The Sunflower and the Sun
[ cuscino, sigaretta, limonata] [ ombra, viola, anima ] [ bagliore, galleggia, foresta ] [ wc: 1825 ]
The sunflower and the sun
Tony lo guarda. Incessantemente. Lo guarda come se lui volesse sparirgli da davanti agli occhi e non tornare più. Tony lo guarda come se fosse il suo universo, il suo centro, il suo mondo. Tony lo guarda come se al mondo non esistesse altro su cui valga la pena posare gli occhi. Tony lo guarda, mentre lui non lo fa, e fa male. Tanto male al cuore. Lo stesso che non sapeva di avere, lo stesso che non ha ancora imparato ad usare, a dosare, ad annichilire, quando batte troppo forte e lo rende esposto. Tony lo guarda e Peter non ricambia, eppure la notte prima gli ha infilato gli occhi nei suoi e li ha accesi, li ha fatti brillare. Gli ha donato dolcezza e calore. Gli ha regalato sorrisi e importanza. Gli ha messo in mano il suo cuore e se n'è privato. Tony lo custodisce vicino al suo, ma ha il petto troppo stretto per due cuori. Sa di dover scegliere quale sostenere e quale gettare via.
Tony però non vuole scegliere. Non con Peter. Tony vuole che quel ragazzo luminoso sprofondi nel suo cuscino, sotto di lui, e che lo guardi. Di nuovo. Che alzi le mani per posargliele sulle guance – come ogni volta, e che gli baci le labbra con una delicatezza tanto soffice da risultare letale. Intensa, sempre. Differente, unica, necessaria. E forse per Peter non è lo stesso. O così pare, ora che non lo guarda, e si ostina a fissare il bicchiere di limonata che tiene stretto tra le dita tremanti. Fuori dal loro mondo giocano dolorosamente a non essere niente di meno che un uomo grande e un uomo piccolo. Chi sia l'uno e chi l'altro, non è dato sapere. Tony si sente come se Peter fosse quel primo, assuefacente tiro di sigaretta che si dà alle scuole primarie. Quello che dà inizio a tutto, diventa un vizio, diventa una necessità; che quando manca rende nervosi, rende irritati, crudeli, a volte. E allora lo guarda, e cerca solo uno sguardo; cerca quel movimento di ciglia che si alzano e gli mostrano i suoi occhi, ma quelli non lo vogliono vedere. Non in quel momento. Non in mezzo a tutti quelli che non devono sapere cosa sono. Che non devono sapere quanto è dolce stringere le dita di Peter tra le proprie falangi, e poi baciargli il palmo, guidarlo sul morbido materasso e spingerlo giù, nella gola di un burrone, abbracciato a lui. Fa male l'impatto con il terreno, ma è la caduta che rende liberi. Quella che, inesorabilmente, svuota la mente e la spegne, per quei pochi istanti che rendono la vita differente, non una cupa ombra di se stessa, ma altro. Tony non sa cosa, ma gli piace, e l'unica cosa che odia, di quel rapporto, è che debba viverlo dentro l'anima e mai al di fuori di essa. Solo loro, sempre loro, e forse è meglio così. È di certo meglio così.
Che terribile scusa...
Arriccia le labbra. Sospira amareggiato e distoglie lo sguardo, con una difficoltà che non gli è mai appartenuta. Fissa ogni persona che occupa quella festa, ogni Avenger, ogni ufficiale, ogni membro dello S.H.I.E.L.D- – tutti, fissa tutti e Peter è ancora arginato nel suo angolo, a guardare la sua bevanda e a chiedersi cosa ci fa lì, ad una commemorazione di cui non importa niente a nessuno. Perché Tony lo sa. Percepisce ogni suo pensiero, ogni sfumatura viola di quel senso di inadeguatezza che quel ragazzo sente lì, a scuola, a casa, ovunque tranne quando è incastrato tra le sue braccia. Arrogante. Tony è arrogante solo a pensarlo, ma è così. È così, lo sa. Perché è lo sguardo di Peter, ad averglielo detto più volte, anche quando non avrebbe voluto. Perché Peter lo ama, ed è convinto che la cosa non sia reciproca, e allora non glielo dice, ma se lo lascia scivolare via dagli occhi, quel sentimento e Tony ne rimane sempre, costantemente annichilito. Una sensazione che odia provare. Lui, il mai schiacciato, mai vinto, che si piega all'amore di un ragazzino che non si è mai sforzato abbastanza, per meritare il suo cuore, per quello Tony si è appropriato del suo. Come per dispetto.
«Signor Stark?»
Ancora...? Non imparerà mai a chiamarlo per nome, nemmeno per sbaglio. Non ci riesce, a superare quella linea di confine che hanno valicato da troppo. Non ci riesce, ed è adorabile e fastidioso allo stesso tempo. Ed è lì, accanto a lui, e non lo ha nemmeno sentito arrivare. Gli tira delicatamente la manica della camicia e quando si volta, Tony trova labbra arricciate e sopracciglia inarcate, ad accoglierlo. Vorrebbe tirargli via dalla faccia quell'espressione mortificata e imbarazzata, ma non può, perché sarebbe ipocrita. Perché, sebbene non abbia la stessa espressione stampata in faccia, Tony si sente esattamente allo stesso modo: fuori luogo, fuori contesto, fuori dal suo mondo. E ci sta male, lì. Sta male ovunque non può essere se stesso e lasciarsi andare, da quando ha scoperto come si fa, a slegare le catene delle etichette che si è dato e che gli hanno appiccicato addosso.
«Non ti stai divertendo?», gli chiede, eppure lo sa benissimo, che è così. Cerca di regalargli un sorriso, che si piega solo da un lato, bloccato da troppe cose, una fra queste, il muro che si impongono di tirare su in certe situazioni.
«No. Ma non è quello, il problema. Non mi diverto da quasi nessuna parte, solo... non voglio stare qui. Vorrei andare a casa e volevo sapere se per lei è un problema.» E lo è. Lo è dannatamente, un problema, perché Tony vuole stare lì a guardarlo, come un girasole che si muove solo quando la sua unica ragione per alzare la testa è nel cielo. Tony vuole che rimanga lì, immobile come la stella più grande del sistema solare, ad assecondare quel suo bisogno di brillare, consapevole che non sia di luce propria, quel bagliore. Una cosa che lo ha mortificato, tempo fa, e che ora accetta e quasi non riesce a vivere senza.
Se il suo sole se ne va, il girasole abbassa la testa; smette di esistere davvero, fino al giorno dopo. Non vuole che accada. Non vuole. Vorrebbe che fosse giorno per sempre, ma Peter non è il sole e lui non è un girasole. Peter è la sua ossessione, e lui un uomo troppo grande per amare così incondizionatamente, senza dosarsi, senza limitarsi, senza darsi freni maturi e piccole concezioni occasionali, e farsele andare bene.
«No», sì, lo è. «Perché dovrebbe? Non posso mica costringerti a rimanere se non ne hai voglia.»
Peter allora si morde il labbro inferiore. Gli cresce l'ansia ma anche l'amore. Per un attimo lo vede affacciarglisi sulle guance e negli occhi, poi sparisce di nuovo dietro l'insicurezza di uno sguardo che fugge da un'altra parte. «Può costringermi, se è quello che non vuole che faccia.»
«Io non ti costringo a fare un bel niente, Peter. Sarei un tantinello ipocrita, che dici?», e lo sono. Io sono un ipocrita del cazzo. Vorrei che rimanessi, lo pretendo, ma tu sei tu e non posso costringerti a incatenarti a me e fare tutto quello che voglio.
«Sarebbe un desiderio giustificabile», risponde Peter e le parole galleggiano, volano, si infrangono contro il muro tra di loro, e se ne avverte una consistenza diversa, che a Tony pare un invito. Costringiti ad andare via, a venire con me. È il vero significato di quelle parole e di quelle labbra arricciate, che reclamano baci e sussurri al veleno. Che vogliono ancora accorciare quelle distanze che feriscono, annebbiano, e sono una foresta immensa dove perdersi.
Andiamo via e facciamo l'amore in macchina. Portiamo le nostre carcasse aride fuori da qui e torniamo a splendere. Io come un girasole, tu come il mio sole. Ti voglio guardare. Mi voglio muovere su di te e in te e morire sulle tue labbra per vivere ancora. Voglio questo e vuoi questo. Vuoi questo?
Non serve una sola, dannata parola. Peter ha capito e Tony ne è succube. Quanto odia esserlo e assecondarlo, perché quel giovane non gli lascia altra scelta! Sbatte le ciglia e apre gli occhi. Non c'è più la festa, n'è gli Avengers, n'è il mondo. C'è Peter, che lo guarda. Che annega nel suo sguardo e gli lascia una scheggia negli occhi. Un filo. Una ragnatela di sentimenti e consapevolezze. Sbatte di nuovo le ciglia e torna a quella festa, col solo ed unico intento di abbandonala e scappare.
«Andiamo via.»
«Dove vuole andare?», chiede Peter, e un sorriso gli vibra sull'angolo della bocca. Sì arriccia, e splende ancora, e ancora, e ancora...
Tony sospira. Ovunque purché ci sia tu. Solo tu. Vorrebbe dirgli, ma è qualcosa che si discosta troppo dal suo modo di essere, di fare, e allora semplicemente non lo fa e sorride sornione. «Tu dove vuoi andare?», gli chiede, in un desiderio troppo grande di assecondare ogni suo bisogno. Vorrebbe sfiorargli le guance con il dorso della mano. Vederlo chiudere gli occhi per godersi quel tocco e sentire i suoi sospiri innamorati sfibrarsi dalle sue labbra e divenire vapore. Vorrebbe togliergli quella buffa giacca di seconda mano dalle spalle, sfilargli via la maglietta e baciare ogni singola cellula del suo corpo. Vorrebbe sentirlo aggrapparsi al suo collo e alle sue bugie, quelle che gli racconta quando gli dice che, tra loro due, non può funzionare per sempre. È questo a fare male. Il fatto che Tony sa che, per quanto lo riguarda, Peter rimarrà nel suo cuore per l'eternità. Per quei pochi anni di vita che gli sono rimasti da vivere, troppo pochi rispetto a quelli che Peter deve ancora affrontare, col rischio che smetta di amarlo, solo perché il tempo a volte sfianca e corrode quel sentimento. Fa paura. Tony affievolisce quel leggero sorriso, a quel pensiero. L'amore, il sentimento, l'incastro perfetto di due cuori, non reggono il peso di trent'anni di differenza. Può fingere che non ci siano, ma ci sono, e fa male.
Poi la paura sfuma, quando la dolcezza sovrasta ogni cosa. Peter espone la purezza. Sì scosta una ciocca di capelli — troppo corta, dietro un orecchio. Abbassa la folta corolla di ciglia e sorride.
«A casa sua. A casa tua», si corregge con una frizzante intraprendenza, poi alza gli occhi, «Vediamo un film, mangiamo un cheeseburger», e facciamo l'amore. Non lo dice lui, lo dice la sua anima. Gli occhi che brillano e Tony non capisce più chi è. Nemmeno un po'. La sensazione più bella che abbia mai provato in vita sua.
Sbuffa divertito. «Scappiamo», dice e Peter ride. Annuisce.
E Tony, quella differenza così grande, lunga trent'anni, ora la ricorda a malapena. E come un girasole senza età, segue il suo sole eterno, sperando che non faccia mai buio.
Fine
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