Your Mess Is Mine
One Shot partecipante al contest indetto da LeFateDellaNotte "Un amore fatato", in occasione della ricorrenza di San Valentino 2022
[ Young Tony x Peter - scienza, pokerface, cowboy - wc: 3310]
Your Mess Is Mine.
Quando entrò nel locale che gli era stato comunicato sul dispositivo, Peter Parker fu avvolto da un mantello di angoscia e una sferzata di aria gelida dietro al collo. L'aria condizionata era posizionata proprio sopra alla porta d'ingresso e, quel cambio di temperatura, gli fece gelare il sangue nelle vene. Fuori c'erano qualcosa come trentacinque gradi, lì si sfioravano i dieci, a occhio e croce. Strinse le mani a pugno, esibendosi in un lacerante lamento per il freddo, poi fece qualche passo avanti e si fermò in mezzo alla stanza: era un ristorante dall'arredamento minimal. I lampadari erano grosse palle di carta bianca e, i tavolini rotondi, erano separati uno dall'altro da un muretto abbastanza alto da coprire chi era seduto; forse un modo per mantenere una certa intimità. Prese un lungo, dolorosissimo respiro e, tirando fuori il dispositivo dalla tasca, lo accese.
Tavolo 20, diceva.
Zigzagò tra gli altri commensali; tutte coppie di persone intente a far conoscenza. C'era chi aveva già instaurato una sorta di confidenza, ridendo e scherzando come se si conoscessero da una vita e c'era anche chi, timidamente, tentava di mantenere in piedi una conversazione interessante. Rabbrividì. Era pessimo nei rapporti umani ed era la prima volta che faceva una cosa del genere. Si sentì un idiota, e l'impulso di andare via attraversò per un attimo la sua mente, abbandonandola poi quando raggiunge il suo tavolo e lo scoprì vuoto.
Forse l'altra persona ha già desistito. Magari mi ha visto da lontano e ha deciso di rinunciare, pensò, passandosi una mano tra i capelli, mentre si sfilava la borsa a tracolla e la poggiava sul divanetto del proprio tavolo. Un tavolo da due, come tutti gli altri. Strinse i pugni e poggiò i gomiti alle ginocchia, che iniziarono a muoversi nervosamente. Tentò di fermarle, ma con scarso successo. Si guardò ancora intorno, cercando di studiare la situazione e sobbalzò, quando qualcuno lo chiamò improvvisamente.
«Ehi!», esclamò la voce, e Peter alzò lo sguardo. In piedi di fronte a lui c'era un ragazzo più o meno della sua età: capelli castani alzati leggermente dalla gelatina, ma qualche ciocca gli cadeva distrattamente sul viso. Occhi marroni e grandi, contornati da lunghe ciglia scure, che risaltavano quel sorrisetto che gli stava rivolgendo. Peter quasi lo definì arrogante, ma con quel velo di incertezza che un po' lo rassicurò che anche quello, dopotutto, doveva sentirsi a disagio.
«Ehi», rispose, cercando di abbozzare un sorriso e facendo per alzarsi in piedi, ma vi rinunciò quando l'altro si sedette di fronte a lui e sospirò, stancamente.
«Scusa il ritardo ma c'era traffico e... bo', mi è quasi balenata in testa l'idea di non presentarmi.»
Peter si morse il labbro inferiore, non sapendo bene come prendere quella considerazione; se pensare che la colpa fosse sua o se magari, semplicemente, quello avesse avuto le sue stesse paure nel tragitto da casa a lì. Parve accorgersene e, mentre tirava fuori dalla tasca il suo dispositivo, alzò le sopracciglia.
«Non fraintendermi. Semplicemente queste cose non hanno mai davvero nutrito il mio interesse. Sono qui perché sono curioso. Sono... appassionato di scienza e ho sempre pensato che l'amore e tutti i suoi derivati fossero, in qualche modo, legati alla chimica e non alla matematica.»
Peter si sentì più leggero, tanto che le sue spalle si rilassarono. Il sorriso che aveva tentato prima, finalmente si palesò. «Oh, è lo stesso per me. Mi sto laureando al MIT in nanotecnologia e scienze applicate, quindi... diciamo che ho la tua stessa visione della cosa ma, non so, ho voluto provare per vedere quanta verità potesse esserci.»
«Al MIT? Accidenti, io mi sono laureato lì l'anno scorso. Che coincidenza!», rise in risposta lo sconosciuto e Peter alzò le spalle, sbuffando divertito.
«Magari l'algoritmo che trova l'affinità tra gli individui ha preso in considerazione questo dato», tentò, poi gli mostrò una mano che avrebbe voluto ritrarre, quando si accorse che stava tremando. «Sono Peter, comunque.»
«Tony. Piacere di conoscerti», rispose l'altro, stringendogli la mano, senza abbandonare quell'espressione troppo consapevole. «Insomma ti stai laureando al MIT. Incantevole, sul serio. Almeno avremo qualche argomento su cui conversare, in queste due ore forzate a conoscerci!», esclamò, e dal suo tono di voce c'era la totale e completa sicurezza che, da quell'incontro, non sarebbe mai nato niente. Non che Peter non pensasse lo stesso, ma il suo pensiero a riguardo era diverso. Aveva bisogno di trovare una persona con cui stare, siccome sua zia aveva iniziato a frequentare un tipo e casa sua iniziava a stargli un po' stretta, e voleva quasi andare via. Sua zia non gli avrebbe mai perdonato il fatto di aver scelto la solitudine piuttosto che lo stare con lei. Un ragionamento contorto, anche contraddittorio per certi versi, ma in qualche modo aveva anche ragione. Per questo si era deciso a comprare quello stupido dispositivo per gli incontri, dove uno stupido algoritmo calcolava la compatibilità con un altro individuo, definendolo poi un compagno di vita.
Provava imbarazzo quando pensava a quel fatto, ma allo stesso tempo era disperato. Era un disastro con i rapporti umani e lo dimostrava giorno per giorno, ora per ora, minuto per minuto. Secondo per secondo, da quando aveva messo piede dentro quel ristorante.
«Vuoi... vuoi controllare la nostra compatibilità? Magari, se non è molta, possiamo chiuderla qui, se preferisci», provò, timidamente.
Tony si mosse sulla sedia. Poggiò i gomiti al tavolo e congiunse le mani, sorridendo sornione. Aveva rovesciato lo schermo del dispositivo contro il tavolo. Peter lo aveva notato solo in quel momento. «No, mi va di parlare. Le persone si conoscono così, senza influenze assurde date da numeri. L'empatia ha poco a che fare con la scienza e io, di te, non so nulla. Ammetto di essere un genio, ma non sono onnisciente. Non ancora, almeno», disse, ostentando qualcosa di simile ad una finta modestia, che fece ridere Peter. Rovesciò anche lui il dispositivo e allungò la schiena verso di lui, incuriosito da quel modo di fare.
«Be', okay. Ci sto.»
«Parlami di te, allora. Che cosa vuoi fare della tua vita, che cosa ti piace leggere; i tuoi film preferiti, i tuoi hobby... insomma, qualsiasi cosa», lo spronò, andando dritto al sodo. Un comportamento che Peter non aveva mai adoperato e che stentava a riconoscere come un pregio negli altri. Solo che Tony ce la stava mettendo davvero tutta a cercare di metterlo a suo agio, così scrollò le spalle e sospirò.
«Non sono la persona interessante che ti aspetti. O forse nemmeno te lo aspetti. Insomma, si vede da un chilometro che sono una persona noiosa, no? Mi piace studiare, leggo un sacco e un po' di tutto, ma sono legato ai classici della letteratura. Il mio film preferito è Ritorno al Futuro tre, anche se so che è il meno amato della saga. Solo... che amo i cowboy, e questo un po' mi fa essere di parte. Poi... be', amo i videogame, sono un fanatico della Lego, ho una collezione di dischi vecchi dei Pantera a cui sono legato così tanto da non averli nemmeno tolti dal cellophane... ho una versione masterizzata nell'mp3 e... amo la scienza più di qualunque altra cosa; così tanto che pensavo si sarebbe presentata lei in carne ed ossa, stasera.» Seppe di aver concluso con una brutta battuta, ma Tony ridacchiò leggermente divertito, scuotendo la testa. Si raddrizzò sulla schiena e, sedendosi scomodamente su una gamba ma molto più a suo agio, sospirò ma il suo viso non cancellò quel sorriso.
«Dici che non sei interessante, eh? A me pare il contrario. Oltretutto quando ti sbottoni parli un sacco. Mi fai quasi concorrenza.»
«Be', in verità quando prendo confidenza non mi zittisco un secondo», lo avvisò e risero entrambi. «Ti posso rigirare le domande? Non sono bravo ad inventarle!»
«Puoi fare e dire quello che ti pare. Due ore sono poche per conoscere qualcuno», asserì Tony, poi poggiò i palmi delle mani sul tavolo, pronto al suo discorso come un avvocato con la sua arringa. «Non mi piace studiare, ma sono paurosamente capace a farlo in poco tempo. Non mi sono mai sforzato granché per raggiungere i miei risultati. Dopo la laurea sono finito a lavorare con mio padre. Lui ha un'azienda qui a New York, un po' famosa; tu che bazzichi il campo, la conosci sicuro. Leggo libri strani, per lo più romanzi assurdi; il mio scrittore preferito è Pollock; se lo conosci, sai di cosa parlo! Film preferito? Ne ho una quantità infinita, ma forse quello a cui sono più legato è Stargate. Un po' vecchio, lo so, ma non invecchia mai. Gli AC/DC sono il mio gruppo preferito in assoluto, ma spazio su tutto il rock e altri generi. La musica mi piace tutta, se è bella.»
Peter aprì la bocca, stupito. «Oh, gli AC/DC, quelli di Stairway To Heaven!», esclamò, frizzante, felice di aver colto di che gruppo stesse parlando. Tony lo guardò con una pokerface che lo fece sentire quasi sporco dentro, poi reclinò la testa all'indietro e scoppiò a ridere.
«No, quelli sono i Led Zeppelin», spiegò, tra una risata e l'altra, e Peter si sentì sprofondare nel terreno. Così tanto che poggiò la schiena al divanetto e scivolò giù, in imbarazzo. «Può succedere di confonderli – certo, sarebbe meglio di no, ma spesso la gente non sa distinguere Highway To Hell da Stairway To Heaven. Dopotutto il titolo forse un po' si somiglia. Inconcepibile che accada, ma il mondo è bello perché vario.»
No, non lo pensava davvero. Peter sapeva che era così. Solo che rideva, e non sembrava accusarlo di niente. Aveva sbagliato ed era la prima volta che si sentiva per nulla schiacciato dal peso dei suoi errori, come succedeva sempre, per questo si impegnava un sacco a non commetterne. Odiava sentirsi mortificato; eppure Tony non lo fece sentire a quel modo, continuando a sorridere.
«Respira, Peter», lo canzonò, facendogli aria e quando sentì il suo nome sbuffato via in quella risata strafottente, Peter capì troppe cose.
«S-sì. Be', dunque... come si chiama l'azienda dove lavori? Magari la conosco davvero.» Cercò di cambiare argomento e fu felice che l'altro accolse la cosa con un certo entusiasmo. Forse non aspettava altro che quella domanda. Si avvicinò e, in modo confidenziale, gli si rivolse.
«La Stark Industries. Conosci?»
«La Stark Industries?», quasi urlò, stupito e l'altro gli fece cenno di abbassare la voce, guardandosi intorno.
«L'ho detto a bassa voce apposta! Sai che scandalo domani, sui giornali, se sanno che il figlio di Howard Stark cerca l'anima gemella in un ristorante per incontri pianificati?»
«Scu-scusami!», balbettò Peter, e sapeva che la sua faccia aveva assunto il colore di un pomodoro maturo. «Ho fatto due applicazioni, alla Stark Industries! Alla prima non sono entrato, alla seconda... be', sto aspettando ancora i risultati ma è la mia ambizione più grande entrare lì e lavorare per... per tuo padre? Santo cielo, sei il figlio di Howard Stark e sei seduto al tavolo con me.» Si prese la fronte con una mano, convinto che stesse avendo le allucinazioni. Tony era lì, in carne ed ossa, e di cognome faceva Stark. Dunque era Anthony, il figliol prodigo, il genietto di casa Stark, la promessa, colui che avrebbe guidato, in futuro, l'azienda scientifica più importante d'America. Non era degno. Peter sapeva di non esserlo abbastanza, o proprio per niente, e quel dispositivo del cavolo aveva permesso loro di incontrarsi. Assurdo. Assurdo sul serio.
«Stai bene, Peter? Sei cianotico», gli chiese Tony, alzando un sopracciglio, tentando di nascondere una palese preoccupazione.
«S-sì... credo di sì. Comunque... forse sarebbe ora di controllare la compatibilità», disse, con un velo d'ombra nella voce, che si accorse di aver messo su inconsapevolmente. Non aveva mai creduto nell'amore a prima vista e, sebbene Tony non gli era indifferente, iniziò a pensare a una moltitudine di paranoie e epiloghi infelici, nei riguardi di quella serata.
L'altro sospirò e, come se fosse d'accordo ma non del tutto, girò il suo dispositivo. «Non ne sono convinto, ma sembra l'unica cosa in grado di tranquillizzarti, dunque okay.»
Peter si morse le labbra, ma non smise un solo istante di tenergli gli occhi addosso, mentre anche lui girava il suo dispositivo. «In effetti mi sentirei più tranquillo a sapere che sorte ci attende... quando vuoi.»
Parve scendere il silenzio, sebbene gli altri commensali intorno a loro stessero continuando a chiacchierare. Peter preparò l'indice tremante sopra allo schermo dell'aggeggio e, quando Tony fece lo stesso, vi cliccarono sopra. Fu interminabile il momento in cui abbassarono lo sguardo per scoprire cosa il destino avesse riservato loro e, quando infine la verità fu svelata, sentì un moto di delusione pervaderlo.
«Venti percento», dissero, all'unisono. A Peter non sfuggì il tono atono dell'altro e, sbatacchiando le ciglia un paio di volte, cercò qualcosa da dire che non fosse troppo rivelatore. Non voleva mostrargli la sua delusione, e il fatto che, dopo quella chiacchierata, un po' le aspettative si erano alzate. Venti percento significava meno della media. Significava che la compatibilità era quasi nulla e che loro due, di fatto, insieme non potevano funzionare.
«Un po' pochino, in effetti.» Fu il commento di Tony. Alzò una mano per grattarsi la testa, ma non gli occhi per incontrare i suoi.
«Be', direi che è deciso. Non... non mi pare il caso di proseguire, no?»
«Già.» Finalmente Tony alzò gli occhi sui suoi, e fece male. Un male lancinante, al cuore, all'anima, alla gabbia toracica e al cervello. Spine conficcate nella carne, incapaci di lasciarlo in pace, di fronte a quella verità.
Con un moto di coraggio che nemmeno credeva potesse appartenergli, prese la sua borsa e la indossò, mentre Tony poco dopo faceva lo stesso con le sue cose. Non sapeva se anche lui stava andando via perché non poteva crederci e stava tentando di allontanarlo per non stare male, o se davvero non gli importasse niente, ora che aveva capito che non c'erano speranze. Eppure gli aveva detto di non credere a quel sistema binario... e ora? Ora ci credeva?
«Allora... allora ciao. È stato un piacere, malgrado tutto», si sentì di dire, e l'altro si esibì in una breve risata.
«Breve ma intenso, sì. Allora ciao, Peter.»
Si alzarono in piedi. Si guardarono con troppe parole incise sul palato, incapaci di lasciare la loro bocca, come se il cemento le avesse bloccate lì. Peter balbettò un paio di frasi, poi arricciò le labbra e, prendendo un grosso respiro, si voltò e raggiunse l'uscita. Non ci poteva credere. Si era illuso? Si era fatto coinvolgere troppo da quel fascino che, a quanto pareva, era solo parte di una personalità così particolare come quella di Tony? Cercò di prefigurarsi un futuro con lui. Forse non avrebbe potuto funzionare davvero. Magari c'erano troppe differenze, che avrebbe scoperto poi, e che gli avrebbe reso la vita un vero inferno. Forse Tony aveva un carattere troppo forte – predominante, e lo avrebbe schiacciato, magari fatto sentire inadeguato. E Peter ci si sentiva troppo spesso, in quel modo. Forse era meglio così. Forse avrebbe solo sofferto. Forse... forse... forse...
«Peter!»
Si sentì chiamare e sobbalzò sulle spalle. Si fermò e si voltò. Alzò le sopracciglia stupito, quando vide Tony Stark correre verso di lui. Quando lo raggiunse gli si fermò di fronte, piegandosi con le mani sulle ginocchia per riprendere fiato.
«Hai dimenticato qualcosa?», gli chiese, e non seppe nemmeno perché. Fu la prima cosa che gli venne in mente di dire.
«Sì, il fatto che di questa cosa dei numeri non me ne frega niente. Me n'ero dimenticato.» Sorrise sornione, quando tornò in posizione eretta e lo spiazzò, con quell'uscita. «Non mi interessa un fico secco di quelle percentuali. Impossibile che quel coso possa prevedere come andrà una relazione solo in base a pochi dati e a un futuro plausibile ma non certo. Come fai a fidarti di una cosa così?», gli chiese, retorico e Peter riuscì solo a arricciare le labbra, di nuovo spiazzato. Di nuovo senza parole. Tirò fuori il dispositivo, meccanicamente, e quando vi posò il dito sopra per sbaglio, questi si accese. Trenta percento. Era salito?
«Che fa, ci prende in giro?», rise Tony e lui non riuscì a seguirlo a ruota. Troppo confuso. Che accidenti stava succedendo? «Lo vedi che la compatibilità umana e la matematica non possono coesistere?»
«Ne sei assolutamente convinto?», gli chiese Peter, lapidario, e si dispiacque del tono quasi infastidito che usò. Non perché la cosa non gli facesse piacere, ma sembrava assurdo.
«Sì, e mi fa anche abbastanza ridere, sai? Che cosa vogliono dimostrare?»
Peter avrebbe voluto rispondergli, ma la percentuale salì ancora. Cinquanta percento.
«Che acc-»
«Te lo dico io che sta succedendo: lo stiamo mandando in tilt, questo sistema di merda!», rise ancora, e indicò il dispositivo con un gesto teatrale. «Non sa più come comportarsi, perché nel suo stupido e infallibile calcolo, non c'era alcuna probabilità che io tornassi qui a parlarti. Non poteva saperlo. Non mi conosce, non sa quanto possa essere imprevedibile.» Il suo sorriso gagliardo gli illuminò lo sguardo. Peter aprì la bocca e balbettò un paio di frasi sconnesse, poi il dispositivo continuò a salire, fino al settanta percento. Il colore delle scritte cambiò da blu a rosso.
«Che... che dobbiamo fare, dunque? Sembrava che non ci fosse futuro, tra noi. Che non... che non fosse contemplata alcuna relazione stabile o un'affinità. Ora cosa è cambiato?», domandò, e la percentuale salì all'ottanta percento.
Tony reclinò la testa all'indietro e rise di gusto. Peter non poteva giurarci, ma gli vide esplodere nello sguardo quasi un sollievo. Si sentì meglio, ma la confusione non lo abbandonò, nemmeno quando l'altro gli prese le spalle tra le mani e accorciò le loro distanze. Dovette alzare di poco lo sguardo, per raggiungere quella differenza di pochi centimetri che li contraddistingueva.
«Niente. Non è cambiato niente, Peter. È la vita. La gente si conosce, si piace e ci prova. Nessun futuro scritto, nessuna percentuale che tenga. Non ci ho mai creduto molto, al destino, ma di certo è molto più indefettibile delle statistiche matematiche.»
«E, dunque, che cosa vuoi fare?», gli chiese, e non sentì nemmeno quello che aveva detto. Il cuore gli batteva troppo forte, di fronte a quella prospettiva nuova, che lo stupì per quanto era umana. Tony gli prese le mani; gli liberò quella occupata dal dispositivo, stringendolo tra le dita e, mentre questo iniziava a suonare con dei bip quasi insopportabili, indicando un'affinità del novantanove percento, se ne sbarazzò facendolo cadere a terra. Gli sorrise, e non gli rispose. Intorno a loro le luci esterne del ristorante illuminavano leggermente quel piccolo mondo dove erano finiti. Il giardino era colmo di alberi verdi e rigogliosi, un lampione decorativo sopra le loro teste e delle lucciole che danzavano intorno alla vegetazione, creando un'atmosfera irreale, quasi magica. Utopica, avrebbe detto Peter, qualche tempo prima.
«Provare a dar retta al destino e all'istinto. Chissà che non abbia ragione, per una volta», rispose Tony, in un soffio e un sorriso, chinandosi poi per baciargli le labbra. Fu un uragano nel petto, una martellata nel cuore; un cerchio alla testa e un cappio al collo che gli ruppe il respiro. Eppure, paradossalmente, accolse tutte quelle confuse sensazione con l'anima colma di gioia, Peter, e ricambiò dopo un momento di esitazione.
Stavano sfidando la scienza, e lui non lo aveva mai fatto prima. L'aveva solo amata, incondizionatamente. Eppure, dentro di sé, sapeva che lei lo avrebbe perdonato per aver usato, per la prima volta in vita sua, il cuore e non la ragione. Ne sarebbe valsa la pena, dopotutto e il sorriso che Tony gli regalò, quando si divisero, sembrava una prova inconfutabile che sarebbe stato così.
Fine
Note autore:
Sperando che la storia vi sia piaciuta, vi do appuntamento alla prossima!
Buon San Valentino in anticipo ♥
Miry
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