Wouldn't It be a Lovely Photograph?

[Oro, carta, velocità - wc: 3466]

Wouldn't It be a Lovely Photograph?

 Arriva un odore nauseabondo, dalla cucina. Un odore che punge le narici e, per quanto ormai vi sia abituato, Peter non riesce a non arricciare il naso, infastidito, mentre tenta di studiare per il test del giorno dopo; un lieve accenno di musica a riempirgli le orecchie e un pacchetto di patatine quasi consumato su una pila di libri. Sa benissimo qual è l'origine di quell'odore e, sconfortato, sa già che anche quella cena non sarà commestibile. Zia May è la donna migliore del mondo, ha mille pregi che farebbero sfigurare persino una First Lady ma, ahimé, non ha mai avuto granché talento, per la cucina. Il suo continuo tentativo di preparare qualcosa di buono è comunque notevole. Non si dà per vinta e Peter, è convinto che quel lato determinato che lo caratterizza, lo abbia ereditato in qualche modo da lei. Ne va fiero, ma il suo stomaco comincia a sentire la mancanza di un pasto decente.

 «Ho bruciato la cena.» Peter alza la testa dal foglio di carta su cui sta scrivendo i suoi appunti, verso di lei, che ha appena fatto capolino nella sua stanza, aprendo la porta. Alza le sopracciglia e si lascia andare sullo schienale della poltrona girevole. Vorrebbe dirle qualcosa come "Oh, non me n'ero accorto, sai?" E invece non lo fa, perché è un bravo nipote e lei sa sempre come vendicarsi delle sue battutine, dopotutto. Le sorride.

 «Vogliamo mangiare fuori? Non posso far tardi, domani ho il test, però non sarebbe un problema», dice, e il viso di May viene attraversato da un guizzo raggiante.

 «Davvero ti va? Io e te, soli soletti?»

 Peter si stiracchia e lascia andare uno sbadiglio senza coprirsi la bocca. Gli si riempiono gli occhi di sonno, ma non ne ha nemmeno un po'. È solo stanco morto, ha bisogno di staccare un attimo e, sinceramente, ha studiato abbastanza da essere sicuro che domani andrà tutto a gonfie vele, quindi annuisce.

 «Certo, io e te soli soletti. E il cameriere, che ti ronzerà intorno come sempre, sperando che tu gli ammolli il tuo numero.»

 «Nah, non succederà. Mi farò meno bella del solito, così nessuno verrà a romperci le scatole.» Gli fa l'occhiolino e Peter scoppia a ridere. Inclina la testa di lato e piega le labbra all'insù.

 «Tentativo inutile. Tu sei sempre bellissima.» Si alza in piedi. Ha le gambe indolenzite per il troppo tempo speso a gambe incrociate su quella sedia. Le ginocchia gli cigolano per un attimo e le si avvicina, quando May gli lancia un'espressione di finto stupore.

 «Oh, ho il nipote migliore del mondo!», dice, e Peter le regala un bacio schioccante sulla guancia. Si guadagna una pacca sul sedere e lei continua, «Vai a prepararti, allora. Sistemati i capelli con la gelatina, se puoi.» Lo squadra, gli arruffa la chioma tutta spettinata e fa una smorfia, «Sembri un barboncino».

 Peter alza gli occhi al cielo. «Un barboncino che può fermare un treno in corsa», si vanta, e lei gli riserva un'occhiata strana che lo fa ridere.

 «Vai, supereroe! E sbrigati, o non troveremo un tavolo libero», dice May, e lui si avvia verso la porta, «Ah, Peter.» Si volta, e incontra i suoi occhi frizzanti, ora luminati da qualcosa che ha appena ricordato. «C'è un pacchetto per te, è arrivato stamattina. Mi sono dimenticata di dirtelo!»

 «Un pacco per me?», domanda Peter, e la bocca gli si scuce in un'espressione di puro stupore. Non ha mai ricevuto niente che non sia un ordine fatto su Amazon o su qualche altro sito, tipo quello dove è abituato ad acquistare le sue magliette nerd – ne ha qualcosa come una cinquantina, May quasi lo odia, per questo –, ma non è mai successo che gli sia arrivato qualcosa senza che se lo aspettasse. Fa mente locale, alzando gli occhi verso il soffitto, cercando di ricordare se effettivamente ha comprato qualcosa, poi torna a guardare sua zia, che ora lo osserva con i denti stretti al labbro inferiore, dispiaciuta.

 «È sul tavolo. Facciamo così, tu soddisfi la tua curiosità e io nel frattempo vado a farmi una doccia. A dopo, Spider-Man», sorride lei, e Peter ha quasi la sensazione che stia cercando di defilarsi da qualcosa; come se, in qualche modo, le stia tenendo nascosto un fatto importante, legato proprio a quel pacchetto che ha ricevuto. May si dilegua a tutta velocità, e lui non riesce a fare a meno di raggiungere il salotto, dove una busta un po' robusta, color carta da zucchero, campeggia immobile tra le chiavi di casa e un carica batteria di riserva. La prende in mano, e l'acqua della doccia che si apre accompagna quel movimento. Meglio così, pensa Peter, quando volta la busta e legge il mittente.

Stark Industries.

Maneggiare con cura. Aprire con cautela; aprire con il cuore.

 Peter sussulta. Due semplici frasi, scritte con una grafia quasi maniacale, che riconosce come quella della signorina Potts. La frase che ha scritto, poi, è la prova schiacciante che si tratti proprio di lei, sebbene non vi sia altra indicazione che avvalori quell'ipotesi. Ha un sussulto, il cuore gli si infiamma e si riempie di qualcosa che non sa definire. Si sente il petto vuoto, ma non è doloroso. È un tepore diverso, un tepore che sa di casa, ma anche di una profonda e indecente malinconia. Gli fa ancora troppo male. Tutto questo, gli fa male. Ogni giorno tenta di combattere quel vuoto che Tony Stark ha lasciato e, sebbene stia cercando di superare la cosa pensandoci il meno possibile, non ci riesce totalmente. Forse Peter non ci vuole nemmeno riuscire, in realtà. Ha troppa paura di dimenticarlo. Ha troppa paura di lasciar andare via troppe cose che sono state e che ora non saranno più, per colpa di una guerra che nemmeno avrebbero dovuto combattere. Si sente diviso a metà, perché qualunque cosa contenga quel pacchetto, sa che lo distruggerà. Gli è bastato leggere da dove viene, per capirlo. Vorrebbe appoggiare quell'oggetto sul tavolo e fingere che non sia mai arrivato a destinazione. Vorrebbe fingere che non ha un impellente bisogno di sapere cosa contiene quel pacchetto. Vorrebbe fingere che, ogni cosa che riguarda Tony, può rimandarla. Non è così, e Peter lo sa benissimo.

 Si trascina in camera. Ha una scarpa slacciata, ma non gli importa. L'acqua della doccia è ancora aperta, e questo un po' lo rassicura. Chiude la porta alle spalle, senza riuscire a staccare gli occhi da quel pacchetto, da quella calligrafia ordinata, da quel Al Signor Peter Parker, che non è niente di che, ma a lui fa un certo effetto. Si siede di peso sul letto e, esitando qualche minuto con le labbra arricciate, alla fine si lascia andare ad uno sbuffo, e lo apre. Solleva la linguetta rigida della busta, e si rizza sulla schiena, con gli occhi già lucidi e il petto spalancato. Fa male. Ora il cuore gli fa male.

 All'interno della busta, infilata con cura in una semplice cornice nera, c'è una fotografia. La fotografia. Peter l'aveva rimossa dalla memoria, a dire il vero. O forse era stato il cervello a decidere che avrebbe dovuto dimenticarla. In realtà quel ricordo è più vivido di quanto credesse. Lui, Tony e l'attestato di frequenza allo Stark Internship. Semplice nella sua normalità, deleteria per i ricordi che lascia riaffiorare. Si passa la manica della felpa sugli occhi, per asciugarli, mentre osserva quelle figure statiche che erano lui e Tony, sorridenti. Due dita alzate l'uno dietro la testa dell'altro, un completo orribile che gli aveva prestato il fratello di Ned, Tony più casual che mai e la felicità. Niente di più semplice che quello, in un momento dove Peter, forse, non era stato conscio nemmeno di provarla. Avrebbe dovuto capirlo, a quel tempo, quanto era stato fortunato. Avrebbe dovuto capirlo, che non sarebbe durato per sempre e che avrebbe quindi dovuto godersi ogni attimo meglio di quanto aveva fatto. Si sente un idiota, e si maledice mentalmente. Passa il pollice sul vetro e accarezza la foto, prima di lasciarsi sfuggire un sorriso, mentre tira su col naso.

 Si piega, stringendo la foto al petto, come se fosse Tony. Come se non l'avesse mai perso. Come se non fosse successo niente. Niente di niente.

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 «Non ho mai frequentato lo Stark Internship, signor Stark», gli fa notare, con un sopracciglio alzato, mentre guarda scettico quella targa, col suo nome, tanti complimenti, per qualcosa che non ha mai fatto per davvero. Lo Stark Internship è una bugia. Lo è sempre stata. Un modo per convincere le persone che Peter e Spider-Man non sono la stessa persona, che uno è un supereroe e l'altro è un semplice secchione che fa cose in un laboratorio scientifico.

 Tony sbuffa e ridacchia, con le mani infilate nei pantaloni gessati. Ha su una maglietta assurda, con un disegno che va un po' interpretato, ma Peter è estremamente orgoglioso che la stia indossando, siccome gliel'ha regalata lui. Pensava non potesse piacergli – e forse è proprio così, eppure ce l'ha addosso. A Peter basta questo.

 «No? E Spider-Man, allora?», chiede Tony.

 «Be', lui è... un'altra cosa. Diciamo che, se avesse voluto proprio elogiare l'operato di Spider-Man, avrebbe dovuto, che so...», sbuffa divertito, ma in realtà è nervoso da morire, «farlo entrare negli Avengers?»

 «Peter, sei tu che non sei voluto entrare negli Avengers, te lo devo ricordare? Ti ho dato la possibilità di farlo,» sbotta il signor Stark, iniziando a contare sulla punta delle dita alcuni passaggi fondamentali di quella discussione, «ho organizzato una rassegna stampa, ho costruito una tuta da milioni di dollari e ti ho proposto di vivere al quartier generale. Tu hai rifiutato. Te lo sei forse scordato?»

 «Certo che no, e sono ancora fermo su quella decisione! Non sono pronto a diventare un Avenger, voglio rimanere con i piedi per terra, come ha detto lei», annuisce, e lo fa più per convincere se stesso, che il signor Stark. Quest'ultimo alza un sopracciglio, poi schiocca la lingua e gli posa una mano sulla spalla.

 «Peter, metti in pace il cervello, okay? Non ho intenzione di organizzare un altro incontro con i giornalisti. Se poi mi pianti in asso, non ho più nessuno a cui chiedere di sposarmi pubblicamente, a meno che non voglia farlo tu.» Lo dice con una serietà che spiazza, eppure sta scherzando. Tony Stark è così, dopotutto, prendere o lasciare e, malgrado in un primo momento Peter resta senza parole, due secondi dopo ridacchia a quella battuta, e fa di no con la testa.

 «Non le conviene sposarmi, signor Stark. Sono troppo volubile», gli dà corda.

 «E me ne sono accorto, Peter! Ora,» inizia Tony, poi prende in mano la targa e gli si avvicina per mostrargliela. «di solito non faccio foto con nessuno dei ragazzi che frequentano lo Stark Industries, e sinceramente non ho né il tempo né la voglia di farlo.»

 Bugia, vorrebbe dirgli Peter. Sa quanto tiene sia a quel progetto che ai ragazzi che ne fanno parte. Quelle rare volte in cui va a trovarli, scherza con loro, elargisce consigli a modo suo e si atteggia a divo inarrivabile, quando invece poi si ritrova a ricordare i nomi di quelli che lo hanno colpito di più, nominandoli di tanto in tanto, in quelle sue infinite chiacchierate dove, la maggior parte del tempo, ha il monopolio sui discorsi. Qualcosa che Peter ha imparato sia a conoscere, che a adorare, di quell'uomo.

 «Lo fa con me, perché ci tiene particolarmente, immagino», dice Peter, con uno sbuffo divertito, ben sapendo che la ragione non è ovviamente quella, ma non importa. Tony lo ha cercato, quando ha sentito parlare di lui. Lo ha voluto dalla sua parte, gli ha costruito una tuta, gliel'ha regalata e ogni tanto si aggrega a lui nelle ronde notturne per vegliare sul Queens. Così, giusto per fargli compagnia, e passare quelle notti insonni a far qualcosa di utile. Sinceramente, quella confidenza che si è creato con il signor Stark, vale più di qualsiasi altra parola.

 Tony alza le spalle, ma non lo guarda. «Una cosa del genere. Anzi, no. Lo faccio perché tu hai un alibi da sostenere, Parker! Mi serve che la gente sia convinta che tu passi il tuo tempo qui, a giocare con i microscopi e le fialette da laboratorio, non che ti arrampichi da un lampione all'altro come una scimmia!», lo redarguisce, lanciandogli un'occhiata di lato, che lo fa solo ridere di più. «Perciò, sistemati questa giacca color vomito di gabbiano, sistemati i capelli e facciamo questa benedetta foto. E non farmi sfigurare, anche se è praticamente impossibile che ciò accada!»

 «Signor Stark, lei è un esempio di moda. È elegante persino con quella maglietta che le ho regalato, sa?»

 «Ah, me l'hai regalata tu? Non me lo ricordavo nemmeno, figurati.» Sta mentendo, e Peter lo sa. L'ha indossata apposta, perché è con lui che deve fare quella foto. Perché sono loro due i soggetti di quello scatto e, in qualche modo, sa che Tony sta solo cercando di metterlo a suo agio e di dimostrarsi un suo pari. Sorride e abbassa lo sguardo sulla targa, ma non la vede nemmeno. Vorrebbe ringraziarlo per tutto ciò che sta facendo per lui. Vorrebbe ringraziarlo perché, se quel giorno lontano non lo avesse cercato e portato in Germania, ora non sarebbe la persona che è. Sarebbe ancora quel ragazzino emarginato, che cerca l'approvazione di qualcuno, ma non la trova da nessuna parte.

 «Signor Stark, è tutto pronto. Quando volete, siamo pronti a scattare!», dice un ragazzo sulla trentina, con una macchia fotografica in mano, munita di un flash a dir poco gigantesco. Ha una tracolla piena di obiettivi, rivelati dalla zip aperta su un lato.

 Tony si impettisce e fa l'okay con il pollice verso di lui, poi si gira verso Peter che lo ha guardato tutto il tempo, nervoso come se dovesse laurearsi di lì a poco. Il signor Stark gli sistema la giacca, dandogli un colpo secco, poi schiocca di nuovo la lingua, e lo guarda.

 «Sorridi, Parker. Se mi vieni in foto con quella faccia da funerale, ti tingo la tuta di rosa, chiaro?», si raccomanda l'uomo e Peter ha come l'impressione che dovrebbe imprimersi nella testa quell'attimo; quell'espressione che Tony gli ha rivolto, con quella faccia seria ma con un sorriso appena accennato su un angolo della bocca, quando lui ha annuito.

 «Chiaro!», risponde.

 Provano varie pose, in quella seduta di fotografia. Le prime sono goffe e impacciate, per nulla naturali. In molte Peter ha la faccia seriosa e tesa, in altre Tony fa troppo il piacione e il disinvolto. Poi però provano altre pose, in alcune si fanno i dispetti – tipo il signor Stark che gli copre la faccia con la targa dell'Internship, o una dove copre il viso di entrambi –, alcune dove si scambiano sguardi stupidi, ma dannatamente naturali. Altri in cui si divertono e basta, e una dove sono una accanto all'altro, tengono tra le mani il certificato, e si piazzano due dita l'uno dietro la nuca dell'altro, e sorridono. Sorridono spensierati, alleggeriti e privi di quella tensione che, Peter lo sa, ha attanagliato tutti e due, per qualche motivo. Forse perché Tony non è abituato a lasciarsi andare, di fronte ad un obiettivo e Peter ha sempre paura di deludere qualcuno, rimanendo se stesso.

 Quella foto è stupenda, e non c'è nessuno che ha detto il contrario. Quando le hanno guardate tutte scorrere su un proiettore, e quella lì in particolare si è palesata, tutti i presenti hanno sorriso. Anche Tony, e Peter lo ha visto, sebbene sia durato per solo un attimo. Si è sentito bene, in quel momento. Si è sentito come se, finalmente, qualcuno lo reputasse importante e che, quei sorrisi impressi in quella foto, avrebbero lasciato riaffiorare solo bei ricordi, ogni volta che l'avrebbero guardata in futuro.

 Tony lo becca. Lo becca che lo sta fissando e Peter distoglie subito lo sguardo, facendo finta di niente.

 «Ho la faccia da scemo. Ma almeno è quella venuta meglio», dice, quando sente i suoi, di occhi addosso.

 Tony sbuffa divertito. «Meglio la faccia da scemo che quella da funerale, Parker. Potrei quasi farmene dare una copia e metterla sulla mia scrivania.»

 «Davvero?»

 «Potrei. Ma non lo farò.» Peter lo guarda con una finta delusione e Tony reclina la testa all'indietro scoppiando a ridere, mentre i fotografi smontano tutto e iniziano a stampare la foto per poterla così archiviare nel database dello Stark Internship, così che, semmai succederà qualcosa, Peter avrà sempre il suo alibi di ferro. Una botte sicura, soprattutto perché è Tony Stark, ad avercelo infilato dentro.

 «È molto bella, in realtà», dice Peter, quando gli viene mostrata, e non ha il coraggio di chiederne una per sé, solo perché ha paura di risultare troppo sentimentale.

 Tony gli posa una mano sulla spalla. «Sì, lo è», ammette, ed è la prima e ultima verità assoluta che Peter gli sente dire, da quando lo conosce. Si guardano e si sorridono, forse ancor più genuinamente che su quella foto.

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 Peter sa che zia May lo sta lasciando solo, e che ha capito che non vuole che nessuno faccia irruzione nella stanza, in quell'istante. Lo sa perché l'acqua della doccia ha smesso di scorrere da un po', e sono passati minuti interi, da quel momento. Peter piange lacrime amare, mentre l'unico pensiero che gli tartassa la testa a tal punto da fargliela scoppiare, è quello che Tony Stark gli manca. Gli manca terribilmente e la vita è diventata un po' più difficile da affrontare, da quando l'ha perso. È difficile fingere che non gli sia importato poi così tanto, di fronte ai suoi compagni di scuola, perché nessuno di loro sa che durante quella battaglia lui era lì, e Iron-Man gli è morto davanti. Nessuno sa che è sparito per cinque anni lasciando il vuoto nel cuore di un uomo di cui si stentava a credere ne avesse uno. Nessuno sa che se Iron-Man ha scelto di agire, è solo perché voleva Peter Parker indietro. Nessuno lo sa, e nessuno deve saperlo, ma Peter ne è consapevole, perché Pepper glielo ha detto, e lui quasi si è sentito responsabile. Poi la signorina Potts gli ha accarezzato una guancia e gli ha sorriso come avrebbe fatto sua madre, se fosse stata ancora viva, e gli ha tolto ogni dubbio, ogni senso di colpa, ogni tormento.

 Peter piange, con ancora la foto stretta tra le braccia; gli tocca il cuore e lo risana, laddove si è spaccato; laddove Tony ha lasciato un vuoto incolmabile.

 «Peter?» È la voce di zia May, fuori dalla porta. È un lieve sussurro, che forse voleva che nemmeno udisse, ma è preoccupata e Peter lo sa. La lascia entrare e lei si siede subito accanto a lui. Gli prende la testa e la fa posare con delicatezza sulla sua spalla, carezzandogli i capelli, come faceva quando era bambino e aveva paura dei temporali.

 «Come fa il mondo a girare ancora, senza di lui?», le chiede, e si sente piccolo come una mollica di pane. Piccolo come un ragnetto infilato in un angolo della città, caotica, che nemmeno si accorge di lui. Lo chiede come se fosse ancora quel bambino impaurito, che cerca conforto e risposte assurde da una zia premurosa.

 «Gira ancora, perché è lui che lo ha permesso. Fa male, Peter, ma è la verità.»

 «Lo so», ammette, e quel ricordo straziante lo dilania ancora e ancora e ancora... «Mi manca moltissimo.»

 May sospira. Peter sa che non può mentire, che lui è esposto e troppo consapevole di quello che prova e che provava e che proverà ancora, in eterno, nei riguardi di quella figura che per lui ha fatto così tanto, e che poi lo ha lasciato solo per sempre. Che ha salvato tutti, ma prima di tutto ha voluto salvare lui.  May gli bacia la testa. Peter trattiene un singhiozzo e una lacrima negli occhi, che torna indietro, nei meandri della sua anima, che vorrebbe tornasse a splendere come oro, proprio come quando c'era Tony, ad illuminare la sua vita.

 Guarda la foto, di nuovo, e May fa lo stesso. Non smette di carezzargli i capelli e Peter gliene è grato. Ne ha bisogno. Ne ha tanto bisogno.

 «Ti va di raccontarmi com'è andata quel giorno? Magari la cena ce la facciamo portare a casa, che dici?»

 Peter non la guarda, ma si perde ancora in quel bel ricordo che quella foto gli ha donato, e accenna un sorriso. Tira su col naso e ha smesso di piangere. Non vuole piangere più.

 «Sì, mi va. Eccome se mi va.»

Fine

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Angolo autrice:

Buonasera bella gente,

Ebbene sì, sono tornata ancora ad aggiornare questa raccolta, siccome riguardando quella foto mi è venuto in mente "Chissà com'è andata, quel giorno...?", così ho deciso di scriverlo, anche grazie a qualcuno che mi ha detto "VOGLIO CONOSCERE LA LORE DIETRO QUESTA FOTO!" e quindi, eccola qua. Lo so, non sprizza totalmente felicità dai suoi pori, ma c'è dolcezza all'interno, malinconia e amore. Non è scritto la storia pensando a loro due come una coppia, ma nemmeno a loro due come se non fossero niente. Diciamo che va a libera interpretazione del lettore, e di come si sente. Se li vedete potenzialmente una coppia anche qua, ne sono felice. Se li vedete semplicemente come Tony e Peter, va bene lo stesso ♥ 

Purché li si amino ♥

A presto, spero.

Miry 

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