INTRO
Pressione.
Trecentocinquanta chilometri orari.
Frena. Moto di traverso.
La paura a braccetto, come una vecchia amica.
Probabilità di cadere? Dannatamente alte. Di farsi male? Altrettanto.
Di morire? Considerevoli. Ai piloti, però, piace giocare con la morte. È ciò che facciamo, gara dopo gara, staccata dopo staccata.
Un uomo saggio si chiederebbe perché. Perché rischiare tutto così, appesi alla manopola del gas?
Risposta non pervenuta, ma io, per fortuna, non sono mai stato saggio.
Prova a chiedere ad un pilota cosa lo spinge a vivere la vita al limite su una pista e probabilmente non saprà risponderti. Per la fama, forse. Per l'onnipotenza, anche.
Questo non basta però, non è così che si plasma un vincente.
Ho provato a dare un senso alla mia carriera giustificandola con un talento naturale e, probabilmente, la mia incapacità di fare qualsiasi altra cosa. Ma non è neanche questo il punto.
Cosa vedo quando chiudo gli occhi? L'anteriore della mia moto rivolto verso il cielo mentre sventola la bandiera a scacchi. Allora, forse, la risposta è così semplice come sembra.
Per vincere.
Un pilota rischia la vita per quella sensazione che ti si abbatte contro quando tagli il traguardo e non vedi nessuno davanti a te, quando osservi il mondo dal gradino più alto del podio e pensi che ti ucciderebbe dover stare tra la gente lì in basso a guardare, quando leggi nello sguardo degli altri il rispetto e ancor meglio la paura.
La paura degli altri di doversi confrontare con te.
L'odore, il sapore, il tocco della vittoria. Inebriante. Più forte e più pericoloso di qualsiasi droga.
C'è qualcosa di sadico nel voler distruggere se stessi pur di rispettare il preconcetto che abbiamo del nostro riflesso, della nostra apparenza. Arrivare al limite per dimostrare al tuo ego e agli altri che tu, proprio tu, ce l'hai fatta.
Tu sei arrivato primo. Tu hai abbattuto il record. Tu hai fatto il miglior tempo.
Non il tuo compagno di squadra, non il tuo acerrimo nemico, non il tuo connazionale.
Tu.
L'esaltazione dell'individuo.
La ricerca del limite ha un costo però e il lungo rendiconto viene a bussare alla tua porta quando meno sei pronto, per poter riportare le cose allo stato ordinario, per poter mantenere l'equilibrio. Il limite non è per tutti.
Eppure sono stato io ad indurre tutti a ricercarlo.
Io stesso ero il limite, per gli altri, mentre la mia soglia andava pari passo con una retta proiettata all'infinito. Finchè non mi si è ritorto contro.
Non ho paura ad ammettere di essere stato il migliore per due lunghi anni, dettando le regole, giocando con gli inseguitori. Nella nuova stagione, però, qualcosa è cambiato.
Sono sempre stato Marc Marquez l'alieno, quello di un altro pianeta, decisamente poco umano.
In questo 2015 ho dimostrato il contrario, e sono stato punito per questo. Ho lasciato che il ragazzino in me prendesse il sopravvento, nel momento in cui avrei dovuto dimostrare maturità. Ho sbagliato.
Sono stato uomo, nell'accezione più intrinseca di significati negativi possibile.
Io e i miei ventidue anni, io e il mio bisogno di supremazia, io e il mio orgoglio bruciante, io e la mia sete di vittoria.
Io e il mio amore per Reina, il suo lento declino, la forza innaturale racchiusa in quel corpicino forse troppo fragile. La mia incapacità di proteggerla da tutti i mali come invece avrei voluto.
Io e la mia inesorabile caduta verso il basso, nelle viscere più profonde del mio io, del campione che ha perso la sua corona, e conseguentemente la testa.
2015.
L'anno che ha trasformato il mio essere un ragazzino incosciente, ma genuino. L'anno della disfatta. L'anno in cui ho perso. Tutto.
Me ne sono reso conto solo ieri. Salendo sulla moto, prima del Gp di Valencia, per la prima volta senza avere voglia di scendere in pista e dare il massimo. Avevo invece voglia di gridare. Incattivito, inferocito, non volevo essere il migliore, avrei trovato molto più soddisfacente buttare giù chiunque avesse ostacolato il mio cammino.
A volte mi chiedo dove sia finito quel ragazzo che scoppiava di allegria, per il quale vincere era vitale e perdere solo una nuova occasione di imparare. Forse non lo sono mai stato, forse ho sempre avuto dentro questa oscurità. Forse è la stessa oscurità che ha lentamente divorato Reina.
Se così fosse, quando è venuta fuori? Cosa è cambiato? Dove ho sbagliato?
Dimmelo tu.
Giudicami. Te lo consento.
Prima, però, credo tu debba sapere come sono andate le cose.
Barcelona, 09/11/2015
TRAILER e CONTENUTI SPECIALI sul mio profilo IG (@donna_wattpad). Il TRAILER è su IGTV.
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