, riesco a vedere la rabbia nel modo in cui affonda dentro di me. La disperazione. La stessa con la quale mi stringo con le gambe attorno al suo bacino, sapendo che prima o poi dovrò lasciarlo andare.

«Cosa sei diventato?» gli domando, sdraiata al suo fianco una volta che è tutto finito.

«Tutto ciò che non sarei mai voluto essere»

Mentre le nostre spalle si sfiorano su questo letto, siamo vicini come non lo eravamo da tanto ma lontani come non lo siamo mai stati.

E dopo ciò che è successo, mi rendo conto di come se possibile Marc mi manca ancor più di prima, e di come mi senta persino sola più di prima.

In testa un solo pensiero: l'ho fatto diventare io così.


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Inizio subito col dire che le dichiarazioni riportate in conferenza sono più o meno intatte, ossia i botta e risposta tra Marc/Vale/Jorge sono quasi gli originali, unica nota è che Valentino non ha aperto la polemica a Phillip Island ma durante la conferenza del giovedì in Malesia. Mi sono permessa di romanzare un po' la questione, anche per sottolineare che questa, appunto, è una storia!

Al mio tre scatenate l'inferno!

Bugia, parliamo di cose serie. Questo capitolo doveva essere BOOM PUUF BAAAAM nella mia testa, incredibile, fantastico, best della storia, in realtà come sempre succede in questi casi a livello stilistico me fa un po' scheeefo. Voi prendete il buono che c'è, come cerca di fare Marc. 🧡

Comunque così, come remainder, mancano due gare alla fine della storia ahahah e io sono così triste per tutto ciò.

Vi aspettavate ciò che sarebbe successo tra Marc e Reina? E secondo voi come procederà la loro storia dopo questo evento?

Btw, buone ultime qualifiche della stagione :( e ci sentiamo nei commenti!

p.s. del ritardo di questo capitolo prendetevela con AHS APOCALYPSE che è stato MAGISTRALE e mi ha completamente assorto della visione, anzi se qualcuno l'ha visto e ne vuole parlare fatemi sapere perché sono ancora su di giri!

Alla prossima!

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