Oh, Teacher!
[ Divano, soffitto, tavolo - words by: We_smile_outside - wc: 3724 - fluff - Teachers!AU ]
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«Professore, me la toglie una curiosità? Ma tra lei e il professor Stark, c'è qualcosa?»
Un attacco di cuore, ecco cosa lo sta decisamente uccidendo, il professor Peter Parker. Si piazza una mano spalancata sul petto, mentre il bricchetto del succo di frutta che tiene nell'altra, viene letteralmente stritolato, in un riflesso incondizionato, spaccandosi; gli imbratta i vestiti. Bene, pensa, gran bel casino, Peter! Non hai nemmeno dei pantaloni di ricambio!
«Ci ho forse preso?»
«Cos- No! Certo che no!», risponde; gli vibra la voce in una risata nervosa. Ned si scambia un'occhiata di intesa con MJ, che incrocia le braccia al petto con un sorrisetto che non ha nulla di buono da offrire. «Che cosa vi fa credere una cosa del genere?»
Ned alza le spalle e fa una smorfia strana, che sa di superficialità e di una confidenza non convenzionale tra un professore e uno studente, ma Peter sa che è decisamente colpa sua, se i suoi alunni si permettono, talune volte, di rivolgersi a lui come se fossero amici intimi. Un errore che avrebbe dovuto limitare, a suo tempo, e che ora è fuori dal suo controllo.
«Sembrate sempre così affiatati e intimi!», commenta MJ, in tono mellifluo, e lo fa arrossire. Peter odia con tutto il suo cuore quando non riesce a trattenere le sue emozioni. Vorrebbe scavarsi una buca e sprofondare nel pavimento, per non riemergere mai più.
«Ma che... non siamo nemmeno in confidenza!», si giustifica, mentre la sua coscienza, vestita dal suo alter-ego con la tuta rossa, gli dice "ma per quale accidenti di motivo ti stai giustificando?" Lo sta facendo. Di nuovo. Giustifica e dà spiegazioni a congetture alla quale potrebbe rispondere con una negazione, senza esporsi così tanto. Ma lui è così, va a sentimento. Ogni cosa che gli passa per la testa argina il filtro del buon senso e della ragione, e scivola via dalla sua bocca, senza freni. Vorrebbe fuggire via, ma sarebbe la prova inconfutabile che quei due ragazzini hanno dannatamente ragione.
È il suo primo anno da professore di ruolo, lì alla Midtown. Ha iniziato come tirocinante l'anno passato poi, con sua grande sorpresa, è stato assunto. Ha solo venticinque anni e già insegna chimica in una scuola, dopo essersi laureato a tempo record e aver vissuto momenti di studio infinito che, grazie a dio, hanno dato i loro frutti. Se ne compiace, ma ha sempre paura di risultare dannatamente inadeguato. Il Professor Stark, invece, è lì da molto più tempo. Ha una quarantina d'anni, insegna ingegneria meccanica, e ha un fanclub personale composto da ragazzi e ragazze di tutte le età. Una cosa inquietante, secondo Peter, e anche scoraggiante, siccome sì, è vero, ha una cotta pazzesca per lui. Ma, andiamo! Chi non l'avrebbe? Tony è affascinante, simpatico, irriverente, un po' spaccone e alla mano, malgrado sia uno degli uomini più ricchi del paese e sia – non troppo segretamente – Iron-Man, l'uomo di ferro, quello che si è costruito un'armatura per difendere il mondo dal male, accompagnato da un'altra serie di personaggi interessanti – tipo Captain America o Vedova Nera, gente con due palle così!
Tony Stark è qualcuno di inarrivabile, di inavvicinabile, a meno delle riunioni in sala professori, dove riescono a spiccicare qualche parole, di tanto in tanto, quando gli altri non monopolizzano l'attenzione su di lui e lo fanno sembrare un divo di Hollywood – che poi, alla fine, non è tanto lontano dall'esserlo, siccome un mese sì e un mese no è in copertina su Vanity Fair. Peter sa per certo che una persona così non potrà mai notarlo; è sicuro che, alla fine, non vale la pena nemmeno farsene un cruccio. È una cotta passeggera, o forse è solo affascinato da quel modo di fare così in contrasto col suo. Gli passerà, ma di certo le congetture dei suoi alunni non lo aiutano in quel processo.
«Sareste una bella coppia, comunque. Gira voce che sia single. Io ci proverei, a invitarlo a cena», interviene MJ, e lo dice con una tale noncuranza, che Peter sgrana gli occhi e la guarda come se fosse un alieno appena sceso sulla terra per lobotomizzargli il cervello. Il che non lo stupirebbe, siccome a quella ragazza sembra mancare qualche rotella.
«Io no, non ci proverei!»
«Ma perché no?», piagnucola Ned, e sembra aver preso quella faccenda quasi sul personale.
Peter tira uno sbuffo frustrato. Si passa una mano tra i capelli e si acciglia. «Perché io non ho una cotta per il professor Stark!» I due si lanciano un altro sguardo d'intesa che, invece di migliorare le cose, le peggiora. «Sentite, mi fa piacere che la vostra attività extrascolastica preferita sia shippare i vostri professori tra loro, ed è anche abbastanza divertente, immagino ma... be', trovarcisi dentro non è il massimo, credetemi, perciò smettetela di farlo davanti a me o... o vi boccio!», sbotta, e la sua credibilità è pari a quella di un cadavere decomposto. Ha l'autorità da professore, ma non riesce a metterla in pratica. Troppo morbido, così lo ha definito Banner, il professore di laboratorio che lo affianca durante le lezioni. Peter lo è, ma non può farci niente. I suoi alunni lo adorano, dopotutto, e malgrado la sua infinita bontà e l'incapacità di opporsi a certe confidenze, quei ragazzi non gli hanno mai creato problemi degni di nota. Si impegnano tutti, e non vuole sembrare arrogante, ma forse è anche merito suo.
«Come vuole», dice MJ, in un tono neutro, da cui è difficile non cogliere una certa delusione. Peter alza un sopracciglio, ma non ribatte. Vuole che quella conversazione si chiuda lì, per sempre, e che quei due la smettano di tentare di trovargli una moglie o un marito.
«A proposito! Perché non passate l'intervallo con i vostri compagni, invece di tormentarmi?», chiede. In effetti sono fuori in giardino, in attesa che la ricreazione finisca e che le lezioni ricomincino. Tutti gli altri ragazzi sono sparpagliati di fronte all'entrata; chiacchierano, fumano – anche se non dovrebbero –, ci sono coppiette che si sbaciucchiano e gente che mangia senza un minimo di decoro. Solo quei due gli ronzano sempre intorno e Peter proprio non si capacita del perché, malgrado la loro compagnia sia anche piacevole, per certi versi.
MJ e Ned si scambiano il solito sguardo di intesa. «Perché adoriamo tormentarla, professor Parker.»
...
«Parker?»
Peter si volta e ad accoglierlo c'è il faccione sorridente del professor Banner. Quell'uomo è sempre di buon umore, sebbene la leggenda narri che, nei momenti di rabbia, sia una delle persone più temute della scuola. Peter non vuole scoprire di cosa è capace e spera di non scoprirlo mai.
«Signor Banner, mi cercava?», chiede, e ricambia quel sorriso, stringendo tra le dita la sua cartellina scolastica.
«Non proprio io. Stark ti cerca. Dice che deve chiederti una cosa e che ti aspetta in sala professori tra un'ora.» Gli poggia una mano sulla spalla e Peter sussulta. «Tranquillo, dovrà farti uno dei suoi discorsetti. Da quando è vicepreside si accredita della facoltà di farli a chiunque, tu non ne sei esonerato, temo.»
«Discorsetto? Ho fatto qualcosa che non dovevo?», chiede, e gli sale il panico sotto al palato, che comincia a battere come se il cuore gli fosse salito improvvisamente in gola.
«Tu? Nah, non credo. È solo arrogante, ormai dovresti saperlo! Vacci con tutta la tranquillità di questo mondo e vedrai che tutto andrà bene», cerca di rassicurarlo, ma quell'intenzione non sembra sortire alcun effetto, siccome Peter inizia ad agitarsi. Milioni di domande diverse si avviluppano nel suo cervello sempre in moto – tra un'equazione matematica e una formula chimica – e, distratto da pensieri sempre più assurdi – tipo un licenziamento in tronco –, la sua ora di lezione la passa a cercare di cavarne un ragno dal buco, da quel fatto. Ragno. Ah, quell'animale lo perseguita, da quando uno di quegli esserini lo ha morso e lo ha reso la cosa più vicina a un disastro con troppa forza nelle braccia e ha deciso di mettersi al servizio della città sotto lo pseudonimo di Spider-Man. Un piccolo lavoro extra che non gli frutta un soldo in più, ma che gli dà immensa soddisfazione. Ha anche avuto modo di collaborare con Iron-Man – insomma, col signor Stark – ma questi non ha idea che, dietro la maschera rossa, ci sia la sua faccia. E, per come la pensa Peter, sarebbe meglio che non lo sapesse.
«Glielo chieda, professore! Gli chieda di uscire, per favore!», lo incalza Ned, quando la campanella annuncia la fine dell'ora e lui e MJ stanno per lasciare l'aula.
Peter alza un sopracciglio. «Semmai dovessi chiedere qualcosa al signor Stark, sarebbe il favore di farvi sospendere entrambi!», minaccia e poi li caccia via, ridacchiando nervoso. Quando finalmente lo lasciano in pace, sistema le sue cose, con una calma che non gli appartiene. Sta temporeggiando, e lo sa benissimo, sebbene non voglia ammetterlo. L'idea che Tony Stark voglia parlargli lo spaventa ma, allo stesso tempo, una fiammella si accende nel mezzo del suo petto, e gli scalda il cuore. Non ci riesce, a non sorridere. Si alza in piedi, un po' raggiante e un po' paranoico, due stati d'animo completamente agli antipodi ma che, paradossalmente, sono il riassunto di sé. Stringe il registro al petto, dopo aver infilato la tracolla e si avvia verso la sala professori, con la sensazione inquietante che qualcuno lo stia osservando da lontano. Si volta, un paio di volte, ma non trova altro che un corridoio stracolmo di studenti impegnati a raggiungere le loro aule per il cambio dell'ora. Percorre un paio di metri e, sistemandosi un ciuffo ribelle che gli ricade sulla faccia – senza ovviamente riuscirci, bussa alla porta della sala professori e, quando viene invitato ad entrare, si alita sulla mano per controllare che non abbia qualche reflusso gastroesofageo che lo renderebbe decisamente poco attraente agli occhi del vicepreside.
Il signor Stark è lì, in piedi vicino alla finestra. Tiene stretta nella mano una tazzina tutta sbeccata e, quando lo vede, la sua espressione è indefinibile. Peter deglutisce un groppo in gola.
«Ah, Parker! Banner ti ha riferito il messaggio, vedo.»
«S-sì, ha detto che voleva vedermi. È successo qualcosa?», chiede e mentre con un braccio tiene ancora il registro stretto al petto, con una mano si porta una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Quell'uomo lo mette dannatamente in soggezione, per tante di quelle ragioni che non sa nemmeno elencare. Eppure il suo fascino lo ammalia, lo fa arrossire; gli fa abbassare le ciglia, siccome non può sostenere quegli occhi così intensi addosso per troppo.
«Più di qualcosa!», sbotta il signor Stark, poi appoggia la tazza sul tavolo e, accomodandosi tutto spaparanzato su una sedia, incrocia le mani sullo stomaco e gli fa cenno di sedersi, con un colpo di mento. Peter non ubbidisce, ma si limita ad avvicinarsi e a chiudersi la porta alle spalle. «Parker, da quando sei arrivato succedono cose strane. Niente di grave, in realtà, ma devo farti un paio di confidenze che, ne sono certo, non ti piaceranno un granché.»
Panico. Il cuore di Peter inizia a battere tanto forte che ha quasi paura si possa sentire il rumore tamburellante che produce addirittura da fuori. La pressione sanguigna gli sale talmente tanto, che le orecchie gli si chiudono. Lancia uno sguardo alla finestra, mentre fa qualche smorfia per stapparle. Il signor Stark si esibisce in un sorriso tronfio, che cerca di smorzare con un sospiro stanco e uno sbadiglio.
«Cose strane? Che genere di cose strane?»
Tony alzò un pollice. «Punto numero uno: nessuno nasconde la propria identità segreta così a lungo. Non a me, per lo meno. Parker, pensavi davvero che non avrei scoperto chi sei?»
Peter alza un sopracciglio e boccheggia, preso in contropiede. «Di che accident-»
L'uomo sospira di nuovo. Allunga sgarbatamente le gambe sulla scrivania e le incrocia; si sistema meglio sulla sedia girevole e, lanciandogli un'occhiata divertita, gli punta un dito contro. «Spider-Man. L'amichevole coso di zona, o come accidenti ti fai chiamare. Sei tu, giusto?»
«Io?» Peter ride nervoso, poi sbuffa e lo indica con un gesto teatrale. «Andiamo, è ridicolo! Come potrei mai essere io, Spider-Man? Fa sul serio?»
Tony non sembra sorpreso da quella bugia e, svogliatamente, tira fuori dalla tasca il suo smartphone. Lo sblocca, fischiettando il motivetto della pubblicità dei detersivi – Peter si chiede perché abbia in testa proprio quel jingle, che ora gli è entrato in testa come un parassita – e, poco dopo, gli mostra una fotografia. Non una fotografia tutta sfocata – tipo quelle degli UFO che, non si sa per quale motivo, sono sempre, dannatamente pixelose e di qualità braille – ma una nitida, di lui in tuta, senza maschera, mentre recupera lo zaino in un vicolo sporco e poco rassicurante.
«Sei tu. Il riconoscimento facciale combacia; la voce, i movimenti, la statura, la massa muscolare. Tutto combacia, Parker», dice Tony, fin troppo compiaciuto, poi alza le sopracciglia e gli riserva un'occhiata che a Peter fa venire il mal di stomaco. «Seriamente credevi di tenermelo nascosto ancora per molto?»
«Signor Stark, non ho mai pensato che lei potesse non scoprirlo. Semplicemente speravo che non potesse mai succedere», dice, affranto, incapace di mentire ancora di fronte ad una prova inconfutabile come quella di una foto. Si sente un maledettissimo idiota.
«Parker, non me ne frega un accidenti se te ne vai in giro a lanciare ragnatele e a salvare il quartiere, quando non sei troppo impegnato a correggero compiti in classe o stilare il programma settimanale. Mi importa che se hai deciso di dividere la tua vita tra questo e questo», indica prima lui e poi la foto, ancora in bella vista sul suo cellulare, «devi mantenere un profilo più basso di così. Sono riuscito a scoprirlo in un attimo; e se ci riuscisse qualcuno che non ha delle buone intenzioni? Sai cosa c'è in gioco, vero?»
«Sì...» Peter abbassa lo sguardo, e il suo pensiero vola a zia May, ignara di ciò che fa, quando scappa di notte dalla sua stanza, vestito a quel modo. «E non mi piace. Cercherò di stare più attento, glielo prometto.»
Tony Stark lo guarda; lo squadra da capo a piedi e poi incrocia le braccia al petto. «Da quanto?»
«Sei anni», dice, poi si morde un labbro, boccheggia e, facendo un passo avanti, continua, «Senta, mi dispiace davvero. Avrei voluto dirglielo ma non abbiamo poi tutta questa confidenza e quelle poche volte che abbiamo collaborato io non... non me la sono sentita. Mi dispiace mol-»
«Ah! A proposito di confidenze, Parker! Questo mi riporta alla seconda cosa di cui volevo parlarti!», lo interrompe Tony, e le sue scuse non sembrano esattamente la sua priorità, dopotutto. Peter non sa se sentirsi sollevato da quel fatto o profondamente offeso, siccome è sempre difficile aprirsi e chiedere scusa. «Non abbiamo confidenza, dici. Però mi mandi questa roba. Hai un altro alter-ego di cui non conosco l'identità? Si chiama Rodolfo Valentino? O forse sei borderline come Banner?», chiede, e tira fuori da una tasca diversa da quella del cellulare, alcuni foglietti. Glieli porge e Peter li prende tra le mani con una certa angoscia e riluttanza. Stark ride, e questo, di certo, non è motivo di conforto. Abbassa la testa e sbianca. Qualcosa gli si blocca in mezzo all'esogafo. Forse è il pranzo, forse è quel pezzo di cornetto che non ha digerito bene o forse è il suo stomaco che lo vuole abbandonare per sempre. Non riconosce la sua grafia su quei fogli, ma sono firmati col suo nome e, ad ogni lettura, ha quasi un mancamento. Ha bisogno di qualcosa su cui poggiarsi, tipo un divano. O di un letto dove morire. Di vergogna.
«Come immaginavo, non è opera tua», sospira Tony, ma c'è un velo di ironia, in quell'osservazione e Peter non sa cosa fare. Vorrebbe accartocciare quella roba, bruciarla e poi scappare via, cambiare nome, espatriare e non tornare mai più. «Hai idea di chi possa essere stato?»
Non riesce a rispondergli. Ha troppe cose bloccate in gola che gli impediscono di farlo. Legge e rilegge quei foglietti e cerca di elaborare un pensiero coerente, poi alza gli occhi verso l'altro, e deglutisce.
«La mia preferita è quella dove parli di quanto i miei occhi siano l'unica àncora di salvezza che conosci, comunque! Molto poetico, ma è chiaro che non è opera tua.» Tony continua, e forse c'è un tentativo di rassicurarlo, ma Peter non riesce a coglierlo totalmente. «Stai bene, Parker?»
«Signor Stark, glielo giuro! Lo giuro su qualsiasi cosa che io non ne so niente! Niente di niente!», sbotta e gli trema la voce. Gli pulsa il petto, e cerca di conservare un poco di calma che, decisamente, non è nella sua natura, spesso esagitata. Appoggia il registro sul lungo tavolo e si posa il palmo aperto sul cuore. Un po' è l'imbarazzo, un po' il panico, un po' la consapevolezza che quelle parole incise disordinatamente su quei foglietti, sono opera di qualcuno che vuole tirargli un colpo basso. O, forse, che vuole aiutarlo.
«Caro professor Stark, i suoi capelli profumano di salsedine e la sua colonia mi confonde le idee. - Peter Parker», «Signor Stark, la camicia che indossa si accosta perfettamente ai suoi occhi castani. - Peter Parker», «Il suo sorriso mi ricarica come il caffé appena sveglio. - Peter Parker», «Signor Stark, dove li nasconde i battiti che fa perdere al mio cuore? - Peter Parker».
Mio. Dio. Pensa. Vorrebbe dimenticare ogni singola parola letta su quei foglietti idioti ma, come un dispetto, il suo cervello ha deciso di marchiarle a fuoco in un angolo della sua memoria. Si sente così in imbarazzo che, il contatto visivo, è l'ultima delle cose che vuole mantenere con quell'uomo.
«Parker, ehi! È tutto okay, calmati! La questione è più divertente di quanto tu possa credere, ma mi rendo conto che tu ne sei troppo coinvolto. Hai idea di chi possa essere stato?»
Peter alza finalmente gli occhi prima sul soffitto, poi sui suoi, e sospira. «Sì, purtroppo sì.»
«Di chi si tratta? Ne conosci le motivazioni? Dopotutto sono il vicepreside, posso agire di conseguenza. Immagino si tratti di qualche tuo alunno che vuole farti un dispetto o una cosa del genere», risponde il signor Stark, calmo e Peter invidia un po' quella tempra. Vorrebbe prendere la questione con molta più tranquillità di quella che sta dimostrano, ma ha paura delle conseguenze. È ovvio che si tratta di Ned e MJ, ormai decisi più che mai a rendere quel loro sogno realtà, ma c'è troppa superficialità e arroganza in quel gesto. Più che un aiuto, Peter lo vede come una condanna, un intralcio.
«No, non... non è un dispetto e sì, so di chi si tratta, o almeno credo. Lo fanno per il mio bene, o così dicono. Sa, loro... loro tendono a...»
«Shipparci? È così che si dice, di questi tempi, no?», lo interrompe Tony, troppo divertito da quel fatto per non sentirsi ancora più affossato da una situazione di cui, lo sa, è l'unica vittima. Annuisce lentamente, e abbassa lo sguardo. Deve avere il viso completamente rosso che: pomodori maturi, spostatevi proprio!
«La prego, non usi più quella parola di fronte a me...», lo prega, e il signor Stark si alza in piedi, ridendo con un'enfasi che riesce, paradossalmente, a peggiore ancora di più quella situazione imbarazzante. Si avvicina, gli posa le mani sulle spalle e, senza abbandonare quell'espressione divertita, gli regala un sorriso da ammirare. Per qualche secondo gli fa dimenticare quella stupida faccenda.
«D'accordo, d'accordo!», ridacchia, poi mette su un sorriso furbastro e, inclinando la testa di lato, continua. «Mi è venuta un'idea, comunque.»
Peter alza la folta corolla di ciglia su di lui, trovando nella poca differenza d'altezza – chiusa in quei tredici centimetri, un disorientamento che gli fa storcere la bocca. Non sono mai stati così vicini come in quel momento ma, paradossalmente, la confusione ha annullato l'imbarazzo.
«Cioè?», chiede, e il sorriso malvagio di Tony si spalanca di più.
«Vogliono questo? Allora lasciamoglielo credere.» Si china su di lui, e quelle labbra piegate non si rilassano nemmeno quando toccano le sue. Peter spalanca gli occhi. I foglietti gli cadono dalle mani. Scivolano per terra e non capisce più niente. Tony Stark, il vicepreside, Iron-Man, l'uomo più importante della sua vita, lo sta baciando sulle labbra, con una delicatezza che sembra quasi impossibile credere reale. Si rilassa, cerca di farlo, quando l'altro gli stringe le braccia intorno alle spalle e gli dice, tacitamente, che è quello che volevano entrambi. Chiude gli occhi, si spinge contro di lui, gli circonda le braccia intorno al collo e prende letteralmente fuoco; è quello che desiderava da una vita, lo sta avendo, e non può essere più felice di così.
«Se vuoi, invece, può rimanere una cosa tra noi.» Gli sussurra sulle labbra, quando si staccano, e si guardano in silenzio per istanti interminabili. Quella premura quasi lo commuove, ma si ricrede, Peter, quando Tony continua, «Sai che divertimento a vederli mentre continuano ostinati a shipparci, e noi ci diamo da fare alle loro spalle?»
«Signor Stark!», lo ammonisce, e cerca di liberarsi da quella stretta a cui l'uomo lo sta sottoponendo, dolcemente. Tony scoppia a ridere e reclina il viso affascinante all'indietro. Gli schiocca un bacio sulla guancia.
«Sto scherzando, sto scherzando!», esclama, poi sorride di nuovo sornione, a due centimetri dal suo respiro, «Stasera ti va un Cheesburger?»
«O-okay...», mormora, e sa è ancora rosso come un peperone.
«Andata allora, ti passo a prendere alle sette», conclude il signor Stark – Tony, e sbatte le lunghe ciglia contro i suoi occhi, prima di chinarsi ancora e reclamare un nuovo bacio, che Peter non può non concedergli.
Forse sta sognando, o forse no. Lo spera, dopotutto, che sia tutto reale, perché quel fatto paradossale lo ha sconvolto eppure, paradossalmente, non è mai stato più felice di così in vita sua.
Fine
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