DEEP DOWN

It's the moment of truth, and the moment to lie,

The moment to fight.

- 14

||MARC||, Malesia - Gara 17/18

boom boom, boom boom, boom boom.

Il battito forte del cuore nel mio petto.

Boom boom, boom boom, boom boom.

Le urla dei tifosi, che trasformati in guerrieri accaniti e fomentati oggi più che mai arrivano distintamente persino nel box.

«Santi oggi finisce male, bisogna fare qualcosa» sento la voce di Reina mentre impreca sommessamente con il mio capotecnico, incaricato dal sottoscritto a tenerla fuori dal box.

Non riesco a catturare la risposta di Santi, molto più bravo a dire le cose sottovoce.

Nel frattempo mi dondolo a destra e a sinistra sulla sedia, con il casco tra le mani e la faccia dritta a fissare lo scarico della mia moto in preparazione.

L'unica cosa che sento, è che sento di non essere più io.

E forse Reina ha ragione, forse oggi finirà male perché ho la guerra in testa e le mani che non vedono l'ora di tormentare freni e gas e nelle orecchie tutte le dichiarazioni di Valentino che si susseguono in loop.

Parte dietro di me in griglia, e se ha pensato anche solo per un istante che non gli renderò la vita un inferno in pista si sbaglia di grosso.

Vuole vincere il campionato? Che lo vincesse, se riesce a superarmi. Di Jorge poco mi importa.

«Dobbiamo uscire in griglia» annuncia Emilio, il padre di Camilla nonché mio ex manager, ancora fuori servizio ma intervenuto sul campo dopo gli avvenimenti di Phillip Island.

Sempre con lo sguardo fisso sulla moto mi alzo dalla sedia e silenziosamente infilo il casco, i guanti, e mi metto a cavalcioni della mia Honda. Non appena i meccanici tolgono le mani dal telaio e mi accendono la moto parto alla volta del mio quadratino in griglia di partenza.

Il boato del pubblico ora è più forte, esattamente come il cuore che mi rimbomba nelle orecchie.

La moto ruggisce sotto il mio corpo, quasi mi sfugge persino durante il posizionamento. Anche lei è inferocita, pronta a dare spettacolo. Fosse stata così tutta la stagione non ci sarebbe stato neanche da lottare per il primo posto, avrei dominato. Ancora.

Ritrovo il team ad aspettarmi in pista, indaffarati come sempre. Questa volta non mi tolgo neanche il casco però, resto nella mia bolla di rabbia e concentrazione.

Solo a pochi minuti dalla partenza per il warm up lap riescono a disturbarmi. O meno, Reina riesce a disturbarmi.

Non so neanche come abbia fatto ad avvicinarsi senza che gli altri del team la allontanassero, fatto sta che mi accorgo di lei solo nel momento in cui mi si pianta davanti alla moto, mentre allunga le braccia fino ad afferrarmi il casco. La visiera è alzata, così quando spinge la mia testa contro la sua le sue parole arrivano forti e chiare. Così come il suo profumo, che se possibile peggiora la situazione nella mia testa.

«Marc sta attento» mi dice, la sua fronte contro il mio casco, i suoi occhi puntati nei miei «Non perdere la testa, fagli vedere chi sei senza fare cazzate»

Boom boom, boom boom, boom boom.

La guardo senza battere ciglio. Dentro di me c'è una lotta tra emozioni contrastanti che non riesco a mettere in ordine, che non hanno un senso o una logica. Sono un melting pot di roba che contribuisce a confondermi, a rendermi quasi inconscio di ciò che mi accade attorno. L'unica certezza che fa da faro nel buio è la mia missione di oggi.

Vincere.

E non solo vincere, stracciare Rossi.

Reina non è nel programma ora, e anzi, in questo momento è come se stesse accendendo la miccia.

Non le rispondo e restiamo così, a guardarci in silenzio mente nei suoi occhi leggo tutta la preoccupazione, l'affetto, ed è sincera come forse non lo è mai stata, ma non è questo il momento per pensare a noi.

E' Santi a costringerla a mollare la presa, quasi sradicandole le mani dal mio casco. Lei mormora qualcosa ma non riesco più a sentire le sue parole. Ed ora torno ad avere davanti ai miei occhi solo la pista e gli scarichi della moto di Daniel Pedrosa.

Il motore di Valentino ruggisce alla mia destra, poco più in dietro.

Pensavo che sarebbe stato tutto un caos e invece non appena i semafori si spengono mi sento lucido e vivo. Pronto ad affrontare il mio inferno.

Pedrosa si lancia oltre la linea del traguardo come una fionda, apparendo quasi imprendibile già dopo il primo secondo dalla partenza. Gli sto dietro, nonostante alle mie spalle senta la pressione del gruppo di piloti ammucchiati dietro i miei scarichi.

E vedo già Lorenzo farsi vivo al mio fianco.

Accelero per attaccarmi al posteriore di Pedrosa, per non lasciarlo sfuggire. Gli resto dietro per tre, quasi quattro giri, mi sento alla grande, invincibile. Forse è per questo, peccando di ubris, che commetto il mio primo errore della giornata.

Toppo completamente la curva cinque, allargando la traiettoria a dismisura fin quasi a finire fuori pista. Con la forza delle braccia e di una moto impeccabile riesco a restare sull'asfalto, vedendomi però Lorenzo sfilare davanti.

Torno in traiettoria prima che il pensiero di infilarsi possa concretizzarsi anche per Valentino, sbattendogli la coda della moto in faccia.

E che inizi il divertimento.

Se non mi supererà, potremmo pensare di andare a prendere Lorenzo insieme.

Se proverà a mettersi davanti, beh allora come dice lui, giocherò.

Il primo sorpasso non ci mette troppo ad arrivare, e in un punto in cui mi trova quasi impreparato. Tuttavia, non abbastanza perché non riesca ad incrociarlo una volta finita la curva.

Così il secondo sorpasso, così il terzo e così via, dando vita ad una danza tra scambi di posizioni mentre davanti a noi la carena blu di Lorenzo e quella arancione di Pedrosa diventano pallini sempre più piccoli.

Avanti, dimostrami che sei un campione, penso, e se potessi glie lo griderei perché sento proprio di dover gridare in questo momento. Se vuoi il campionato, vieni a prendermi.

Perché dovrebbe essere colpa mia, se non lo vincesse? Perché non dovrei lottare per la mia posizione in questa gara? Perché dovrei rendergliela facile, quando con quelle dichiarazioni lui sta rendendo la vita difficile a me?

Lo vedo, ogni volta che ci scambiamo le posizioni si innervosisce un po' di più, fa un po' più fatica. Lo sto sfinendo a neanche metà gara.

Ad un certo punto alza persino una mano per mandarmi a quel paese mentre riesce a mandare a segno un sorpasso.

Per qualche passaggio resta lì davanti a me ed io lo studio, lo infastidisco, preannunciando la mia entrata. Quando decido di farmi sotto lo faccio all'interno del rettilineo, e allargando un po' per colpa della scia vado a sbattere contro la carena di Valentino.

La botta è lieve e arriviamo insieme alla fine del rettilineo, davanti al quale riesce comunque a mettersi davanti Valentino. Per qualche attimo gli resto attaccato al posteriore, purtroppo però mi accorgo troppo tardi della sua entrata sbagliata in curva. Seguo la sua traiettoria, troppo vicino per fare altrimenti, e al centro della curva lui rallenta di botto.

Non ho capito la sua mossa, e neanche la mia moto l'ha apprezzata troppo. Perdo per un attimo l'anteriore, ma riesco a tenere su la moto, a non farla scivolare.

Aggiusta la traiettoria, penso, rendendomi conto che la collisione così è quasi inevitabile.

Il tutto accade nella frazione di pochi secondi. Completamente piegato in curva tocco con la manopola del gas quella che credo sia la coscia di Rossi.

Subito dopo, una ginocchiata manda fuori traiettoria il manubrio.

Perdo il controllo.

E sono per terra.

Facile vincere così.

✖️✖️

A: Reina

Avevi ragione. Ho perso la testa.

Da: Reina

Sei uno stupido.


Metto via il telefono quando Valentino varca la porta della race direction. Ho una ventina di chiamate perse, la maggior parte di Camilla, più di cinquecento messaggi non letti e una valanga di direct su instagram. C'è che mi difende, chi mi insulta.

Ma l'unica alla quale sentivo il bisogno di scrivere era Reina.

«Bravo, bella gara» sono le parole di Valentino, accompagnate da un fastidioso applauso, mentre va a sedersi attorno al tavolo. Non credo già di poter sopportare oltre.

Getto la testa all'indietro con nonchalance, lasciando che una risata sia la sua meritata risposta.

«Tu sei salito sul podio» controbatto solo dopo essermi accorto che nessun altro si azzarda a parlare, alzandomi dal divanetto sul quale ero stravaccato «La mia gara sarebbe stata bella se non mi avessi  buttato giù»

«Calmiamoci» intima mr. Ezpeleta, il boss della Dorna, prendendo posto al capo del tavolo attorno al quale fa cenno a tutti di sedersi. 

Pensavo di avere tante cose da rinfacciare a Valentino, verità e pensieri scomodi da sbattergli in faccia, e invece mentre mi siedo di fronte a lui mi viene solo da star zitto ad osservarlo. E' pazzesco come, anche se sono stato io quello buttato a terra, sia lui a risultare come vittima della situazione.

Vittima per cosa? Perché stavo difendendo il mio posto sul podio, perché non gli ho spalancato la strada verso Jorge.

E' giusto?

Rifletto in silenzio per tutto il tempo durante il quale ci costringono a rivedere le parti salienti della gara, con Emilio che mi lancia sguardi di traverso come sorpreso dalla mia reazione temprata.

L'unica cosa che catturo dal replay della gara è quanto sono, quanto siamo, stati bravi. Poi il resto è così chiaro, Valentino cambia traiettoria, allarga, mi aspetta in curva prima di ripartire. Forse non era sua intenzione primaria buttarmi giù, ma la sua mossa era certamente fatta per farmi sbagliare.

E sullo schermo è palese.

Quasi non ascolto il modo in cui cerca di giustificarsi, di convincere i commissari presenti di non avere colpe, troppo impegnato a chiudermi dentro me stesso per prepararmi a ciò che verrà. Perché qualcosa verrà, e sarà l'apocalisse.

Quando due come me e Rossi si scontrano si crea un'onda d'urto senza precedenti. E noi eravamo entrambi sulla sua cresta, in attesa dell'impatto.

E' Rossi il primo a colpire il suolo, quando dopo essersi appartata per decide la race direction legge la sua decisione ufficiale: Il pilota numero 46, Valentino Rossi, Team Yamaha, partirà ultimo in griglia al Gran Premio di Valencia, lasciando il mondiale aperto ancora per un'ultima impossibile impresa, un'ultima gara.

La punizione non mi fa né caldo né freddo, non mi interessa troppo come, mi importa solo che il suo gesto non rimanga impunito. E che sia chiaro chi dei due ha ragione.

Valentino resta in race direction per contestare, mentre io ed Emilio ci congediamo per tornare ai box.

Ed è lì che tocca a me, l'impatto. Perché non appena sono fuori dagli uffici e di ritorno nel paddock, vengo investito dalla peggiore verità che mi sia mai toccato apprendere: giornalisti, fan, piloti, tutto il mondo da questo momento mi odia.

Sento i fischi, sento le brutte parole, vedo le loro facce arriviate.

Boom, boom, boom, boom, boom.

Sento anche il mio cuore quasi in procinto di scoppiare.

Cerco di mantenere la mia solita espressione, guardandomi leggermente intorno. Emilio, con una mano sul mio braccio, sta cercando di tirarmi verso i box mentre mormora cose che non riesco a sentire per colpa delle orecchie ovattate dal battito.

Camilla sta correndo verso di noi, seguita da Alex e Santi.

Più in fondo, poggiata al muro ad osservare la scena a braccia conserte e con la tuta da gara mezza sfilata, c'è Reina.

Mi prendo tutti i loro sguardi, positivi o meno che siano almeno sono familiari. Mi nutro della loro vista, poi sgancio il mio braccio dalla presa di Emilio e dopo un giro su me stesso comincio a camminare frettolosamente verso il motorhome.

Mi ci chiudo dentro, sentendo i polmoni riempirsi a fatica e le gambe tremare.

Crollo per terra. Si, crollo. Io so cadere anche senza una moto tra le gambe, sul freddo pavimento della mia casa mobile.

So cadere perché sono un essere umano, anche se c'è voluta Reina a ricordarmelo, e nessuna acrobazia o gara vinta o titolo mondiale potrà mai cancellare questo. Sono fatto di carne e di ossa, di sangue, di pulsioni, e quando la prima lacrima comincia a bagnarmi la guancia, tirandone con sé ancora e ancora, non me ne vergogno.

Inginocchiato per terra mi sfogo, gridando contro il pavimento, stringendo i pugni.

Io ho sempre voluto piacere a tutti, ho sempre voluto spartire la mia positività, il mio sorriso, con chiunque, anche quando tutto andava male, anche quando avrei solo voluto buttare tutto all'aria, respiravo, sorridevo e lavoravo sodo.

Ora tutto questo sembra un ricordo lontano.

Ora quel Marc Marquez non c'è più.

Solo più tardi, quando questa valanga di emozioni riesce a darmi una piccola tregua, mi rialzo da terra e cerco di darmi un contegno. Con la mano tasto l'interno della tasca dei miei bermuda alla ricerca del telefono che ha vibrato per tutto il tempo.

Ignoro tutto, riapro solo la stessa chat di prima. Ci sono due suoi nuovi messaggi.

Da Reina:
Mi correggo, sei anche un idiota senza palle.

Da Reina:
Ma sarò sempre dalla tua parte.



🙆🏼‍♀️🙆🏼‍♀️🙆🏼‍♀️

Ciao, questo è il penultimo capitolo. Sono un po' speachless, e sopratutto non ho il coraggio di scrivere il prossimo capitolo e l'epilogo ahahahah
Ci sentiamo nei commenti ❤️
Ah, e grazie.
Grazie per essere così calorose ed essere ancora qui con me.Siete davvero fantastiche.

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