JEREZ & BDAY GIFTS

- 188

Tired of feelin' like I'm trapped in my damn mind
Tired of feelin' like I'm wrapped in a damn lie
Tired of feelin' like my life is a damn game

||REINA||, Jerez - Gara 4/18

Cosa ci faccio io qui?

E' questo il dilemma che mi assilla da quando ho rimesso piede in pista.

Cosa ci faccio io qui?

Si staranno chiedendo i cultori della motocross che mi hanno sempre sostenuto tra il fango, come se lo staranno chiedendo le donne forti e indipendenti che pensavano e speravano sarei riuscita a tenere alto il nostro genere in questo sport così maschilista.

Se lo chiede anche la Honda, alla quale ho chiesto fiducia, un team e una moto.

E se se lo fossero chiesti tutti tranne me, la cosa non mi avrebbe importato. Eppure io stessa dubito. Io stessa mi rendo conto di non essere all'altezza delle aspettative, senza avere nessun asso nella manica da giocare per riconquistare la fiducia degli altri e nella Reina che so essere nascosta da qualche parte.

Da quando è iniziato il primo turno di prove sarei voluta scendere dalla moto, correre via dai box e piangere. Sentirmi così fragile è qualcosa di nuovo per me, non sono abituata, e mi manda fuori di testa.

E' bello piangere, è bello lasciarsi andare, sfogarsi. Magari tra le braccia di Marc, che mi ripete come tutto si aggiusterà, tutto andrà bene. E' facile.

Ma questa non sono io. Non voglio essere io.

Ho stretto i denti per tutto il tempo, per tutto il weekend.

Ed ora che la gara è finita c'è solo questo senso di incompletezza dentro di me, di vuoto, di delusione.

Mi sono sentita mediocre, sono stata mediocre, mentre il cervello mi imponeva di non strafrare pur di restare in sella e non cadere.

Io, mediocre.

E' questo che fa male più di tutto.

Un pilota mediocre. La fidanzata mediocre del campione del mondo in carica che, nonostante si sia fratturato il mignolo tre giorni fa mentre facevamo DirtTrack, oggi parte secondo in griglia con tanto di scivolata in qualifica.

Non ho mai vissuto all'ombra di Marc in tutta la mia vita, e non ho intenzione di iniziare adesso.

Eppure è per lui che mi ritrovo appiccicata alle sbarre che delimitano il parco chiuso della pista di Jerez, e mentre io segno sul mio segnapunti un bel sedicesimo posto, Marc con tutte le condizioni avverse è riuscito a strappare il secondo gradino del podio, difendendolo con la sua solita caparbietà per tutta la gara da un Valentino Rossi che c'ha voluto provare fino agli ultimi giri.

«Hai fatto un po' schifo eh, solo secondo» lo sfotto passandogli una mano tra i capelli zuppi non appena si sfila il casco arancione con il 93.

«Lo so, ma anche tu hai fatto un po' schifo, siamo pari» replica Marc. Non esiste per lui fare più o meno schifo, se vinci sei un grande, se perdi hai fatto schifo, per questo paradossalmente siamo sullo stesso piano oggi.

Mi metto in punta di piedi per sporgermi quanto più possibile verso Marc e non appena le sue labbra toccano le mie sento il suo braccio stringermi il bacino e tirarmi verso di lui.

Cerco di dimenarmi, ma lui è più forte e complice anche una mano data da Santi in pochi secondi mi ritrovo oltre le transenne, all'interno del parco chiuso.

«Cos'è, non hai vinto la gara ma vuoi almeno il premio per la fidanzata più figa? » sussurro ridacchiando contro le sue labbra, mentre i miei occhi sono incollati nei suoi, avidi di catturare ogni sfaccettatura del suo sguardo acceso dopo una gara.

Marc sorride prima di baciarmi di nuovo, questa volta stringendomi a sé senza nessun ostacolo.

«Qualcosa del genere » mormora, perso nel momento.

Sento in sottofondo i mormorii e le risate dei ragazzi del team, ma ad interromperci davvero è Vale, poggiando una mano sulla mia spalla e l'altra su quella di Marc.

«Scusa, Reina, permesso » dice arricciando il naso e facendosi spazio tra noi fino ad abbracciare Marc. «Me l'hai fatta anche sta volta" gli dice Vale, con tanto di pacca sul sedere finale.

La volta scorsa l'hai fatto cadere tu vorrei rispondere, ma mi cucio la lingua. Sono troppo di parte, e poi per Marc è stato un incidente, qualcosa che poteva capitare a tutti con chiunque. Certo non me li sarei immaginati ad abbracciarsi nel parco chiuso oggi, ma a quanto pare essere riuscito ad arrivare davanti al Dottore deve aver cancellato in Marc ogni traccia di risentimento per lo 0 in Argentina, sempre che ce ne fosse. 

Vengo gentilmente cacciata fuori dalla parte del parc fermè adibita ai piloti da uno degli stewart in quanto non addetta e mi lascio alle spalle Vale e Marc e i rispettivi team a complimentarsi a vicenda.

Non ho troppa voglia di stare tra la gente oggi.

Evito persino Barbara, ammucchiata e perfettamente integrata nel resto della squadra con la sua polo blu della Yamaha, e Alex, che si sbraccia cercando di riuscire ad abbracciare il fratello per fargli i complimenti.

Non voglio esserci per nessuno.

Con lo sguardo basso nascosto dalla visiera del cappellino del mio team e il passo lento, quasi strascicato, mi faccio strada sulla tribuna più vicina alla pit lane, salendo le scale metalliche mentre al contrario tutti scendono, in procinto di lasciare il circuito.
Loro torneranno a casa e terranno nel cuore quest'esperienza meravigliosa che è la MotoGP. Noi saremo di nuovo a combattere come dei gladiatori nella fossa il prossimo weekend, a combattere prima di tutto noi stessi e poi gli altri, per la gloria, per lo spettacolo.

La gente mormora mentre le sfilo accanto, probabilmente si chiedono come mai mi trovi sugli spalti e non sotto il palco del podio, ma cosa possono saperne loro?

La prima fila della tribuna è già stata sgombrata ed è su una di quelle sedute che mi getto, rendendomi conto solo ora di quanto sia effettivamente stanca. E' stato un weekend duro.

E mentre lo sguardo si perde lungo tutta la pista davanti ai miei occhi, cullata dalle grida che dal podio arrivano sino qui, mi perdo in una valanga di pensieri. Ho avuto tanto a cui pensare ultimamente e forse non mi fa bene, esattamente come forse sarebbe stato meglio non correre dopo così poco tempo dalla caduta in argentina, dall'incidente.

Eppure è più facile affrontare una disastrosa gara in moto piuttosto che i fantasmi di quelle che sono state le scorse settimane. Un chiodo schiaccia chiodo che decisamente non provoca sollievo, ma che almeno mi tiene la mente occupata più sull'asfalto che sulla faccia bianca di Marc mentre mi chiede "sei incinta?".

Sono passate solo due settimane da quella notte e forse, forse, un giorno le immagini di quel momento saranno meno nitide, esattamente come lo sono quelle dei giorni successivi, troppo confusi per ricordarne i dettagli. Per ora però devo combatterci e fare di tutto pur di seppellire quelle immagini, persino se comporta ammucchiare pensieri altrettanto negativi.

Con il telefono spento e una sigaretta che per fortuna avevo con me perdo la cognizione del tempo restando ad osservare la mia parte di mondo preferita, la pista, dal posto più comodo che ci sia. Dal posto che forse dovrei tornare ad occupare. È così facile sedersi qui e guardare.

Quando Marc mi trova il sole ha da poco iniziato a tramontare, colorando il cielo con delle sfumature pastello di rosa e arancione e celeste.

«Ti ho cercata ovunque » sbotta non appena mi si para davanti agli occhi, rendendo la vista da mozzare il fiato.

Credo che fosse incazzato, o almeno voleva farne la parte, ma non appena alzo lo sguardo e i nostri occhi si incrociano qualcosa nella sua espressione cambia.

Marc sbuffa e ammorbidisce la macella, per poi sedersi al mio fianco. Si è tolto la tuta, ma i suoi capelli puzzano ancora di champagne. Ci passo attraverso le dita, tirandoli leggermente mentre avvicino il mio viso al suo.

Lascio un bacio leggero sugli zigomi alti e pronunciati che tanto mi piacciono, uno sulla guancia accaldata, uno sull'angolo delle labbra. Lui mi guarda con la coda dell'occhio, finché la sua mano non mi afferra il viso e lo trattiene davanti al suo, fronte contro fronte.

Fa per dire qualcosa, poi però ci ripensa e con una lenta agonia lascia che le nostre labbra si sfiorino per poi stringere quello inferiore tra i suoi denti, con una presa leggera alla quale il mio corpo risponde con centinaia di piccoli brividi che arrivano dritti al cuore.

«Ho voglia di andare a casa » sussurra Marc, lasciando la presa sul mio viso «con te ». Con la punta del naso mi accarezza la guancia, poi scende fino a far posare la testa nell'incavo tra il collo e la spalla.

Senza quasi che le abbia comandate, le mie braccia vanno a circondare le spalle possenti di Marc. Sorrido.

Marc è il mio palliativo preferito, nonché l'unico funzionante con questa mia testa ormai piena di troppe cazzate e paranoie.

«Andiamo a casa » gli rispondo.

Due secondi dopo il mio sedere non è più poggiato sulle scomode gratinate. Approfittando della mia presa attorno al suo collo, Marc mi solleva tenendomi dalla schiena e dalle ginocchia e i miei lamenti non servono minimamente a distoglierlo dalla sua ultima trovata.
Non mi lascia andare finché non superiamo il Paddock, ormai deserto e privo del caos che lo caratterizzava solo poche ore prima.
I circuiti subito dopo il weekend di gara sono così tristi.

Marc mi fa segno di entrare in una macchina nera a pochi passi dal parcheggio dei motorhome e in pochi minuti siamo in viaggio verso l'aeroporto.

«Alex dov'è?» domando, rendendomi conto di non aver pensato a nessun altro all'infuori di me e Marc in tutta la giornata.

«Si è mosso un paio d'ore fa, aveva un impegno» risponde vago il ragazzo al mio fianco, scrollando le spalle nell'ormai penombra di un tramonto quasi estinto.

Allunga una mano verso la mia gamba e stringe le dita attorno al ginocchio.

«Gli avrei chiesto volentieri di restare con noi sta sera» mormoro con i denti impegnati a giocherellare con le unghie.

Più il buio diventa deciso fuori dal finestrino, più mi sento triste. Mi sto quasi abituando a questi sbalzi d'umore improvvisi, mi dispiace per Marc però che li deve sopportare.

«Mi hai detto di non voler festeggiare sta sera»

Scrollo le spalle, poggiando la fronte contro il finestrino freddo. Chiudo gli occhi.

Perché è così difficile essere me?

Una presa familiare mi stringe il braccio, per poi attirarmi dolcemente a sé. La lascio fare.

«Vieni qui» sussurra Marc, avvinghiando le sue braccia attorno a me quando poggio la testa sul suo petto nel retro ormai buio di questo taxi.

Dopo la corsa in taxi ci attende un volo per Barcellona, dove arriviamo che sono ormai quasi le undici. Poi un altro taxi per raggiungere casa.

Guardo Marc, guardo la città che corre accanto a lui, i palazzi alti che ad un certo punto lasciano spazio alla distesa di sabbia desolata.

Persino il mare sembra decisamente più tranquillo di quella che è stata la nostra giornata frenetica.

«Può lasciarci qui» dico senza pensarci due volte, senza distogliere lo sguardo dall'orizzonte. Il tassista scrolla le spalle, accostando al marciapiede  con aria leggermente confusa. È palesemente mezzo addormentato, forse non ha neanche capito chi ha in macchina.

Marc mi guarda, ma non chiede. Paga il tassista e scendendo dalla macchina si carica in spalla lo zaino, mentre allunga l'altra mano verso di me.
La stringo con più forza del necessario.

Casa nostra, si, casa nostra, è solo a pochi isolati in realtà, ma immergersi per qualche momento in questa pace è salvifico. La dolce carezza con la quale il mare sfiora la sabbia produce un suono calmo e accogliente, quasi quanto il rumore dei piedi di Marc che affondano nella sabbia al mio fianco.

Questo momento vale tutta la giornata.

«E' quasi mezza notte» mormora Marc guardandomi di sottecchi, poi con una spallata quasi mi butta giù.

Rispondo con una boccaccia e un "ehi" offeso.

«Ma allora sei diventata davvero una pappa molle»

«A stare con uno sfigato come te, ci credo»

Marc con il suo solito charme mi fa il verso e con quell'espressione da bambino e la faccia da schiaffi mi fa venir voglia di riempirlo di baci.

Lo faccio, attaccandomi con le braccia al suo collo e continuando la nostra passeggiata camminando all'indietro, schioccando le mie labbra ovunque sul viso di Marc.

La sua risata diventa l'unico suono che percepisco.

Resto appesa a lui anche quando l'addetto alla sorveglianza apre il portone una volta arrivati al grande palazzo di vetro, e scendo a baciargli il collo mentre prendiamo l'ascensore, ora che la risata è stata sostituita da svariati modi per implorarmi di smettere e l'aria si è fatta più calda di quanto non fosse già prima e le mani di Marc entrano nelle tasche posteriori dei miei pantaloni.

Non è stato facile trovare intimità tra noi nelle settimane passate, o meglio non ci abbiamo provato più di tanto, forse un po' troppo spaventati da ciò che è successo. Tra qualche minuto però è il mio compleanno e abbiamo di nuovo una casa tutta per noi e credo che sia giusto festeggiare a dovere a modo nostro.

Lasciamo l'ascensore al diciottesimo piano, un po' affannati, un po' scompigliati. Attraversato il corridoio Marc infila la chiave nella toppa dell'appartamento 50.5, facendomi segno di entrare.

Non mettevo piede qui dalla notte dopo l'Argentina, ma prima che il buio e il silenzio e i ricordi possano sopraffarmi sento il petto caldo di Marc dietro la schiena e le sue mani che mi accarezzano il viso, fino a poggiarsi sui miei occhi.

«Scusa » mi mormora nell'orecchio.

Non capisco, finché non si sente un rumore di mobili che si spostano, passi scoordinati, la pietrina di un accendino e poi persino da dietro le dita callose che mi coprono la visuale riesco a vedere una luce accendersi.

Marc lascia cadere le mani.

«Cumpleaños feliz, Cumpleaños feliz »

Due bastoncini luminosi lasciano fuoriuscire una cascata di scintille sulla torta che Alex trattiene sulle mani, allungate verso di me. Accanto a lui ci sono Barbara, Camilla e Santi che cantano in coro.

Non mi rendo neanche conto che è arrivato il momento di spegnere le candeline tanto la situazione sembra paradossale. E' difficile spegnerle mentre rido e penso che vorrei immortalare questo momento irripetibile ed è al tempo stesso ciò che desidero mentre la fiamma si spegne: tanti altri anni di momenti come questo, con queste persone.

«E' stata la cosa più difficile che abbia fatto negli ultimi anni» dice Barbara non appena le stelle filanti finiscono e la stanza piomba nel buio. Due secondi dopo Marc si sporge per accendere la luce dalla placchetta alle nostre spalle. «Imbarazzante, davvero. Basta feste a sorpresa per i prossimi quarant'anni" continua a blaterare lei.

Scoppio a ridere, perdendo quasi l'equilibrio.

«Ora dovresti venire ad abbracciarmi» le dico, afferrando la spalla della mia persona di sesso femminile preferita sulla terra.

«Ok, auguri, ti voglio bene, ora sbronziamoci» è il massimo dell'affettuosità che Barbara riesce ad esprimere mentre si avvicina per darmi una stretta veloce ed è anche la dose di sdolcinatezza giusta che concepisco da chiunque non sia Marc.

O Alex, che corro ad abbracciare cercando di non far cadere la torta.

Ridendo poi saluto e accetto gli auguri di Santi e Camilla, lui sempre un po' sostenuto, un orso bruno impacciato, lei sempre un po' gattamorta, ma stiamo lavorando sulla nostra amicizia. Finché tiene le mani lontano da Marc le voglio quasi bene.

Mentre Marc gongola rendendosi conto di essere riuscito ad organizzare una festa a sorpresa senza farsi scoprire lo fisso scuotendo la testa con dissenso. In realtà avevo espresso il desiderio di non festeggiare, ma ora che loro sono qui mi rendo conto che non potrei essere più contenta.

«Tu non mi ascolti mai quando parlo?» lo punzecchio, avvicinandomi con la fronte aggrottata e le sopracciglia alzate. Marc indietreggia di qualche passo, finché si ritrova con la schiena contro il muro.

«Ovviamente no» risponde ridacchiando.

«Ti odio»

«Ti amo, e buon ventunesimo compleanno»

Allungo il collo per tirare un morso sul labbro inferiore di Marc, che poi afferra il mio viso tra le mani e lo trattiene vicino al suo, lasciandomi un bacio che dice tanto in un linguaggio che conosciamo soltanto noi.

«Ehi piccioncini, venite a stappare» grida Camilla dal bancone della cucina, dove Alex ha finalmente posato la torta e sul quale Barbara sta lasciando un paio di cartoni di birra. La rossa agita in aria due bottiglie di spumante, bottiglie che preferirei stappare sul podio dopo una gara piuttosto che al mio compleanno, ma per oggi va così.

Dopo un po' ci spostiamo in terrazza e mentre butto giù il secondo bicchiere con il braccio di Alex attorno alle spalle e gli occhi puntati su Santi che racconta stupidi aneddoti sulla vita nei box dell'anno scorso, sento la mano di Marc afferrarmi il polso e tirarmi via dal gruppetto.

«Ho una sorpresa per te» dice, portandomi dentro casa, verso la nostra camera.

Il corridoio è buio, così come la stanza quando Marc apre piano la porta. Si ferma un attimo sull'uscio, sbirciando dentro. Piuttosto confusa, riesco a vedere la sua schiena e nient'altro.

Dopo qualche attimo Marc entra definitivamente in camera, lasciandomi intendere di aspettare lì fuori. Lo sento dire qualcosa, il che se possibile mi spiazza ancora di più.

Poi Marc torna da me, con qualcosa in braccio. Un cane in braccio.

"Ciao cucciolo, lei è Reina» sussurra con quella vocina stridula e imbarazzante con la quale si parla ai bambini e agli animali. E la cosa mi prende male.

Resto ferma di fronte a lui, immobilizzata, spostando solo lo sguardo dal viso sorridente di Marc al piccolo labrador tra le sue braccia che sbadiglia assonnato.

«è un maschietto, e devi dargli un nome» continua lui, senza rendersi conto della situazione. Passa la punta del dito sul musino color champagne del cucciolo che subito dopo arriccia il naso.

«tieni, prendilo»

Solo quando Marc allunga le braccia verso di me e poggia gli occhi sul mio viso percepisce che qualcosa non va. Non so neanche io cosa, ormai il mio cervello ragiona da sé, il mio corpo reagisce in modi inaspettati.

«Reina» mi chiama Marc, sottovoce, preoccupato. La sua bella espressione felice si fa cupa e come sempre è colpa mia. Sono io la ragione per la quale Marc non è felice come una volta.

Ma nonostante questa consapevolezza dovrebbe frenarmi dall'affossarlo ancora di più, non riesco a chiudere la bocca.

«come ti viene in mente di regalarmi un cucciolo? » le parole escono dalla mia bocca dure e aspre, accompagnate da uno di quegli sguardi di cui tutti hanno sempre avuto paura.

Marc cerca di dire qualcosa ed io provo a spiegarmi, ma la gola mi fa male per le troppe cose che vorrei dire e invece sono bloccate lì, cerco di dosarle, per quanto possibile lascio che facciano del male a me piuttosto che ferire Marc. Non riesco però a trattenerle tutte.

«cosa pensavi di risolvere? diamo a Reina un cucciolo così non penserà più a cosa è successo dopo l'Argentina? così tornerà normale? basta darle un esserino in braccio che si lamenta per avere la pappa ed è fatta, povera e depressa Reina. Non ti piaccio così, vero? triste e perdente» grido, sentendo tremiti lungo tutto il corpo e la voce che lentamente si incrina, seguita da stupide lacrime calde pronte a lasciare i miei occhi. «Ora saremo una famiglia, no? Io, te e il cane. Ma io non volevo nessun altro tra noi, non volevo altro se non te. Non volevo un bambino, non è per questo che sto male. Io mi incolpo di aver ucciso qualcosa di nostro che aveva vita dentro di me, è questo che mi manda fuori di testa. Non è un bisogno di, mi fa persino ridere dirlo, maternità. Quindi se non mi sopporti più, se non riesci a starmi accanto in questo momento, non pensare che un cane potrà aggiustare le cose, forse siamo noi a non andare più bene»

Quando ormai non riesco più a mantenere un tono decente e la situazione sta comincia a diventare piuttosto imbarazzante, faccio quello che a quanto pare so fare meglio in questo ultimo periodo: scappo

Do le spalle a Marc e al suo nuovo animaletto e mi chiudo in bagno, lasciando che lo sconforto prenda il sopravvento. Non riesco più a gestire neppure le piccole cose senza farne tragedia. Tutto mi sembra così insignificante eppure tutto è un passo verso irreparabile verso un futuro che non. Un futuro da perdente, un futuro senza Marc. Però sono così brava ad allontanare entrambe.

La porta si spalanca dopo pochi minuti ed il mio cuore sembra sul punto di esplodere, per fortuna però si intravede soltanto il viso rotondo di Barbara che con destrezza scosta la porta il giusto per riuscire ad entrare.

«te l'avevo detto di non prenderle un cane » grida prima di chiudere definitivamente la porta alle sue spalle, raggiungendomi ai piedi della vasca da bagno. «glie l'avevo detto che non l'avresti presa bene»

🙆🏼🙆🏼🙆🏼🙆🏼🙆🏼🙆🏼🙆🏼🙆🏼🙆🏼🙆🏼🙆🏼🙆🏼🙆🏼🙆🏼🙆🏼
Buonasera ragazze, COLPEVOLE.
Mi ero presa una "pausa invernale" che è stata più lunga di quello che mi sarei immaginata e come ho scritto sul mio profilo non so se tornerò ad aggiornare assiduamente (lo so, la verità è che ne siete felici così non vi dovrete sorbire i miei capitoli infiniti e i romanzi al posto delle note post capitolo e tutto il solito dramma delle mie storie)

Per ora siamo arrivati alla parte che più voglio scrivere e parlo già dei prossimi capitoli, lo sapete che mi annoia raccontare sdolcinatezze e doppiette felici (e succederà qualcosa di più grande di un semplice litigio, la storia anzi prenderà un'ennesima svolta da tutt'altra direzione)

Ad ogni modo, voglio e devo accelerare i tempi. Nel progetto originale tra un capitolo e l'altro dovevano passare giorni, mesi, per riuscire ad arrivare a fine stagione 2015 senza aver scritto un'altra epopea, però fino ad ora non ci sono riuscita gran che. Mi ci impegnerò dal prossimo capitolo, e se non riuscirò nell'intento non so se proseguirò con la storia.

UNA cosa buona però in tutto questo tempo l'ho fatta: il trailer di THRONE. E se avrò tempo, aggiusterò anche quelli di YOUNG GOD.
La carissima Alexis ha deciso di tingersi i capelli e non sarei potuta essere più felice, vedrete perché nel corso della storia.

https://youtu.be/qq6XY208EDk

Alla prossima, spero presto.
Baci, Donna

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top