BLOOD


But the blood on my hands
Scares me to death

||MARC||

«Sai, non saresti dovuto cadere solo per farmi un favore e farmi sentire un pilota meno incapace di quanto sto dimostrando» mi saluta sogghignando Reina quando faccio ritorno nella piccola stanza del centro medico dove è ancora rinchiusa.

Il sole è ancora alto nel cielo ed illumina tutto a giorno, almeno però qui dentro non ci sono i trenta gradi che caratterizzano questa mite giornata primaverile in Argentina.

Una giornata da dimenticare, se possibile.

«Speravo mi dessero un lettino per poter stare qui con te, sai, un weekend romantico alternativo» scherzo comunque, allontanandomi dallo stipite della porta per chiuderla alle mie spalle e sedermi poi sul materasso sul quale Reina è sdraiata.

«Cosa ne pensi del fatto che questo zero in campionato sia dovuto al tuo fidanzatino?» continua a stuzzicarmi lei, assottigliando lo sguardo. Credo voglia capire quanto in realtà io sia incazzato per aver sprecato un'occasione di salire sul podio e la risposta è: tanto. Non è colpa di nessuno però.

«Secondo Vale è colpa mia, io credo che lui abbia fatto una traiettoria diversa dal solito, non l'ho calcolato e via, per terra. Non so come sembrasse dall'esterno»

«Per i giornalisti sembra appena iniziata la terza guerra mondiale, o peggio»

«E' questo che intendo, quando dico che tutto ciò che i giornalisti scrivono è da buttare»

Chiudo per un attimo gli occhi, cercando di calmare l'improvviso nervosismo. L'unico mio errore oggi è stato provare fino all'ultimo a vincere una gara che sembrava impossibile. Forse avrei dovuto far passare Rossi senza combattere, accontentarmi di un secondo posto, ma l'avrei rimpianto per tutta la stagione. Più di una caduta.

Quando non c'è nessuno da incolpare l'unica cosa da fare è prendere un bel respiro e lasciarsi tutto alle spalle, pensare alla prossima gara, a fare meglio.

Nel frattempo sento le dita di Reina intrecciarsi tra i miei capelli, delicatamente. Con le palpebre ancora chiuse giro leggermente la testa fino a sfiorare con le labbra il suo polso.

«Tu come stai?» le domando, mettendo volentieri da parte l'argomento gara per pensare a lei.

Quando riapro gli occhi trovo il suo sorriso ad accogliermi.

«Credo ci siano più antidolorifici nel mio corpo che sangue, quindi alla grande» risponde con quella vena agrodolce che le ha lasciato l'aver perso la gara. Mai come oggi viviamo la stessa situazione, le stesse emozioni. «Vieni qui» mormora poi, tirandomi a sé con il braccio buono che ancora accarezza la mia nuca.

Mi lascio volentieri trascinare in quella bolla che si crea quando ci siamo solo io e lei, scalciando via il mondo esterno per dare priorità a ciò che c'è di vero. A ciò che c'è tra noi.

«Andiamo, ti porto a casa» sussurro poco dopo mentre le mie labbra sfiorano le sue.

✖️✖️

La testa di Reina poggia alternativamente sulla mia spalla e sulla spalla di Alex, cambiando posizione ogni mezz'ora circa. Da più di quattro ore. Credo tra poco inizieremo a fare i turni per poter andare in bagno o sgranchirci le gambe senza svegliarla, anche se probabilmente continuerebbe a dormire persino se l'areo precipitasse. Anzi, in quel caso dormirebbe per sempre. E noi con lei.

Il dottore che l'ha seguita al centro medico le ha prescritto una dose di calmanti esagerata da prendere non appena fosse finito l'effetto degli antidolorifici, il che è successo solo dopo due ore di volo. Non apre occhi gli da quel momento.

Alex le ha fatto compagnia nel mondo dei sogni per un po' di tempo, la sua paura per gli aerei però l'ha fatto sobbalzare quando siamo stati sballottati da una turbolenza e ora osserva annoiato lo schermo del telefono.

Io sto per iniziare il secondo film consecutivo.

Credo che, dopo aver comprato la mia prima casa con i miei soldi, il prossimo passo sarà entrare in possesso di un jet privato. Così potrò fare davvero la superstar e non spararmi più undici ore di volo su sedili scomodissimi e senza lo spazio neanche per muovere le gambe. E per fortuna che sono basso.

«Potrebbero mettere almeno il wifi qui dentro» si lamenta Alex, perfettamente in linea con i miei pensieri.

«Perché? A chi vorresti scrivere?» lo stuzzico da bravo fratello maggiore.
Ci sono cose delle quali io e Alex non parliamo, una di queste è la sua vita sentimentale. Appunto, la risposta alla mia domanda è un dito medio alzato.

«Mio fratello è fidanzato con la mia ex ragazza, non posso avere una storia, credo sarò traumatizzato dalla cosa a vita» aggiunge poi. Per fortuna l'espressione seria sul suo viso si tramuta subito in una smorfia divertita «Sto scherzando, Marc»

Reina, la cui testa è ora poggiata sulla spalla di Alex, mormora sommessamente qualcosa come se fosse parte integrante della conversazione. È vero, Reina sta con me. Lei e Alex però hanno un rapporto speciale che tra noi non potrà mai esserci. Alex è una persona matura, molto più di me e lei. È come se lui passasse a setaccio tutta la rabbia, l'aggressività e la stronzaggine di Reina per farne una persona molto più ragionevole e malleabile. Cosa che ovviamente tra me e Reina, avendo le stesse meravigliose qualità, non potrà mai accadere.

«Alex mi dispiace di essere stato poco a casa ultimamente, poco con te» mi esce all'improvviso, spontaneo. Sono giorni che ci penso e so di non essere stato una grande presenza per lui esattamente come sembro essermi dimenticato del mondo intero.

«Stai solo diventando grande, o vecchio se preferisci»

Alzo un braccio per lasciare uno schiaffetto sulla sua fronte, godendo della sua impossibilità nel muoversi per colpa di Reina che gli blocca metà del corpo.

«Idiota» è l'unico modo in cui può rispondermi.

«Possibile che anche imbottita di sonniferi io non riesca a non ascoltare i vostri stupidi battibecchi?» biascica Reina dopo poco, aprendo solo per metà le palpebre e palesemente più nel mondo dei sogni che nel nostro

«Perché in realtà ci vuoi sempre con te» se la ride Alex, mentre davanti ai suoi occhi si muove nel vuoto una mano di Reina. Credo fosse uno schiaffo o una spinta che lei ha ovviamente mancato.

Reina abbandona la spalla di Alex per stiracchiarsi leggermente con le braccia verso l'alto, lasciando fuoriuscire un suono gutturale dalle labbra chiuse. Poi ovviamente il suo viso finisce col nascondersi nell'incavo tra la mia spalla e il mio collo.

«Abbracciami» mormora, mentre strofina con la punta del naso la mia pelle. Ovviamente è capace di dare ordini anche in queste condizioni. Fingo di non aver recepito il messaggio e non mi muovo, almeno finchè non è lei a cercare il mio polso, alzarlo e tirarlo finchè il mio braccio non le circonda le spalle.

«Agli ordini, capo» le rispondo ridendo, stringendola leggermente. Alzando poi lo sguardo verso Alex lo trovo mentre scuote la testa rassegnato.

«Ti ha in pugno, fratello»

«Più di quanto immagina»

Le successive cinque ore di volo non so neanche io come, ma passano. Tra un film d'azione che diventa un porno, Alex e i suoi gridolini femminili ad ogni vuoto d'aria e Reina e il suo delirio da mix di farmaci veniamo ufficialmente additati come "da evitare" agli occhi dal resto dei passeggeri sull'aereo. Arrivati in America con l'aria da campioni, torniamo a casa come il trio degli sfigati.

Atterriamo all'aeroporto di Barcellona che è l'1 di notte, fuso orario compreso.

Io e Alex portiamo anche le valige di Reina, che cammina sofferente alle nostre spalle, e le carichiamo nel minivan che ci porterà a casa.

Alex dormirà con noi sta sera, sembrava inutile farsi una mezz'ora di macchina per riaccompagnarlo a Cervera quando abbiamo casa a Barcellona con una stanza in più apposta per lui.

La città ci accoglie in tutta la sua bellezza, ricordandoci il suo fascino introvabile in qualsiasi altro posto del mondo. I locali sono chiusi e le strade poco affollate in questa domenica notte, nessuno accoglie i tre campioni perdenti che un po' ammaccati e un po' sconsolati fanno silenziosamente ritorno a casa.

Il mare è inquieto quando arriviamo sulla Barceloneta, scuro e impetuoso bagna la spiaggia a pochi metri da noi.

«Discreto eh» commenta Alex buttando uno sguardo in su quando faccio strada verso il grande portone di vetro del palazzo. Mi giro per fargli un occhiolino, ma in realtà neanche io mi sono ancora abituato a vivere in palazzo del genere.

Miguel, il portiere, ci accoglie sorridente nonostante l'ora tarda e ci aiuta a caricare le valigie nel grande ascensore specchiato. Scendiamo al diciottesimo piano, appartamento 50.5.

La casa è buia, ma calda. Alex si guarda attorno incantato mentre gli faccio strada in salone, dove Reina si avvicina alla grande vetrata per scostare la tenda e rivelare il panorama mozzafiato.

«Ragazzi, ma se mi trasferissi qui con voi?» domanda Alex, lo sguardo che vaga tra i tetti di Barcellona.

«Hai già vissuto vent'anni in casa con Marc, sei davvero sicuro di non volerne approfittare e liberartene definitivamente?»

«Giuro che potrei sopportarlo ancora un po' per vivere in una casa del genere»

«Grazie ragazzi, voi si che avete sempre parole meravigliose per me» li riprendo, sparendo per un attimo nel frigo per afferrare due birre.

Il fatto che Reina non si sia ancora accesa una sigaretta dopo undici ore di volo indica quanto stia male davvero, per quanto lei non voglia ammetterlo. Non le darò quindi una birra, che invece passo ad Alex.

Di svuotare le valigie non è ha voglia nessuno. Reina si sdraia sul divano e interagisce da lì con me e Alex che facciamo invece due chiacchiere seduti attorno al bancone della cucina. Non mi rendo assolutamente conto del passare del tempo, nonostante la stanchezza, nonostante le forti emozioni di oggi, mi mancava poter passare del tempo con Alex. E chissà, magari potrebbe davvero venire a starsi qui con noi per un po'. Sarebbe una restrizione sugli orari e sui luoghi del sesso, ma potrei adattarmi. Per un po'.

Quando decidiamo di andare a dormire sono ormai le tre passate e ovviamente Reina è crollata da un pezzo. La luce della cucina illumina malamente il salone, i capelli biondi di Reina sul cuscino del divano però sembrano risplendere di luce propria. Insieme al suo viso, una chiazza pallida sul tessuto scuro.

Mormoro il suo nome ma non sembra svegliarsi, così mi faccio girare il suo braccio attorno al collo e tenendola dalla schiena e da sotto le ginocchia la sollevo, cercando di non destarla.

Neanche faccio due passi, però, e nella penombra osservo i suoi occhi spalancarsi.

«Marc» mi chiama, leggermente allarmata. Il suo braccio, prima gettato attorno al mio collo, ora mi arpiona la spalla.

«Sono io, sono qui» sussurro dolcemente, piegando la testa fino a poggiare le labbra sulla sua fronte.

«Marc» ripete, questa volta più forte. Come in preda ad uno spasmo si agita tra le mie braccia, costringendomi a stringerla più forte.

«Reina» la chiamo, immobilizzato al centro del salone. Sul suo viso riesco ad intravedere un'espressione contratta appena prima di sentire il grido sommesso che fuoriesce dalle sue labbra.

Reina si agita ancora. Porta una mano sulla sua pancia, stringendo tra le dita il maglione che indossa.

«Reina, parlami» Ripeto più forte, mentre il battito del mio cuore accelera. La sua presa sulla mia spalla aumenta, fin quasi a perforarmi la carne con le unghie. Le sue labbra si schiudono nuovamente per lasciar andare un lamento che sfuma sussurrando il mio nome.

In preda al panico chiamo Alex, senza sapere se sia meglio farla stendere di nuovo o tenerla tra le mie braccia. Nel frattempo sento qualcosa a contatto con la mano che le sorregge le gambe.

Qualcosa di caldo, di umido, impregnato ora sui suoi pantaloni della tuta.

«Che succede?» Chiede affannato Alex, affacciandosi in salone. Le sue dita trovano la placchetta con l'interruttore dei neon e subito dopo la stanza viene inondata di luce.

«Marc» dice lui, con il fiato spezzato. La prima cosa che vedo è la faccia spaventata di mio fratello. Abbasso lo sguardo sul viso di Reina, sotto l'improvvisa luce appare più pallida del solito, la fronte è corrucciata e il petto si alza e si abbassa molto più in fretta del normale.

Una macchia scura attira la mia attenzione, all'altezza dell'inguine. Tolgo la mano da sotto la sua coscia per spostarla verso l'esterno, continuando a sorreggerla con le braccia.

Quando riesco ad osservare le mie dita il cuore si ferma.

Perché tutta la mia mano è sporca di sangue. I suoi pantaloni sono sporchi di sangue. Gocce di sangue stanno cadendo sul pavimento.

«Fa male» esclama Reina, stringendosi nuovamente la pancia. Il sangue continua a scorrere e tutto attorno a me comincia a girare.

Non farti prendere dal panico, mi ripeto, ma le mie braccia non tremano solo perché sono impegnate a sostenerla.

«Alex» lo chiamo, la voce spezzata. La ragazza che amo è tra le mie braccia e sanguina, ed io non ho la più pallida idea di cosa fare «sul tavolo ci sono le chiavi della mia macchina, andiamo in ospedale»


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Fu così che Marc arrivò in ospedale, i medici lo fecero sedere e, dopo avergli dato una caramella, gli dissero: sai ragazzino, ogni mese le donne perdono sangue, si chiama ciclo, è una cosa naturale!

ahahahah btw, ovviamente non è questo il motivo. VAI, voi che come me vi siete sparate tredici stagioni di Grey's Anathomy (so che ci siete), fate le vostre diagnosi e rendete fiera quella buon'anima del dott. Shepherd!

Questo è il capitolo più corto che io abbia mai scritto. Stupitevi insieme a me di essere arrivata a questo importante traguardo: un capitolo sotto le 3000 parole yeeeeee

non succederà più.

lol

Allora, che vvb lo sapete già, vi ringrazio però ancora una volta per il supporto che state mostrando seguendomi in quest'altra folle avventura <3 forse dopo tutto il dramma che vi sgancerò addosso non ne vorrete più sapere di me ma vabbèèèè confido nella vostra passione per le storie tristi e tormentate e difficili e imprevedibili proprio come piacciono a me!

Piccolo indizio comunque, non sarà niente di troppo tragico. O meglio, il motivo in sè per cui Reina sta male non è questione di vita o di morte. E ora via, libero sfogo alla fantasia!!

See u next week, se riesco anche prima <3

Ma il sangue sulle mie mani
Mi spaventa a morte
I'll be good - James Young

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